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Dal mondo

Ocse: lo scambio di informazioni
porta a casa 95 miliardi di gettito

In occasione del meeting del G20 a Fukuoka, l’Ocse ha fatto il punto sul successo del Common reporting standand

CRS e scambio informazioni

Era il 2009 quando per la prima volta al G20 si disse che l’era del segreto bancario era finita. Dieci anni dopo, sono 129 le giurisdizioni firmatarie della Multilateral Convention on Mutual Administrative Assistance  in Tax Matters , l’accordo-base di cooperazione fiscale tra Paesi elaborato in ambito Ocse, la cornice per  tutte le tipologie di scambi di informazioni fiscali. Oggi oltre 150 giurisdizioni si sono impegnate allo scambio di informazioni su richiesta (Eoir) e oltre 100 a quello automatico (Aeoi). Più di 90, infine, hanno già iniziato gli scambi secondo il Common reporting standard.
L’Ocse ha tracciato l’ultimo bilancio della rete globale della trasparenza fiscale in occasione del meeting del G20 a Fukuoka, in Giappone, evidenziando che nel 2018 gli scambi di informazioni sul fronte finanziario hanno portato alla luce più di 47 milioni di conti offshore, per un valore di 4.900 miliardi di euro. Non solo. La possibilità da parte delle autorità fiscali di accedere alle informazioni dei conti e dei movimenti finanziari dei propri cittadini all’estero ha già generato un effetto consistente sul gettito, visto che si calcolano a livello globale maggiori entrate per 95 miliardi di euro, cifre vicine al Pil delle economie di interi Paesi.

Gli scambi di informazioni valgono il Pil dell’Ecuador o del Marocco
La trasparenza generata grazie alle migliaia di informazioni che vengono oggi scambiate tra Paesi su richiesta (Eoir) o automaticamente (Aeoi) ha un suo peso ben preciso e sono i 95 miliardi di euro di maggiori entrate tra imposte, sanzioni e interessi affluiti alle casse erariali nazionali. Come dire, il solo incremento del tasso globale di trasparenza fiscale ha consentito alle amministrazioni fiscali del mondo di riportare nelle proprie casse cifre pari più o meno al prodotto interno lordo di interi Paesi, come l’Ecuador o il Marocco. I due maggiori contributi all’incremento del gettito li hanno forniti l’attività investigativa delle autorità nazionali, resa più efficace dall’accesso alle informazioni sulla localizzazione e il movimento dei capitali transnazionali, e le iniziative di voluntary disclosure avviate negli ultimi anni da diversi Stati, che per la prima volta hanno avuto dalla loro la forza deterrente della trasparenza fiscale. In relazione a questo ultimo punto, calcola l’Ocse, sono stati oltre 500mila i soggetti che hanno scelto di riportare spontaneamente alla luce i propri asset finanziari detenuti offshore, aderendo ai programmi nazionali di voluntary disclosure prima dell’arrivo dei controlli del Fisco, probabilmente percepiti come un rischio più concreto rispetto al passato.

Il ricorso ai conti bancari offshore, cosa è cambiato
L’Ocse ha inoltre analizzato l’impatto che lo scambio di informazioni tra Paesi (EOI) ha avuto sui depositi bancari che gli operatori affidano ai Centri finanziari internazionali (i cosiddetti IFC). Dall’esame dei dati trasmessi dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri, l’organizzazione internazionale delle banche centrali con sede a Basilea) da molti di questi centri, come Bahamas, Cayman, Hong Kong, Lussemburgo, Svizzera, emerge che in vent’anni il totale dei conti bancari qui depositati ha disegnato una parabola discendente.  Partendo dal 2000, infatti, un primo periodo ha segnato una fase di crescita che ha avuto il suo apice nel 2008, in cui l’ammontare dei tesori collocati all’estero - dislocati in una quarantina di Ifc – raggiungeva 1,6 miliardi di dollari. Successivamente questa ricchezza si è ristretta dal 2008 a oggi, con un declino in 10 anni del 34%, oltre 551 miliardi di dollari. Ed è qui – conclude l’Ocse - che emerge l’influsso benefico dello scambio di informazioni sulla tax compliance, visto che la discesa dei possedimenti finanziari negli Ifc è corsa parallelamente all’implementazione della rete, dalle maglie sempre più fitte, della cooperazione fiscale internazionale. Una gran parte di questo declino – per circa i due terzi, stima l’Ocse - è dovuta al potere investigativo e deterrente dello scambio delle informazioni tra Stati sia su richiesta sia automatico, che avrebbe comportato complessivamente a un abbassamento del 20-25% del numero di depositi bancari lasciati “in custodia” negli Ifc fiscalmente più favorevoli.

Il successo della rete globale della trasparenza
L’organizzazione di Parigi ha insomma applaudito al successo del percorso di cooperazione fiscale portato avanti negli ultimi anni, sottolineando che l’adozione ormai diffusa del Common reporting standard ha realizzato il più grande interscambio nella storia di informazioni fiscali, corse lungo i canali di comunicazione aperti da 4.500 relazioni bilaterali tra Stati. “La comunità internazionale ha sviluppato un livello di trasparenza fiscale senza precedenti, che porterà concreti risultati in termini di entrate erariali e di servizi negli anni a venire”, ha commentato il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria. Per poi aggiungere che “le azioni verso la trasparenza che abbiamo ideato e messo in campo attraverso il G20 hanno permesso di fare luce su un profondo sottobosco di fondi offshore che adesso possono essere riportati correttamente a tassazione dalle autorità fiscali nazionali”. Il lavoro continua. Infatti, l’Ocse, guidata da Gurria, si aspetta " di vedere risultati ancora più evidenti in futuro”.

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