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Normativa e prassi

Danno all'immagine. Risarcimento esentasse, ma solo con la prova

Al contribuente l'onere di dimostrare che l'indennità percepita è legata a una perdita di reputazione

Mino Ceretti, uomo allo specchio rotto
Non sono tassabili le somme di natura risarcitoria incassate per aver subito una svalutazione della propria immagine esterna, sia come individuo che come professionista, a patto però che si dimostri in maniera certa l'esistenza e l'ammontare del danno patito.
È il chiarimento fornito dall'agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 106/E del 22 aprile, che si sofferma sul corretto trattamento fiscale da applicare alle indennità erogate a titolo di risarcimento del danno derivante da una perdita di immagine e di opportunità professionali.

In particolare, il documento di prassi prende le mosse da una richiesta di parere formulata da una direzione regionale alla direzione centrale Normativa e Contenzioso su un'istanza di rimborso. A essere messa in discussione dal contribuente è una parte delle ritenute d'acconto subite sugli importi percepiti come indennizzo per la risoluzione anticipata del rapporto di collaborazione intrattenuto con due società. Un ben servito nato da un disaccordo su alcune operazioni societarie, che aveva condotto il consiglio di amministrazione a revocare per giusta causa le deleghe affidate al collaboratore.

Questa giustificazione, però, non è stata accolta di buon grado dall'interessato, che si è opposto chiedendo il risarcimento del danno. Una contestazione a cui sono seguiti due accordi transattivi in base ai quali "la parte lesa" ha incassato una certa quantità di denaro, al netto della ritenuta d'acconto del 20% effettuata dal datore di lavoro. Una parte di questi importi, però, stando alle considerazioni del contribuente, non è qualificabile come reddito corrisposto in occasione della risoluzione di rapporti di collaborazione, ma ha piuttosto una valenza risarcitoria che la rende non tassabile. Nell'istanza di rimborso si sottolinea, infatti, che la richiesta di risarcimento danni fa perno non solo sulla perdita dei redditi e dei benefit dovuta alla rescissione del contratto, ma anche sulla perdita di immagine e di chance professionali derivante dalla cessazione dell'incarico.
Si tratta di una specificazione importante, che non a caso è stata esplicitamente riportata negli accordi transattivi firmati con le due società. Per individuare tra le somme complessivamente percepite quelle di natura non reddituale ma patrimoniale, il contribuente ha fatto ricorso a una consulenza tecnico-contabile redatta da una società di revisione, secondo la quale una quota dell'indennità percepita va esclusa dall'Irpef, essendo corrisposta a titolo di risarcimento patrimoniale. Non c'è dubbio, stando all'ipotesi interpretativa prospettata nell'istanza, che queste somme risarciscano il danno provocato da una evidente lesione di un interesse costituzionale, quale è il "deprezzamento della propria immagine esterna".

Una soluzione che trova conferma nel parere espresso dall'Agenzia, secondo cui non sono fiscalmente rilevanti i compensi erogati per liquidare un danno all'immagine e una perdita di chance professionali, intendendo quest'ultima come "privazione della possibilità di sviluppi o progressioni nell'attività lavorativa". Con un però: l'agevolazione è riconosciuta dal Fisco soltanto a condizione che il contribuente dimostri concretamente l'esistenza e l'ammontare del danno subito. Un principio, questo, più volte ribadito dalla Cassazione: facendo riferimento all'importo pagato a un dirigente d'azienda in seguito alla risoluzione del rapporto di lavoro, la Suprema corte ha stabilito che il licenziamento provoca "un danno che va al di là della semplice perdita di reddito, ma coinvolge anche la reputazione e l'immagine professionale e, come tale, la somma percepita costituisce un ristoro per danno emergente" (sentenza 30433/2008). Nello stesso filone rientra un'altra pronuncia con cui la Cassazione ha accolto il ricorso di un contribuente fondato sulla tesi secondo la quale la somma versata "non è soggetta a imposizione fiscale ai fini Irpef in quanto non rappresenta alcuna reintegrazione di reddito patrimoniale non percepito ma piuttosto il risarcimento del danno alla professionalità e all'immagine derivato dal demansionamento" (sentenza 28887/2008).

Una conclusione che, giurisprudenza alla mano, vale anche per le ulteriori somme eventualmente versate, insieme alla liquidazione del danno all'immagine, per risarcire la contemporanea perdita di chance professionali. L'onere della prova di questo genere di danni spetta sempre al contribuente. Sta a lui indicare quali aspettative, nello specifico, sono state frustrate dall'inattività forzata e dimostrare l'esistenza di un nesso diretto tra questa situazione e la perdita di immagine e di chance professionali. Lo stesso discorso vale, sul piano fiscale, anche per le ritenute subite sulle somme complessivamente percepite a titolo di danno all'immagine e perdita di opportunità lavorative. In sostanza, nell'ambito delle somme complessivamente erogate come risarcimento del danno patrimoniale, è necessario individuare la parte dell'indennità strettamente connessa alla presunta perdita. A questo scopo, in assenza di prove chiare che derivino da atti di natura transattiva, si può prendere in considerazione ogni elemento utile fornito dal contribuente per dimostrare che l'indennizzo incassato è diretto a risarcire la lesione del diritto all'immagine e la perdita di chance professionali subite a causa della cessazione dell'incarico.
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