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Giurisprudenza

Sulle liberalità rilevate dall’ufficio
l’imposta di donazione è la più cara

L’esenzione dal tributo è applicabile solo nell’ipotesi di espressa dichiarazione contenuta nell’atto di “elargizione”, se invece se ne accorge l’amministrazione, l’adempimento diventa pesante

donazione

Sono soggette a tassazione, con l’aliquota più elevata, le liberalità indirette tra genitori e figli accertate dall’amministrazione finanziaria in sede di controllo. In assenza di un atto di donazione formale e della registrazione volontaria da parte del contribuente, sono inapplicabili le aliquote di favore previste dalle nuove norme sulle donazioni e successioni.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 28047 del 9 dicembre 2020, che ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
 
Il fatto e la pronuncia della Cassazione
La vicenda parte da un avviso di liquidazione dell’imposta sulle donazioni, che l’Agenzia delle entrate notifica in seguito all’avviso di un’istruttoria sulla posizione di una contribuente alla quale erano stati chiesti chiarimenti in relazione ad alcuni movimenti di capitale. La stessa giustificava tali movimenti con liberalità effettuate in suo favore dal padre, attraverso la liquidazione di alcune polizze.
Sugli importi eccedenti la franchigia di 350 milioni di vecchie lire, l’ufficio applicava l’imposta di donazione, con aliquota del 7%, ai sensi dell’articolo 56-bis, commi 1 e 2, Dlgs n. 346/1990.
La Ctr Campania, aderendo alla tesi della contribuente, ha annullato l’avviso di liquidazione ritenendo che le liberalità in questione erano da qualificarsi non come donazioni indirette, ma come donazioni dirette "tra genitore e figlio"; che non avesse rilevanza l'assenza delle formalità richieste dall'articolo 782 cc; e che, quindi la fattispecie non fosse riconducibile alla disciplina prevista dall’articolo 56-bis del citato decreto legislativo, ma alla generale disciplina dettata dall'articolo 2, commi 47, 49 e 50, Dl. n. 262/2006, che ha reintrodotto l'imposta sulle successioni e donazioni, con aliquota del 4% e franchigia di un milione di euro.
 
La controversia è così giunta in Cassazione, dove l’Agenzia delle entrate ha contestato la decisione nella parte in cui non aveva tenuto conto del fatto che la tassazione era avvenuta in seguito ad accertamento dell’ufficio e che le liberalità del padre non erano state minimamente comunicate all’amministrazione.
Secondo l’Agenzia, l’articolo 56-bis conserva il proprio ambito applicativo anche a seguito del nuovo sistema delle aliquote e franchigie. In altri termini, anche dopo le modifiche apportate al complessivo impianto normativo delle imposte sulle successioni e donazioni, l'articolo 56-bis non può ritenersi affatto implicitamente abrogato, perché si tratta di disposizione che ha una propria ragion d'essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dal Tus.
Sul punto, ricordiamo che l’articolo in argomento consente all’ufficio di procedere all’accertamento delle liberalità indirette diverse da quelle registrate, in presenza di due condizioni:
a) l’esistenza della liberalità deve risultare da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi
b) le liberalità devono avere determinato un incremento patrimoniale superiore alle franchigie di legge.
 
La suprema Corte, nell’accogliere la domanda, ha affermato che con l'introduzione dell'articolo 56-bis, il legislatore ha previsto una disciplina per le "liberalità diverse dalle donazioni", quali appunto sono le liberalità “indirette”, ampio genus nel quale rientrano, e rilevano, ai fini impositivi considerati dalla norma, liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione, per cui anche la donazione per così dire "informale" non sembra estranea al meccanismo di emersione, atteso che l'inosservanza della forma pubblica e la relativa sanzione della nullità dell’atto di donazione, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono sul piano tributario. Ebbene, per queste liberalità l’aliquota da applicare è quella dell’8% sul valore che eccede la franchigia, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore (l'aliquota del 7% non esiste più e non appare coerente "mescolare" tra loro aliquote e franchigie vecchie e nuove).
 
Osservazioni
Anche sulle liberalità indirette, collegate ad atti di trasferimento di diritti immobiliari, la Cassazione ha adottato un atteggiamento restrittivo.
Infatti la donazione è esente da imposta solo nel caso di espressa dichiarazione contenuta nell’atto di donazione.
Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 13133/2016, secondo cui, per essere esente da imposta, la donazione indiretta va espressamente menzionata nel contratto di compravendita cui la liberalità indiretta è collegata, ciò ai sensi dell’articolo 1, comma 4-bis, Dlgs n. 346/1990, secondo cui “ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”.
 

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