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Giurisprudenza

La “stella” Michelin non lega bene
con la vitivinicoltura dell’azienda

Né inerenti né adeguati e, perciò, indeducibili i costi sostenuti dalla coop agricola per prestazioni “gourmet” nel locale affittato: l’operazione è commerciale e così va trattata

calici di vino
Con la decisone n. 96 del 17 ottobre 2016, la Ctr di Trento, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ha stabilito che le spese sostenute da una cooperativa agricola, esercente attività vitivinicola, nel campo della ristorazione di qualità a fini pubblicitari e quelle dirette ad aumentare il volume delle vendite, derivanti dal contratto di locazione dei locali del ristorante “stellato”, dato in comodato gratuito a una società gestore, nonché per le attrezzature, i mobili, eccetera, devono essere proporzionate al tipo di attività svolta.
Per cui, che l’Amministrazione finanziaria legittimamente può disconoscere la deducibilità dei relativi costi sulla base del principio di inerenza, disciplinato dall’articolo 109 del Tuir.
 
La fattispecie
Con avviso di accertamento ai fini Ires e Irap relative all’anno 2007, l’Amministrazione finanziaria ha recuperato i costi imputati a promozione e pubblicità sostenuti dalla cooperativa agricola e riferiti alla gestione del ristorante, in quanto non inerenti, in base all’articolo 109 del Tuir, all’attività che questa dovrebbe svolgere. In sostanza, il recupero riguardava ingenti spese sostenute per l’affitto e la gestione di un ristorante, da parte della società con fine mutualistico.
 
Secondo la cooperativa (una cantina) che aveva impugnato l’accertamento, i costi erano stati sostenuti al fine di promuovere, attraverso un ristorante rigorosamente di qualità (riconosciuto con stella Michelin), i propri prodotti (vini), nelle loro linee di maggior prestigio, proposti con carattere preferenziale rispetto ad altri vini. Si trattava, in sostanza, di una forma alternativa di pubblicità – rispetto, ad esempio, a inserzioni su giornali, spot radiofonici o televisivi – e le relative spese erano, dunque, da ritenersi inerenti perché dirette alla produzione di utili.
In pratica, per la società, l’interesse era quello di associare il proprio marchio a un “ristorante stellato”, cioè censito dalla guida Michelin, così da trarne vantaggio in termini d’immagine.
 
Le spese di pubblicità hanno come scopo preminente quello di informare i consumatori circa l’esistenza di beni e servizi prodotti dall’impresa, con l’evidenziazione e l’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfare i bisogni, al fine di incrementare le vendite. Dunque, esse danno luogo ad aspettativa di incremento del processo di vendita.
Circa la deducibilità di tali costi, il giudice di primo grado aveva riconosciuto sussistenti i requisiti dettati dal legislatore per le spese di pubblicità e di promozione. Riteneva, pertanto, illegittima la pretesa fiscale.
 
Appellava l’ufficio contestando l’attività extra agricola svolta dalla cooperativa e, quindi, ritenendo che il trattamento fiscale era quello di ogni società con fine di lucro. In particolare, per l’Amministrazione, il giudice a quo non aveva tenuto nel debito conto che il costo della locazione dei locali al ristorante era da considerarsi non inerente all’attività agricola, per cui, tale componente negativa di spesa portata in diminuzione era da escludere.
Al contrario, per la cooperativa appellata, i costi erano da attribuire esclusivamente all’attività agricola, perché diretti a incrementare il processo delle vendite dei prodotti.
 
La decisione di appello
La Commissione tributaria regionale, con la decisione 96/2016, in riferimento ai predetti costi imputati all’attività agricola, ha chiarito: “I costi che la ricorrente sopporta possono ritenersi inerenti ad una precisa attività imprenditoriale, che la stessa ha scelto di intraprendere. Ma questa attività non è in alcun modo riconducibile, per le caratteristiche che sembra assumere sin dai contratti di locazione .. alle attività che una cooperativa agricola a mutualità prevalente dovrebbe svolgere, a mente dell’art. 2512, comma 1, punti 1, 2 e 3 del codice civile e dell’art. 10 del DPR n. 601/1973, non ricorrendo nel caso di specie neppure l’ipotesi della vendita dei prodotti vitivinicoli”.
 
