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Giurisprudenza

Tassare per trasparenza è legittimo,
anche se il reddito non è percepito

I membri delle società di persone devono dichiarare annualmente la quota del reddito imponibile prodotto dalla compagine, proporzionalmente alla loro partecipazione agli utili

tassazione per trasparenza

La società di persone diventa uno “schermo” dietro il quale i soci esercitano collettivamente un’attività economica. Risulta, quindi, legittimo prevedere l’imputazione ai soci del reddito societario prodotto, anche in assenza di utili effettivamente percepiti.
I giudici della Corte costituzionale, con la sentenza n. 201/2020, hanno confermato la legittimità della tassazione ai fini Irpef delle società di persone, secondo il cosiddetto principio di “trasparenza”, ovvero prevedendo l’imputazione pro-quota del reddito della società direttamente in capo ai soci.
 
Le disposizioni normative
Per le società di persone la tassazione Irpef segue le regole fissate dall’articolo 5 del Tuir riguardante i redditi prodotti in forma associata, il quale articolo prevede espressamente che “i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel  territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente  alla sua quota di partecipazione agli utili”.
La norma prevede dunque che i soci delle società di persone devono autonomamente dichiarare e tassare annualmente, con il proprio reddito complessivo, la quota del reddito imponibile prodotto dalla società partecipata in misura pari alla propria quota di partecipazione agli utili della società.
 
Le questioni di legittimità sollevate
Dubbi sulla legittimità di tale norma sono stati sollevati nel corso di un contenzioso tributario innescato da parte di alcuni soci di una società di persone che, vedendosi accertare dei maggior imponibili Irpef in capo alla società, contestavano la mancata percezione delle somme oggetto di accertamento. Inoltre, relativamente al caso di una società in accomandita semplice, veniva lamentata anche l’impossibilità del socio accomandante di avere piena contezza di quanto preteso dall’amministrazione.
In linea con tali eccezioni, la Commissione tributaria giudicante ha quindi sollevato questione di legittimità sulla citata disposizione, relativamente alla parte in cui prevede che la tassazione per trasparenza debba avvenire “indipendentemente dalla percezione”, in quanto potenzialmente in contrasto con i seguenti principi costituzionali:

  • con il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), in virtù della disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra i soci delle società di persone, che sono soggetti ad imposta pur non avendo conseguito alcun reddito, da un lato, e tutti gli altri soggetti egualmente privi di reddito, che sono invece esclusi da tassazione, dall’altro
  • con il principio di capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione), perché il socio delle società di persone, ove non sia percettore di reddito da partecipazione, verrebbe ugualmente assoggettato ad imposta
  • con il diritto dei soci della società di persone, e in particolare dei soci accomandanti, di vedersi tutelato il proprio diritto di difesa contro gli atti della pubblica amministrazione innanzi agli organi giurisdizionali (articoli 24 e 113 della Costituzione).

Con particolare riferimento ai primi due punti, sia la parte ricorrente che il giudice della Commissione tributaria reclamano una contraddizione nella tassazione per trasparenza, laddove mentre l’articolo 1 del Tuir richiederebbe, in generale per l’applicazione dell’Irpef, il “possesso” dei redditi in denaro o natura, che ai sensi del codice civile si intende come “materiale disponibilità di fruirne” ovvero come “capacità di disporne”, il successivo articolo 5 invece prevede, ai fini della medesima imposta, che i redditi prodotti in forma associata siano imputati a ciascun socio “indipendentemente dalla percezione”, così configurando una presunzione assoluta di attribuzione a tali soci dei redditi societari, anche se non effettivamente percepiti.
In merito alla violazione, per il caso di specie, del diritto alla difesa del socio contro gli atti della pubblica amministrazione, la questione nasce perché avendo la Commissione tributaria rimettente ritenuto dimostrato che, al tempo, il contribuente non sia riuscito a ricevere dal socio accomandatario informazioni circa l’andamento della gestione della società (oltre a non aver percepito alcun provento per la partecipazione societaria), la stessa ha reputato il socio accomandante leso nel suo diritto alla prova in giudizio, in quanto impossibilitato a dimostrare di non aver conseguito alcun reddito.
 
