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Giurisprudenza

Utilizzare lavoratori di altri Stati membri si può?

A questo interrogativo ha risposto la Corte Ue con la decisione del 3 aprile chiarendo i presupposti applicativi della direttiva 96/71/CE

In particolare la normativa comunitaria si applica se un’impresa di uno Stato membro distacchi lavoratori, per proprio conto e sotto la propria direzione, in un altro Stato membro. Ma a condizione che siano garantite le condizioni di lavoro. La Corte di Giustizia dell'Unione europea, con decisione del 3 aprile 2008 relativa alla causa C-346/06, ha chiarito che "La direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 1996, 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, interpretata alla luce dell’articolo 49 CE, osta, in circostanze come quelle della causa principale, ad un provvedimento legislativo, emanato da un’autorità di uno Stato membro, che imponga agli enti pubblici aggiudicatori di attribuire gli appalti relativi a lavori edili esclusivamente alle imprese che, all’atto della presentazione delle offerte, si impegnino per iscritto a corrispondere ai propri dipendenti, impiegati per l’esecuzione dei lavori oggetto di appalto, una retribuzione non inferiore a quella minima prevista dal contratto collettivo vigente nel luogo dell’esecuzione dei lavori in questione".
 

Le origini della controversia Una società tedesca, che ha vinto una gara d’appalto in Germania, si è avvalsa dei servizi di una ditta polacca quale impresa subappaltatrice. In applicazione della legge in vigore nel Land, la ditta aggiudicatrice si è impegnata, al momento dell’aggiudicazione, a corrispondere ai propri dipendenti e a quelli della subappaltatrice, quale corrispettivo delle prestazioni lavorative, una retribuzione non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo applicabile nel luogo e nel tempo dell’esecuzione delle prestazioni (nei casi di mancato rispetto delle norme, l’Ente pubblico può giungere alla risoluzione immediata del contratto e, in caso di colpa grave o comportamento reiterato, all’esclusione dell’impresa colpevole dagli appalti per un anno). A seguito di un’indagine effettuata dalle Autorità del Land, è emerso che la ditta subappaltatrice polacca ha versato ai lavoratori impiegati nel cantiere in Germania il 46,57 per cento del salario minimo previsto dalla normativa del Land. Tale situazione ha determinato la risoluzione del contratto da parte dell’ente pubblico nonché, in sede di giudizio di primo grado, la richiesta di applicazione della penale contrattuale a carico dell’aggiudicataria. Quest’ultima, da parte sua, ha chiesto i danni per la risoluzione del contratto. Il giudice tedesco di primo grado ha compensato la penale, ritenendo parzialmente fondata la richiesta della convenuta, ma ha respinto le pretese relative alla prosecuzione del contratto. La società aggiudicataria è ricorsa in appello. Il giudice d’Appello ha ritenuto necessario, per dirimere la controversia principale, sottoporre, alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, una questione pregiudiziale interpretativa relativa all’eventuale disapplicazione della normativa tedesca (articolo 8, n. 1, della legge del Land della Bassa Sassonia) per supposta incompatibilità con l’articolo 49 del Trattato CE (principio di libera prestazione dei servizi).

Il diritto comunitario
In base al primo comma dell’articolo 49 Ce, nella Comunità sono vietate le restrizioni alla libera prestazione di servizi nei confronti di cittadini degli Stati membri stabiliti in Paese diverso da quello del destinatario della prestazione. L’articolo 3 della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 (Convenzione sui criteri generali per determinare la legge applicabile al rapporto di lavoro) prevede, come regola generale, che, in caso di distacco di un lavoratore, le parti abbiano la libertà di scegliere la legge applicabile. In mancanza di scelta, il contratto di lavoro è regolato dalla legge del Paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro. La direttiva 96/71/CE garantisce la leale concorrenza delle imprese ed il rispetto dei diritti dei lavoratori nell’ambito della libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri. Al diciassettesimo considerando è chiarito che "le norme imperative di protezione minima in vigore nel paese ospite non devono ostacolare l’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori". L’articolo 3 della medesima disposizione prevede che, qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro, ai lavoratori distaccati devono essere garantite le condizioni fissate da disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o da contratti collettivi o arbitrati dichiarati di applicazione generale (quelli che devono essere rispettati da tutte le imprese di categoria operanti nell’ambito di applicazione territoriale) nonché le tariffe minime salariali, comprese quelle maggiorate per lavoro straordinario. Le tariffe minime salariali sono definite dalla legislazione e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro in cui presta il lavoratore distaccato presta la propria opera.

