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Giurisprudenza

Un trasloco abroad non è estinzione.
Ora interloquisce il rappresentante

Il trasferimento oltre confine della sede non interrompe la continuità giuridica dell’ente. Nel caso contrario, i soci avrebbero ereditato il titolo di litisconsorti necessari

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La cancellazione di una società dal registro delle imprese che avviene, non a seguito del procedimento di liquidazione dell’ente o per cessazione dell’attività d’impresa, da cui la legge faccia discendere l’effetto necessario della cancellazione, ma come conseguenza del trasferimento all’estero della sede della società, non ne determina l’estinzione ai sensi dell’articolo 2495 cc.
Ne deriva che è legittima la notifica dell’avviso di accertamento alla società effettuata nei confronti del legale rappresentante, né si determina quel fenomeno successorio invocato dalle Sezioni unite con la sentenza 6070/2013, che avrebbe determinato la necessità di assicurare la presenza in giudizio di tutti i soci.
Sono i principi che si desumono dalla sentenza della Cassazione n. 6388 dello scorso 19 marzo.
 
La vicenda
Il tutto prende le mosse da un avviso di accertamento notificato, nel 2002, a una società cessata oltre quattro anni prima (nel marzo del 1998), con il quale l’Amministrazione finanziaria contestava l’omessa dichiarazione Iva, la mancata tenuta dei registri e l’omessa fatturazione di operazioni imponibili, con conseguente irrogazione della relativa sanzione amministrativa.
La società impugnava l’atto con ricorso rigettato sia in primo grado sia in appello. In particolare, la Ctr riteneva corretta la motivazione dell’avviso, che faceva riferimento al precedente verbale della Guardia di finanza.
Inevitabile, allora, il ricorso per cassazione da parte dei rappresentanti legali della società.
 
Il vero aspetto interessante della pronuncia riguarda una questione che i giudici di legittimità pongono come pregiudiziale: infatti, avvalendosi del disposto di cui all’articolo 384, comma 3, codice di procedura civile (secondo cui, se la Corte ritiene di sollevare una questione rilevata d’ufficio, deve riservare la decisione, provocando il contraddittorio sulla stessa. La disposizione, come del resto, in via generale, l’articolo 101, comma 2, cpc, in attuazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio fissati dall’articolo 111 della Costituzione, mira a evitare il fenomeno delle decisioni “a sorpresa” o “di terza via”), assegnavano alle parti un termine per produrre memorie su una questione rilevabile d’ufficio, attinente alla corretta instaurazione del contraddittorio nelle diverse fasi processuali. Le perplessità dei giudici si basavano sulla cancellazione della società dal registro delle imprese e sui conseguenti effetti sostanziali e, soprattutto, processuali alla luce del novellato articolo 2495 cc, come interpretato dalle Sezioni unite della Cassazione (sentenze 4060, 4061 e 4062 del 2010 e, più di recente, sentenza 6070/2013).
 
Dalle memorie e dai documenti prodotti dalle parti risultava che, dopo un ricambio della compagine, la società ricorrente dapprima aveva cessato la propria attività in Italia, poi il 21 maggio 1998 veniva cancellata dal registro delle imprese, con trasferimento della sede legale a Parigi.
Alla luce di tale quadro dei fatti, la Corte prende atto che la cancellazione della società è avvenuta, non a seguito di un procedimento di liquidazione o di altro evento che abbia implicato la cessazione dell’esercizio dell’attività, bensì come conseguenza del trasferimento all’estero della sede della società. E, per questo, stabilisce che “non può considerarsi verificata l'estinzione dell'ente, ai sensi dell'art. 2495 c.c. Tale norma, invero, àncora inequivocabilmente l'estinzione della società alla cancellazione avvenuta all'esito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione, a norma del co. 1 della medesima disposizione”.
 
In altre parole, il trasferimento all’estero non determina il venir meno della persona giuridica né, tanto meno, la cessazione dell’attività: ciò si desume da un’interpretazione sistematica delle norme del codice civile, ovvero degli articoli 2437, comma 1, lettera c), e 2473, comma 1, cc, i quali prevedono, rispettivamente per le società per azioni e per quelle a responsabilità limitata, “la possibilità di recesso dall'ente - logicamente inconcepibile nei confronti di un soggetto estinto - dei soci che non abbiano concorso alle deliberazioni riguardanti il trasferimento della sede sociale all'estero” (cfr Cassazione, sezioni unite, sentenza 5945/2013).
 
Per questo motivo, nel caso concreto, è stata esclusa l’estinzione della società che avrebbe comportato, altrimenti, l’insorgenza di un fenomeno successorio (ex articolo 110, cpc): la valenza costitutiva della cancellazione dal registro delle imprese si sarebbe determinata solo a decorrere dall’1 gennaio 2004, come chiarito dalle sentenze 4060, 4061 e 4062 del 2010, da cui sarebbe conseguita la necessità di assicurare la presenza in giudizio di tutti i soci, quali litisconsorti necessari, come statuito dalle Sezioni unite con sentenza 6070/2013.
 