Secondo i giudici di secondo grado, l’attività extra agricola svolta dalla società è da assoggettare al trattamento fiscale di una qualsiasi impresa avente natura commerciale.
Per cui né per le spese di locazione dei locali del ristorante né per quelle relative all’incremento degli utili e delle vendite che, a dire della cooperativa, sarebbero derivate dalla pubblicità nella forma immaginata, è stato possibile riconoscere la deduzione.
Ritenendo i giudici che “alla stella conquistata da quel ristorante non sono associati la produzione e l’offerta dei vini”. In quanto, sostanzialmente, sempre si legge nella motivazione della decisione, “L’atteso risultato, in termini di maggiori vendite, derivante da questa forma di pubblicità legata all’offerta al consumatore di vini della propria cantina, il cui nome è inserito in una lista di altrettanti vini di pregio, non è apprezzabile perché quella stessa offerta è destinata ad un numero limitato di consumatori”. Per cui, per i giudici di appello, è evidente che non tutti i clienti di quel ristorante avrebbero chiesto soltanto vini prodotti dalla società, per tale ragione l’offerta assumeva rilevanza marginale.
Dunque, nel caso prospettato alla commissione di appello trentina, l’aspetto imprenditoriale è emerso con prevalenza rispetto alla attività agricola con scopi mutualistici che la società vantava di avere.
 
Tale pronuncia è in linea con quanto più volte affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui “i costi per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità” (cfr Cassazione 10167/2012, 13806/2014, 1565/2014).
Invece, le plurime circostanze rilevate in sede istruttoria hanno condotto a qualificare il costo esaminato alla stregua di un costo privo dei requisiti dell’inerenza, posto che “… la inerenza di una spesa deve essere valutata in relazione al soggetto che la spesa affronta, ed in relazione ai servizi e ai beni che attraverso questa spesa il medesimo soggetto si assicura” (Cassazione 10257/2008).
 
Ancora, ai fini della deducibilità di un costo, la Cassazione chiarisce che “… non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa’ (6650/06) … trattandosi peraltro di una componente negativa del reddito si è inoltre precisato che, ‘la prova della sua esistenza ed inerenza incombe al contribuente’ (1709/07)”.
 
L’Agenzia delle Entrate si era già espressa con la risoluzione 90/2001, in cui si affermava testualmente che “.. ai sensi dell'art. 75 del Tuir, (n.d.r. attuale art. 109) infine, le componenti negative rilevanti ai fini della determinazione del beneficio fiscale di cui trattasi, devono essere certe nell'esistenza e determinabili in modo obiettivo nell'ammontare, e riferirsi ad attività o beni suscettibili di generare ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”.
Quindi, il ragionamento svolto dai giudici di appello si pone in sintonia con i richiamati principi interpretativi in quanto, nel caso di specie, il costo sostenuto nell’attività agricola, da ritenersi sproporzionato (circa 170mila euro) rispetto al beneficio ricevuto.
Infatti, si palesa una evidente sproporzione tra la prestazione sostenuta – rectius il costo pagato per locazione, arredi e manutenzione – e la controprestazione ricevuta, caratterizzata da indeterminatezza.
Ne consegue che la prima sentenza impugnata non soddisfa il descritto principio di proporzionalità all’attività agricola e, quindi, viola il richiamato principio di inerenza; da qui, la riforma della medesima in sede di appello.
Pertanto, bene ha fatto l’ufficio resistente a contestare la deducibilità dei costi in esame e la violazione dell’articolo 109 del Tuir.
 
Osservazioni
Nella sentenza in commento, i giudici del riesame ribadiscono un principio generale immanente nell’ordinamento tributario, quello in base al quale, ai fini della deducibilità dei costi e delle spese dal reddito d’impresa, occorre che questi siano correlati (e anche proporzionati) con l’attività che produce ricavi imponibili.
Pertanto, i costi e le spese sono deducibili se, oltre a rispettare il principio di competenza, di certezza e determinatezza o determinabilità, rispettano anche il principio di inerenza in relazione al soggetto che li affronta; diversamente, l’amministrazione finanziaria contesta la congruità dei costi esposti nel bilancio e nella dichiarazione, come avvenuto nella fattispecie.
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