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Normativa e prassi

All’estero in pianta stabile: al via
le nuove retribuzioni convenzionali

I valori sono rilevanti fiscalmente per la determinazione del reddito imponibile, pertanto, in presenza dei requisiti, non vengono considerate le somme effettivamente corrisposte

Arrivano, con il decreto del 22 dicembre 2016 del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri, le retribuzioni convenzionali dei lavoratori dipendenti italiani inviati all’estero, in via continuativa ed esclusiva, su cui basare il calcolo dei contributi assicurativi obbligatori e delle imposte sul reddito dovuti per il periodo di paga 2017.
Le quote, contenute nelle tabelle allegate al Dm, sono distinte per ruoli rivestiti e per settori omogenei.
 
I compensi, come previsto dal Dl 317/1987, devono essere fissati annualmente con decreto del ministero del Lavoro di concerto con il Mef, in riferimento ai contratti collettivi nazionali di categoria e in ogni caso in misura non inferiore a quanto da questi stabilito.
 
A dettare le regole sugli effetti fiscali conseguenti al sistema, è il comma 8-bis dell’articolo 51 del Tuir che, in deroga alle modalità di determinazione dell’imponibile fissate dai commi precedenti della stessa norma, dispone che il reddito di lavoro dipendente prestato fuori dell’Italia, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base di retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto ministeriale.
In poche parole, il Fisco, per tassare i redditi di questi lavoratori, non va a vedere quanto effettivamente corrisposto, ma fa riferimento ai valori convenzionali stabiliti annualmente. Non solo, vengono ricompresi forfetariamente nella stessa retribuzione, anche gli eventuali benefit riconosciuti al dipendente.
 
Abbiamo visto che per l’applicazione del sistema, sono essenziali due caratteristiche: l’esclusività e la continuità del rapporto.
Il primo requisito richiede un’attività all’estero che non sia di tipo accessorio o strumentale a quella svolta in Italia, non va confusa, per esempio, con trasferte o missioni fuori dai confini. Il contratto deve prevedere l’esecuzione della prestazione in via esclusiva in un Paese straniero e il lavoratore deve essere inserito in uno speciale ruolo estero, come precisato nella circolare 207/2000.
 
La continuità, invece, non è connessa al periodo di permanenza in un altro Stato, ma al fatto che l’incarico sia stabile e non occasionale. Per soddisfare il requisito, si legge nella circolare 207/200, è sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all’estero per un minimo di 183 giorni nell’arco di dodici mesi, da intendere non come periodo d’imposta, ma in riferimento alla permanenza stabilita nel contratto, possibile anche per un periodo a cavallo di due anni solari. Nel conteggio dei 183 giorni rientrano anche le ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.
 
Nel caso di assunzioni, conclusioni del rapporto di lavoro, di trasferimenti da o per l’estero, nel corso del mese, le quote individuate nelle tabelle allegate al Dm, devono essere suddivise in ragione di ventisei giornate.
 
L'articolo 51, comma 8-bis, del Tuir, non è applicato se il lavoratore presta la propria attività in uno Stato con il quale l'Italia ha stipulato un accordo contro le doppie imposizioni e lo stesso prevede, per il reddito di lavoro dipendente, la tassazione esclusivamente nel Paese estero. In questa circostanza, la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali nazionali.
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