Ulteriori osservazioni
Le richiamate pronunce 4060, 4061 e 4062 del 2010 hanno stabilito alcuni importanti principi:
1) la cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese assume valenza costitutiva, nel senso di determinare l’estinzione irreversibile dell’ente collettivo (secondo l’altro orientamento, l’estinzione della società si determinava soltanto a seguito dell’effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti che alla stessa facevano capo, e della definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi: cfr Cassazione, sentenze 646/2007, 12114/2006 e 12553/2004)
2) tale effetto estintivo è destinato a operare in coincidenza con la cancellazione, se questa sia avvenuta in epoca successiva all’1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma, o a partire da tale data, qualora si tratti di cancellazione intervenuta in un momento a essa precedente. In proposito, i giudici di legittimità hanno rilevato come il novellato articolo 2495 è scritto in modo da regolare gli effetti estintivi a decorrere dall’entrata in vigore della riforma del diritto societario anche in rapporto alle cancellazioni precedenti, avendo carattere di jus superveniens ultrattivo e produttivo di effetti estintivi nuovi, anche per le pregresse cancellazioni…e non emergendo dal suo contenuto una pretesa di natura meramente interpretativa e ricognitiva della norma, che ne avrebbe comportato la retroattività
3) dalla stessa data – in virtù della natura costitutiva della cancellazione dal registro delle imprese – anche per le società di persone vale la regola del venir meno della capacità e legittimazione di esse…anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse società sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione delle società di capitali.
 
Più di recente, sempre a Sezioni unite, con sentenza 6070/2013, la Cassazione ha escluso che, con l’estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, si estinguano anche i debiti ancora insoddisfatti che a essa facevano capo: se così fosse, si finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui.
Ne consegue che l’unico modo per impedire che la società debitrice possa, attraverso un comportamento “meramente potestativo”, pregiudicare il diritto del creditore è riconoscere che i debiti non liquidati dalla società estinta si trasferiscano ipso iure in capo ai soci. Si innesca cioè un meccanismo di tipo successorio, sia pure sui generis, nell’ambito del quale “le ragioni del creditore sono destinate ad essere variamente contemperate con quelle degli “eredi” e che coinvolge i soci…a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali”.
 
Tutto ciò, sul piano processuale, comporta una serie di conseguenze:
  1. una società non più esistente, in quanto cancellata dal registro delle imprese, non può validamente intraprendere una causa, né esservi convenuta, in quanto viene meno la legittimazione processuale del rappresentante (cfr Cassazione, pronuncia 21195/2010)
  2. l’applicabilità dell’articolo 110 cpc (ai sensi del quale “Quando la parte vien meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”). Tale disposizione prevede, infatti, non solo la “morte” (riferibile alle persone fisiche) ma anche qualsiasi “altra causa” per cui la parte venga meno, tra cui rientra, evidentemente, anche l’estinzione dell’ente collettivo. Per tale motivo, ai fini strettamente processuali, non c’è motivo per non ritenere applicabili a tale fattispecie le disposizioni dettate dall’art. 299 c.p.c. e segg., in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione (a opera dei soci successori) o riassunzione (a opera del creditore mediante atto di citazione in riassunzione) della causa (cfr Cassazione, sentenza 7676/2012).
Tali problematiche non riguardano la vicenda in esame: la cancellazione della società dal registro delle imprese è avvenuta, infatti, non per effetto di un processo di tipo liquidatorio, ma solamente a seguito del trasferimento all’estero della sede legale, da cui non può desumersi, anche in base a un’interpretazione sistematica, l’estinzione dell’ente collettivo.
La conclusione è, del resto, conforme a una recente sentenza delle Sezioni unite (la 5945/2013), chiamate a pronunciarsi sull’applicabilità dell’articolo 10 della legge fallimentare (che fissa in un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese il limite oltre il quale non è più possibile essere dichiarati falliti) a una società cancellata a seguito di trasferimento della sede all’estero.
Queste le riflessioni della Corte suprema: “…nel caso in cui la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all'estero della sede della medesima società, e quindi sull'assunto che questa continui invece a svolgere la propria attività imprenditoriale, sia pure in altro stato, non v'è luogo per l'applicazione del citato art. 10. Il trasferimento della sede all'estero, almeno nei casi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi sul punto con i principi desumibili dalla legge italiana, non fa infatti venir meno la continuità giuridica della società trasferita (cfr. Cass., sez. un., 23 gennaio 2004, n. 1244, e Cass. 28 settembre 2005, n. 18944) e non ne comporta quindi in alcun modo la cessazione dell'attività, com'è reso ben evidente anche dal disposto dell'art. 2437 c.c., comma 1, lett. c), e art. 2473 c.c., comma 1”.
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