Il diritto nazionale
In Germania, le tariffe salariali minime applicate nel settore edilizio sono oggetto di contrattazione collettiva. In particolare, i contratti collettivi sono stipulati fra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro. Il settore dell’industria edile è disciplinato da un contratto collettivo quadro, applicabile sull’intero territorio nazionale, che non contiene disposizioni relative alla retribuzione minima. La retribuzione minima è fissata sia su un altro contratto collettivo nazionale sia in contratti collettivi specifici. In ambito federale, la normativa fissa una tariffa minima calcolata su due categorie: la qualifica professionale e l’appartenenza a "nuovi" o "vecchi" Länder. Tale normativa, tuttavia, non esclude il diritto dei lavoratori a percepire retribuzioni più elevate in virtù di altri contratti collettivi o di accordi specifici. La dichiarazione di applicazione generale di un contratto collettivo, da parte del ministero Federale del Lavoro, comporta l’adozione dell’accordo da parte di tutti i datori di lavoro ed i lavoratori che lavorano nel settore nell’ambito territoriale di applicazione. I contratti collettivi specifici, non di carattere generale, hanno un ambito territoriale di applicazione limitato. I livelli salariali indicati nei contratti collettivi specifici sono di gran lunga più remunerativi di quelli collettivi generali. La direttiva 96/71/CE è stata recepita, in Germania nell’AEntG. In base alla normativa interna, il datore di lavoro, stabilito in altro Stato membro, deve garantire ai propri dipendenti distaccati in territorio tedesco il minimo salariale garantito dai contratti collettivi dichiarati di applicazione generale. L’articolo 3, n. 1, della legge del Land della Bassa Sassonia impone, per l’aggiudicazione degli appalti, che l’impresa aggiudicataria garantisca ai propri dipendenti almeno la retribuzione prevista dal contratto collettivo applicabile nel luogo e nel momento delle prestazioni.

Il giudice del rinvio
Il giudice del rinvio si è chiesto se l’obbligo di corrispondere ai propri dipendenti distaccati i salari minimi previsti nei contratti collettivi tedeschi non comporti, per le imprese stabilite in altro Stato membro, una restrizione alla libera prestazione di servizi determinata dalla perdita di vantaggio concorrenziale derivante dal minor costo del lavoro. Il giudice ritiene che la restrizione della libertà non sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale ma da una volontà di proteggere il mercato delle imprese edili tedesca dalla concorrenza proveniente da altri Stati membri. Peraltro, ritiene lo stesso giudice che la giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di salario minimo non sia applicabile al caso esaminato in quanto i contratti collettivi specifici della Bassa Sassonia imporrebbero retribuzioni molto più alte rispetto a quelle previste dai contratti collettivi dichiarati di applicazione generale in vigore sul territorio tedesco. A suo parere i lavoratori distaccati sarebbero tutelati dai contratti collettivi di applicazione generale e non dalle disposizioni derogatorie dei contratti collettivi specifici che, anzi, finirebbero per penalizzarli rispetto ai colleghi tedeschi.

La posizione dell’avvocato generale Il Land della Bassa Sassonia, il governo tedesco, la Danimarca, l’Irlanda, Cipro, l’Austria, la Finlandia e la Norvegia hanno sostenuto che la normativa in esame non sia incompatibile con l’articolo 49 Ce in quanto essa sarebbe giustificata dalla necessità di tutelare i lavoratori e proporzionata all’obiettivo da raggiungere. Secondo alcuni intervenienti la suddetta normativa non presenta punti di contrasto nemmeno con la direttiva 96/71/Ce. Il governo polacco, di contrario avviso, ha sottolineato che l’obbligo previsto dalle disposizioni vigenti nella Bassa Sassonia contrasta con l’articolo 3, n. 1, lettera c) della direttiva 96/71/CE in quanto impone minimi più alti rispetto a quelli previsti dall’AEntG. In via subordinata, il Paese dell’Est ha fatto proprie le conclusioni del giudice del rinvio relative ad una possibile incompatibilità delle disposizioni in esame con l’articolo 49 CE. La Commissione e il governo francese hanno, sostanzialmente, affermato che il contrasto con la direttiva 96/71/CE non sussiste soltanto qualora si prenda in considerazione, quale parametro della tariffa minima, il minimo stabilito in un contratto collettivo dichiarato di applicazione generale. La Commissione ha anche sollevato un dubbio di compatibilità con l’articolo 49 CE in merito al fatto che le disposizioni in analisi sono applicabili soltanto negli appalti pubblici. La direttiva 93/37/CE, che non disciplina le condizioni di esecuzione degli appalti pubblici, prevede l’assunzione di un impegno al rispetto delle condizioni minime salariali in vigore che, a parere dell’Avvocato Generale, costituisce una condizione di esecuzione dell’appalto. La direttiva 96/71/CE, che fa propria la giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia (CGCE cause riunite 62/81 e 63/81 del 3 febbraio 1982), intende coordinare le legislazioni degli Stati membri fissando e rendendo obbligatorie un nucleo di norme imperative di protezione minima che devono essere osservate dai datori di lavoro che distaccano lavoratori in altri Stati membri, nei Paesi ospitanti.