La legittimità della norma e le motivazioni dei giudici
I giudici costituzionali hanno ritenuto non fondate le motivazioni sostenute dalla parte e dalla Commissione tributaria per le seguenti ragioni.
Indipendentemente dall’imputazione ai soci, spetta al legislatore, nei limiti del principio di  ragionevolezza, definire il reddito quale sicuro indice di capacità contributiva. In tale contesto vengono previste dal Tuir varie tipologie di redditi, differenziate in base alle proprie caratteristiche, alcune delle quali non coincidono per forza con una res: il reddito d’impresa, ad esempio, in forza dell’articolo 83 del Tuir, è costituito da un dato contabile; i redditi fondiari invece possono rappresentare un dato solo figurativo.
Ebbene il termine “possesso”, previsto dall’articolo 1 del Tuir come condizione per la tassazione, non assume il significato tecnico che ha nel codice civile, ma viene inteso quale modo per identificare la relazione del soggetto con la peculiare manifestazione di capacità contributiva, costituita appunto dal reddito, seguendo le regole giuridiche previste per le singole categorie reddituali.
In questa prospettiva, il meccanismo di imputazione “per trasparenza” dei redditi prodotti dalle società di persone non costituisce una contraddizione rispetto alla nozione generale di presupposto d’imposta fissata nell’articolo 1 del Tuir, bensì una particolare manifestazione di questo in riferimento a una specifica fattispecie.
Per quanto concerne più precisamente la modalità di tassazione per trasparenza prevista dal legislatore, invece, i giudici di legittimità chiariscono prima di tutto che le società di persone non costituiscono un autonomo soggetto passivo d’imposta, ma sono assunti alla stregua di centri di riferimento per la determinazione del reddito, il quale viene attribuito ai soci al termine dell’esercizio e in base alle rispettive quote di partecipazione agli utili.
La scelta in tal senso operata dal legislatore consente di soddisfare sia l’interesse fiscale dello Stato alla percezione dei tributi, che l’interesse del contribuente a un’imposizione correlata alla propria capacità contributiva.
Questo meccanismo di tassazione, del tutto indipendente dalla materiale distribuzione degli utili civilistici, prevede che il reddito societario venga sterilizzato in capo al socio indipendentemente dalla sua sorte, avvicinando così la tassazione quanto più possibile alla momento della sua produzione. La scelta di traslare il reddito in capo ai soci risulta ancor più condivisibile se si tiene conto che nelle società di persone, spesso prive di un soddisfacente patrimonio proprio e senza un bilancio formale, dove il confine tra la sfera personale, patrimoniale e finanziaria dei soci e quella della società rimane incerto, può essere più difficoltosa la riscossione, soprattutto se differita nel tempo.
 
Dall’altro la scelta legislativa appare anche funzionale a esigenze di semplificazione, in quanto consente di evitare duplicazioni dell’imposizione (in capo alla società, sotto forma di utile, e in capo al socio, sotto forma di dividendo) con riguardo a soggetti, i soci delle suddette società, che esplicano i loro poteri in modo diretto (anche per i puntuali poteri di controllo che la disciplina civilistica riconosce a questi), e che sono a queste legati da un particolare vincolo di natura personale.
 
Relativamente all’esercizio del diritto di difesa, invece, viene ricordato dai giudici che il socio, anche accomandante, ha il potere e l’onere di controllare l’attività sociale (articoli 2261 e 2320 cc) e che, inoltre, deve vagliare la fondatezza delle prove offerte in giudizio dall’amministrazione finanziaria. Questo può pienamente esplicarsi contestando nel merito l’accertamento del reddito societario o la propria qualità di socio, senza che ciò precluda l’accertamento, ad altri fini, della responsabilità degli amministratori per il danno derivante ai soci.
Gli stessi giudici, infine, sottolineano come proprio il meccanismo d’imputazione per trasparenza, nonché la tassazione del socio “indipendentemente dalla percezione” del reddito, hanno portato la giurisprudenza di legittimità ad affermare il litisconsorzio necessario tra società e soci al fine di consentire, con pienezza di contraddittorio, la verifica in concreto del presupposto impositivo.

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