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Dal mondo

Capitali offshore, il big bang
dello scambio d’informazioni

In un report dell’Osservatorio fiscale europeo l’analisi dei dati raccolti dal Fisco danese su oltre 600mila conti correnti registrati in Paesi a bassa tassazione

immagine generica illustrativa

Lo studio dell’Istituto di ricerca guidato da Gabriel Zucman fornisce una prima valutazione completa degli effetti dello scambio automatico di informazioni bancarie sulla compliance fiscale. Un obiettivo reso possibile grazie alla collaborazione con l'autorità fiscale danese, che ha permesso di analizzare l'universo delle segnalazioni e dei rapporti informativi a partire dall’entrata in vigore dello scambio automatico di informazioni. Si tratta d’una vasta mole di lavoro e di analisi su oltre 160 milioni di segnalazioni e relazioni finanziarie ricche di dati, e di spunti, su giacenze, movimenti e transazioni di oltre 600mila conti correnti esteri registrati in giurisdizioni a bassa tassazione, tutti riconducibili, in via diretta o indiretta, a contribuenti danesi. L’abbinamento dei dati su reddito, patrimonio e trasferimenti bancari transfrontalieri copre tale popolazione per un periodo che va dal 2015 al 2019.

Lo spartiacque dello scambio di informazioni
Prima di entrare nel dettaglio dei numeri, la prima parte dell’elaborato si sofferma sul passaggio storico dal segreto bancario all’intensificarsi della cooperazione fiscale internazionale. Nella seconda metà del 2010, infatti, più di 100 Paesi, tra cui tutti i grandi centri finanziari offshore, hanno iniziato a scambiare automaticamente informazioni bancarie con le autorità fiscali straniere. Questo big-bang informativo ha segnato il declino della segretezza bancaria offshore che prevaleva in precedenza.

La migrazione al contrario della ricchezza offshore, il case-study danese
Sempre osservando i cambiamenti avvenuti all’interno della Danimarca, il report dell’Osservatorio fiscale europeo stima che lo scambio automatico di informazioni bancarie abbia ridotto di circa il 70% la mancanza di trasparenza sul valore effettivo dei capitali offshore. Il dato deriva dal raffronto della ricchezza che risulta attualmente trasferita dai danesi in Paesi con regimi impositivi di favore con il quadro che invece sarebbe stato possibile ricomporre in assenza dello scambio automatico di informazioni, in particolare del Country-by-Country Reporting (CbCr). In pratica, la cooperazione fiscale internazionale ha consentito di far luce sulle somme effettivamente nascoste, rendendo così possibile il raffronto in termini di valori tra l’età del segreto bancario e quella della cooperazione tra Stati.

C’è del marcio in Danimarca?
Il primo dato che balza agli occhi è quello sulla ricchezza danese registrata offshore. Infatti, analizzando i report ottenuti grazie al Country-by-Country Reporting (CbCr), i ricercatori dell’Osservatorio fiscale europeo hanno potuto calcolare che il valore dei capitali danesi offshore nel 2020, ultima annualità oggetto di studio, era pari a circa 52mld di dollari, in pratica il 14,8% del Pil nazionale. Un dato elevato per un Paese modello come la Danimarca e di dimensioni modeste. Inoltre, i conti bancari esaminati in stragrande maggioranza, 583.000, risultavano registrati in giurisdizioni e hub finanziari come il Regno Unito e i Paesi scandinavi che, pur in presenza di norme di favore, non sono indicati come non cooperativi, mentre 50mila in veri e propri paradisi fiscali doc. In conclusione, in assenza dello scambio automatico di informazioni il valore dei capitali danesi offshore, oggi sotto controllo del fisco, sarebbe risultato significativamente inferiore rispetto a 52 miliardi di dollari e non monitorabile. Oggi invece, oltre 5 miliardi, prima del tutto sconosciuti alle Entrate danesi, sono riemersi e ben visibili, 1,6 miliardi di dollari sono rimpatriati e più di 27 miliardi di dollari sono annualmente dichiarati spontaneamente, pur rimanendo oltreconfine.

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