Le norme a tutela dei lavoratori distaccati
La direttiva 96/71/CE, come precisato dalla Corte di Giustizia (CGCE 490/04 del 18 luglio 2007), elenca delle norme nazionali che i Paesi devono adottare a tutela dei lavoratori distaccati nell’ambito di prestazioni di lavoro transnazionali. In tale elenco figurano anche le norme che stabiliscono dei minimi salariali. Tuttavia, tali ultime disposizioni non sono state contemplate in azioni comunitarie che hanno comportato l’adozione di direttive recanti prescrizioni minime (quali, ad esempio, quelle sui periodi minimi di riposo o sulla sicurezza). Le misure minime salariali, quindi, non sono espressamente regolate dal diritto comunitario. L’articolo 3, n.1, ultimo comma, della citata direttiva 96/71/CE prevede "la nozione di tariffa minima salariale di cui al primo comma, lettera c) è definita dalla legislazione e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato". Il successivo n. 7 aggiunge che i paragrafi "da 1 a 6 non ostano all’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori". Tale ultima disposizione consente agli Stati membri di adottare misure di protezione rinforzata a favore dei lavoratori impiegati in alcuni settori o in alcuni ambiti territoriali nonché rispetto alle protezioni previste nei paesi di provenienza. La possibilità di imporre anche ai datori di lavoro stabiliti in altri Paesi membri l’applicazione nei confronti dei lavoratori da essi dipendenti, distaccati in Germania, dei minimi salariali imposti dai contratti collettivi specifici appare del tutto in linea con disposizioni dell’articolo 3, n. 3 della direttiva 96771/CE che ammette una protezione nazionale rinforzata. Ovviamente, la protezione nazionale rinforzata deve avvenire nel rispetto dei limiti consentiti dall’articolo 49 CE che impone, oltre all’eliminazione di qualsiasi discriminazione possa essere operata in base alla cittadinanza, la soppressione di qualsivoglia restrizione che possa vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in altro Stato membro che renda analoghi servizi (CGCE Causa C-490/04 del 18 luglio 2007). Il problema, a questo punto, ruota intorno allo scopo della normativa del Land che, secondo il giudice del rinvio, è costituito dalla volontà di proteggere le imprese edili tedesche dalla concorrenza proveniente dagli altri Paesi comunitari, mentre per l’avvocato generale sarebbe di tutela dei lavoratori e di prevenzione del dumping sociale. A parere dell’avvocato generale, peraltro, è inimmaginabile che gli obiettivi di tutela dei lavoratori e di prevenzione del dumping sociale possano essere conseguiti con altrettanta efficacia attraverso il ricorso a misure meno restrittive e gravose della libera prestazione dei servizi.

Le conclusioni della Corte di Giustizia
Il giudice comunitario fa presente che la direttiva comunitaria 96/71 si applica qualora un’impresa di uno Stato membro distacchi lavoratori, per proprio conto e sotto la propria direzione, in un altro Stato membro. Secondo l’articolo 3 della stessa direttiva devono essere garantite le condizioni di lavoro, tra cui le tariffe minime salariali, elencate nella stessa norma. Dette condizioni sono fissate da disposizioni legislative, regolamentari e/o da contratto collettivi di applicazione generale. Occorre, pertanto, verificare se tali requisiti sono stati rispettati nella causa in questione. Per il caso di specie, la sentenza evidenzia che il Land ha confermato che il contratto collettivo "settore edilizio" non è un contratto collettivo dichiarato di applicazione generale. Infatti, l’effetto vincolante di un contratto collettivo del genere di quello oggetto della causa principale si estende soltanto a una parte del settore edilizio che rientra nell’ambito di applicazione territoriale del contratto collettivo medesimo, poiché la legislazione che attribuisce lo stesso effetto vincolante si applica unicamente agli appalti pubblici e non anche a quelli privati. Ne consegue che un contratto collettivo come quello oggetto della causa principale non può essere considerato "in generale applicabile a tutte le imprese simili nell’ambito di applicazione territoriale e nella categoria professionale o industriale interessata". Pertanto, la direttiva 96/71, interpretata alla luce dell’articolo 49 Ce, non è compatibile con un provvedimento legislativo, applicato nel contesto innanzi descritto, che imponga agli enti pubblici di attribuire gli appalti relativi a lavori edili esclusivamente alle imprese che si impegnano a corrispondere ai propri dipendenti una retribuzione non inferiore a quella minima prevista dal contratto collettivo vigente nel luogo dell’esecuzione dei lavori in questione.
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