Il fatto
Al termine di una verifica generale, sulla base delle risultanze del processo verbale redatto dalla Guardia di finanza, l’Agenzia delle entrate procedeva, ai sensi degli articoli 32, primo comma, e 39 del Dpr n. 600/1973, ad accertare in via induttiva un reddito d’impresa a un contribuente, che, da circa cinque anni, aveva cessato formalmente l’attività di artigiano restauratore di mobili.
La Commissione tributaria provinciale di Roma ,disattendendo i risultati della verifica, accoglieva il ricorso ritenendo che “il ritrovamento nell'abitazione del contribuente di mobili ed altri oggetti usati, nonché le movimentazioni bancarie in assenza di ulteriori riscontri (laboratorio dove effettuare le lavorazioni, attrezzature, clienti, fornitori, ecc.) non sono decisivi ai fini della legittimazione dell'esercizio in nero di attività commerciale”.
La Commissione tributaria regionale Lazio, con la sentenza n. 37/27/2006, ha, invece, statuito che, nella specie, ricorrevano i presupposti per procedere all’accertamento induttivo con queste motivazioni:
- l’accertamento del reddito d’impresa “si fonda, su una situazione contabile inesistente, perché - a detta del contribuente - inesistente sarebbe stata la stessa attività contestata”
- la verifica effettuata dalla Gdf, al contrario, aveva riscontrato diversi elementi caratterizzanti l'esercizio di un'attività di lavoro autonomo con i relativi redditi (ingenti quantitativi di mobili da restaurare in suo possesso; disponibilità finanziaria dello stesso, in relazione all'ammontare del totale dei versamenti e dei prelevamenti che hanno interessato il suo conto corrente bancario nel periodo in considerazione).
Ciò è apparso sufficiente ai giudici della Commissione “per realizzare, a carico del contribuente, la praticabilità dell'accertamento induttivo, con la conseguente inversione dell'onere della prova sui fatti contestati”. Poiché “il contribuente non ha contrapposto altro che formali motivi di diritto (quali: carenza di motivazione dell’avviso d’accertamento, difetto della qualità d’imprenditore, mancata indicazione del luogo di esercizio dell’attività, disponibilità di un solo conto corrente bancario, sentenze favorevoli per altri anni), senza soffermarsi concretamente sugli aspetti che gli venivano contestati”, non avendo fornito prove giustificative sui rilievi formulati, per i giudici le rettifiche operate dall'Amministrazione sono fondate su fatti decisivi, rilevati dall'organo investigativo e utilizzati in coerenza con le richiamate previsioni normative, idonei a legittimare, appunto, il ricorso alla metodica di ricostruzione del reddito con il procedimento induttivo.
Commento
Il punto di partenza, sia dell’accertamento che della sentenza, è la presunta omessa presentazione della dichiarazione per un’attività che il contribuente aveva esercitato e che, almeno formalmente, aveva dichiarato cessata. In tale ipotesi la legge abilita l'ufficio dell’Agenzia delle entrate a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell'accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, con utilizzazione, in deroga alla regola generale, di presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al terzo comma dell'articolo 38 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, sul presupposto dell'inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti.
Ne consegue che anche il giudice tributario può legittimamente ritenerli dimostrati sulla base di siffatte presunzioni (fondando, quindi, la decisione in deroga alla regola stabilita dall'articolo 2729, comma primo, codice civile).
La Suprema corte (ex pluris, Cassazione n. 19174 e 9755 del 2003, n. 17016 del 2002) ha statuito che, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall'ufficio, incombe sul contribuente l'onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa, fornendo elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall'ufficio.
Nella specie, come sembra rilevarsi dalla motivazione della sentenza, il contribuente non si è difeso sui fatti contestati, per cui l’accertamento induttivo è stato dichiarato legittimo, anche se i giudici hanno ritenuto che dal reddito accertato dovevano essere detratti i costi per produrlo.