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Giurisprudenza

Lo strumento dello scudo fiscale
non chiude la strada al redditometro

Secondo i giudici di legittimità non si possono automaticamente escludere le fattispecie in cui l’accertamento abbia a oggetto comportamenti estranei alle attività scudate

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Affinché nell’ambito dello scudo fiscale operi l'effetto preclusivo si richiede, oltre all'elemento quantitativo e numerico tra il reddito accertato e le attività “scudate”, anche il collegamento tra l'importo delle somme rimpatriate e l'imponibile oggetto di verifica fiscale. Il principio si ricava dalla lettura dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 4719 del 22 febbraio 2021, che cassa con rinvio una sentenza che aveva ritenuto automaticamente operante l’effetto preclusivo dello “scudo fiscale” opposto dalla contribuente.

La disciplina dello scudo fiscale del 2009
Con l’articolo 13-bis del Dl n. 78/2009, come modificato in sede di conversione dalla legge n.. 141/2009, fu istituita un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione degli obblighi di monitoraggio; tale imposta, pari al 5%, inclusi sanzioni e interessi, si applicava sulle attività detenute prima del 31 dicembre 2008, e rimpatriate o regolarizzate (cioè mantenute all’estero ma dichiarate) tra il 15 settembre 2009 e, per effetto della proroga di cui al Dl n. 194/2019, il 30 aprile 2010.

Alla disposizione, per una cui esaustiva trattazione è opportuno rinviare alla Circolare n. 43/E/2009 dall’Agenzia delle Entrate, si fa comunemente riferimento come scudo fiscale “ter”, perché costituisce la riproposizione delle due precedenti regolarizzazioni (articoli 11 e seguenti del Dl n. 350/2001 e 1 del Dl n. 12/2012, entrambi richiamati, quanto a modalità ed effetti, dall’articolo 13-bis.

Il pagamento dell’imposta sostitutiva comportava una serie di protezioni (lo “scudo”) rispetto agli obblighi antiriclaggio e alla punibilità penale: veniva infatti esclusa, tra l’altro, la punibilità per i delitti di cui agli articoli. 2, 3, 4, 5 e 10 del Dlgs. n. 74/2000 “limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo”.
Si prevedeva poi, al comma 3, che il rimpatrio o la regolarizzazione non potessero costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in ogni sede amministrativa o giudiziaria (civile amministrativa e tributaria), con esclusione dei procedimenti già in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge.
Il tema affrontato dall’ordinanza in commento è appunto quello del rapporto tra il rimpatrio o la regolarizzazione e l’attività di accertamento.

Il rapporto tra lo scudo fiscale e l’attività di accertamento
L’oggetto del giudizio è costituito da tre avvisi di accertamento emessi, per gli anni 2005, 2006 e 2007, ai sensi dell’articolo 38 del Dpr n. 600/1973; si tratta, pertanto, di “vecchi” (ovvero, ante-Dl  78/2010) accertamenti sintetici.
Soccombente in primo e in secondo grado, con la motivazione che il rimpatrio e la regolarizzazione fossero opponibili anche agli atti di accertamento sintetici per i periodi d’imposta precedenti all’emersione delle attività all’estero, l’Agenzia ha impugnato la sentenza di appello lamentando la violazione dei (già richiamati) articoli 13-bis del Dl n. 78/2009 e 14 del Dl n. 350/2001, in relazione all’articolo 38 del Dpr n. 600/1973. Secondo l’Amministrazione, la Ctr aveva commesso l’errore di limitarsi a prendere atto del perfezionamento del rimpatrio, anziché esigere la prova dell'utilizzazione delle somme depositate all'estero per il mantenimento del tenore di vita contestato dall'Ufficio.

La Corte ha accolto il ricorso sulla base di un esame congiunto delle due disposizioni.
Lo scudo fiscale “ter” richiamava al quinto comma, tra gli altri, l’articolo 14 del Dl n. 350/2001, secondo il cui comma 1, lettera a) il rimpatrio precludeva l’accertamento per i periodi d’imposta per i quali, alla data di entrata in vigore del Dl, non fosse ancora scaduto il termine di decadenza, “limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all'estero e oggetto di rimpatrio”; tutto ciò a condizione che il contribuente non avesse già formale notizia dell’avvio di attività ispettive, sul versante amministrativo o penale.
Secondo la Corte, la clausola “limitatamente agli imponibili” non può assumere, a pena di violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e capacità contributiva, il significato di una “franchigia da accertamenti di qualsiasi genere e natura”.

Deve essere inoltre considerato, aggiunge la Corte, che il legislatore ha introdotto una misura agevolativa che, in coerenza con la sua natura eccezionale e derogatoria, deve essere interpretata in maniera restrittiva ponendo a carico del contribuente l’onere della prova dei presupposti che ne legittimano la richiesta. Si tratta di una giurisprudenza consolidata; oltre alle pronunce indicate nella motivazione, è possibile richiamare la Cassazione n. 31491/2019, secondo cui “grava sul contribuente, a fronte del diritto di credito dell'Amministrazione finanziaria al tributo, fondato sull'allegazione di un maggiore imponibile, l'onere di dimostrare che la pendenza tributaria sia stata definita con l'adempimento di tutte le prescrizioni previste dalla legge sul condono” (con la conseguenza che – si legge in motivazione – il contribuente “non poteva limitarsi a dedurre di aver presentato la domanda di condono, ma avrebbe dovuto precisare quali ulteriori documenti da essa prodotti provavano che l'obbligazione contestata era stata estinta”). Dello stesso avviso è anche la giurisprudenza delle Sezioni Penali (Cassazione n. 2221/2015 in tema di confisca di prevenzione e n. 31549/2019).
L’effetto preclusivo dello scudo sull’accertamento richiede, oltre all’ovvio nesso quantitativo tra la ricchezza scudata e il reddito accertato, anche una correlazione oggettiva (“quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione”) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati. Il reddito oggetto di accertamento, in altri termini, deve essere collegato (e di tale collegamento, come detto, deve dar prova il contribuente) proprio alle somme o ai beni emersi a seguito dei rimpatrio, perché lo “scudo” non può assurgere a fatto impeditivo dell’accertamento ove quest’ultimo abbia ad oggetto componenti estranei, o non compatibili, rispetto alle attività rimpatriate. Tutto ciò sebbene, come affermato anche dall’Agenzia delle entrate nella circolare n.. 43/E/2009 (§ 10), lo scudo sia in astratto compatibile anche con l’accertamento sintetico.
La motivazione non consente di individuare con certezza i motivi per i quali la Corte nel caso di specie abbia rinviato la causa alla Ctr per l’esame del rapporto tra imponibili accertati e attività rimpatriate, ma è ragionevole ipotizzare che la decisione sia dipesa dal fatto che gli anni d’imposta oggetto di accertamento fossero precedenti alla regolarizzazione. In effetti, qualora il redditometro si fondi sul possesso di beni, indici di maggiore capacità contributiva, acquistati prima (nel caso di specie, nel triennio 2005/2007) dell’emersione, è difficile ipotizzare un collegamento con attività scudate nel 2009/2010. Né il mantenimento di tali beni può essere avvenuto con disponibilità all’estero, fatte rientrare solo successivamente.

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