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Giurisprudenza

Le spese legali diventano deducibili
solo con l’esaurimento dell’incarico

Le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito sono tassative e non consentono di ascrivere a un esercizio diverso da quello che per legge è “di competenza”

Apprezzando gli assunti erariali, con sentenza 11 agosto 2016, n. 16969, la Corte di cassazione ha stabilito che il corrispettivo della prestazione del professionista legale e la relativa spesa si considerano, rispettivamente, conseguito e sostenuta quando la prestazione è condotta a termine (ex articolo 75 del previgente Tuir) per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale.
 
La controversia
Nel caso di specie, una società aveva dedotto nel periodo di imposta 2002, tra l’altro, costi per prestazioni di assistenza legale relativi a una causa ancora in corso.
L’ufficio aveva contestato tali oneri in quanto costi non di competenza per prestazioni relative a causa pendente, atteso che gli stessi non erano deducibili dal reddito di impresa se non a prestazione ultimata.
 
L’opposizione societaria venne accolta in primo grado e confermata in appello, motivando, il giudice del gravame, che il professionista ha diritto all’immediata percezione del compenso per ogni singola prestazione resa – che si considera ultimata in quel momento – a prescindere dall’esito della causa e dalla incertezza del componente negativo del reddito derivante dalla non definitività dell’ammontare delle spese.
 
Nel conseguente ricorso per cassazione, l’erario, insistendo sulle proprie posizioni, denuncia violazione dell’articolo 75 (ora 109) del Tuir, trattandosi di componente negativo di reddito che non risultava ancora determinato nel 2002, non essendo ancora conclusa l’inerente controversia giudiziaria.
 
La decisione
La Corte suprema ritiene il ricorso erariale meritevole di accoglimento, stabilendo il principio di diritto (cui dovrà uniformarsi il giudice del rinvio) che il corrispettivo della prestazione del professionista legale e la relativa spesa si considerano rispettivamente conseguito e sostenuta quando la prestazione è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale.
Pertanto, non essendosi conclusa la controversia giudiziaria, il componente negativo di reddito, non risultava ancora maturato e, quindi, non poteva essere dedotto.
 
Nel merito della vicenda, occorre rilevare che, in base all’articolo 2234 cc, “il cliente, salva diversa pattuizione, deve anticipare al prestatore d’opera le spese occorrenti al compimento dell’opera e corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso”.
Tale disposizione costituisce, da un lato, specifica esplicazione dell’obbligo di collaborazione che grava sul cliente, così da porre il prestatore in condizioni di dare inizio e di proseguire la propria opera e, sotto dall’altro, vale a mitigare la regola della cosiddetta “postnumerazione” (articoli 2225 e 2233 cc), secondo cui il diritto al compenso pattuito matura una volta posta in essere una prestazione tecnicamente idonea a raggiungere il risultato a cui la prestazione è diretta (cfr Cassazione, 19215/2005).
 
La prestazione difensiva ha così carattere unitario e ciò importa che gli onorari di avvocato debbano essere liquidati in base alla tariffa vigente nel momento in cui la prestazione è condotta a termine per effetto dell’esaurimento o della cessazione dell’incarico professionale, unitarietà che va rapportata ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio e, quindi, al momento della pronunzia che chiude ciascun grado (fra le tante, cfr Cassazione, 17059/2007).
 
Ulteriore manifestazione dell’unitarietà della prestazione ed elemento dirimente la controversia è la decorrenza della prescrizione.
A tal fine, infatti, l’“ultima prestazione” dalla quale va calcolato il termine triennale stabilito dall’articolo 2956 cc per la decorrenza della prescrizione del diritto dell’avvocato al compenso, ex articolo 2957 cc, va individuata con riferimento all’espletamento dell’incarico conferito dal cliente (cfr Cassazione, 13401/2015).
Poiché detto incarico si fonda sul contratto di patrocinio (rectius, mandato) e non sul rilascio della procura ad litem (ex plurimis, cfr Cassazione, 8388/1997), il termine di prescrizione inizia a decorrere dall’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico che, nel caso di prestazioni rese in due gradi di giudizio, coincide con la pubblicazione della sentenza d’appello (cfr Cassazione, 12326/2001).
Il dies a quo per l’inizio del termine di prescrizione è la data del passaggio in giudicato della sentenza (cfr Cassazione, 13401/2015).
 
Conclusioni
Nel caso di specie, quindi, il giudice di merito ha erroneamente statuito il contrario, riconoscendo il diritto del professionista all’immediata percezione del compenso per ogni singola prestazione, dove la prestazione stessa, essendo indipendente dalla decisione della lite, va intesa come singolo atto.
Peraltro, in base all’articolo 75 del Tuir, i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute alla data in cui le prestazioni sono ultimate.
Tali regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito sono tassative e inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo del reddito a un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza (cfr Cassazione, 27296/2014).
 
In conclusione, nella pronuncia in esame, la Cassazione puntualizza – sulla scorta dell’inequivoco dato normativo – che qualsiasi prestazione professionale possa essere dedotta solo all’ultimazione dell’incarico, e non a stato di avanzamento (cfr anche Cassazione, 9068/2015).
 
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