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Giurisprudenza

Si all’imposta straordinaria
sulle “telefoniche” controllate estere

All’attenzione dei giudici comunitari la normativa ungherese che tassava gli utili di un grande operatore di telefonia ungherese, facente parte di un gruppo con sede nel Regno Unito

telefono

La Corte di giustizia ha stabilito che non contrasta con il diritto europeo un’imposta progressiva sul volume d’affari di una società nazionale di telecomunicazioni, controllata da una compagine estera, né si tratta di una “doppia Iva”, giustificata invece dalla realizzazione guadagni molto consistenti per quel mercato (causa C-75/2018).

I fatti
Al centro della vicenda vi era una società ungherese, operante nel mercato delle telecomunicazioni, il cui unico azionista era un’altra società, con sede nei Paesi Bassi.
Detta compagine ungherese faceva parte di un gruppo, con sede nel Regno Unito, e costituiva, con oltre il 20% delle quote di mercato, il terzo più importante operatore del mercato ungherese delle telecomunicazioni.

Il procedimento amministrativo ed il contenzioso nazionale
La società ungherese riceveva un accertamento, da parte del Fisco nazionale, riguardante la globalità delle imposte pagate e degli aiuti di bilancio percepiti per un quadriennio.
L’atto impositivo veniva dapprima reclamato e, poi, impugnato dalla società avanti al Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, eccependo che fosse infondato il contestato obbligo di versamento dell’imposta straordinaria e sostenendo che la normativa attinente a tale imposta rappresentasse un aiuto di Stato vietato e contrario all’articolo 401 della direttiva Iva.

Le questioni pregiudiziali
Pertanto, il tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, constatato un possibile contrasto con il diritto europeo e sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte di giustizia le questioni pregiudiziali che seguono:

  • se le disposizioni degli articoli 49, 54, 107 e 108 Tfue debbano essere interpretate nel senso che ostano ad una misura di uno Stato membro nell’ambito della quale la normativa nazionale ha per effetto che il carico fiscale effettivo grava su soggetti passivi detenuti da soggetti stranieri, e se tale effetto sia indirettamente discriminatorio;
  • se gli articoli 107 e 108 Tfue ostino alle disposizioni di uno Stato membro che istituiscono un’imposta progressiva gravante sul volume d’affari. Se tale normativa debba essere considerata indirettamente discriminatoria laddove ne derivi che il carico fiscale effettivo, nello scaglione più elevato, gravi prevalentemente su soggetti passivi detenuti da soggetti stranieri, e se tale effetto costituisca un aiuto di Stato vietato;
  • se l’articolo 401 della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che osti a disposizioni di uno Stato membro che producano una disparità di trattamento tra soggetti passivi stranieri e nazionali. Se l’imposta straordinaria presenti natura di imposta sul volume d’affari, vale a dire se sia un’imposta compatibile o incompatibile con la direttiva Iva.


La risposta della Corte
La Corte di giustizia premette, per motivi di natura esclusivamente processuale, l’irricevibilità della seconda questione pregiudiziale ad essa sottoposta e la ricevibilità della prima, che, quindi, viene esaminata nel merito.
Ciò posto, i giudici comunitari osservano che la società al centro della vicenda ha sede in Ungheria, ma è detenuta al 100% da altra società, con sede nei Paesi Bassi. Pertanto, poiché tale società madre esercita la propria attività nel mercato ungherese tramite una controllata, la sua libertà di stabilimento può essere pregiudicata da qualsiasi restrizione che colpisca quest’ultima.
Tuttavia, nel caso di specie – prosegue la Corte di giustizia - la legge relativa all’imposta straordinaria su determinati settori non opera alcuna distinzione tra le imprese in base al luogo in cui hanno la loro sede societaria. Infatti, tutte le imprese operanti in Ungheria nel settore delle telecomunicazioni sono soggette a tale imposta e le aliquote d’imposta rispettivamente applicabili ai diversi scaglioni di volume d’affari definiti da tale legge valgono per tutte le imprese in questione.
Tale legge non introduce quindi alcuna discriminazione diretta.

I presupposti dell’imposta straordinaria
Quanto alla sollevata censura di discriminazione indiretta a danno dei soggetti passivi detenuti da persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri, i togati comunitari osservano che l’imposta straordinaria è un’imposta progressiva basata sul volume d’affari e comprende:

  • uno scaglione di base tassato allo 0% per la parte della base imponibile non superiore a 500 milioni di HUF (ad oggi 1,5 milioni di EUR circa)
  • uno scaglione intermedio tassato al 4,5% per la parte della base imponibile compresa tra 500 milioni e 5 miliardi di HUF (ad oggi, tra 1,5 e 15 milioni di EUR circa)
  • uno scaglione superiore tassato al 6,5% per la parte della base imponibile superiore a 5 miliardi di HUF (ad oggi, 15 milioni di EUR circa).

In proposito, risulta che, per il periodo in questione, per quanto riguarda l’attività di telecomunicazioni, i soggetti passivi rientranti nel solo scaglione di base erano tutti soggetti passivi appartenenti a persone fisiche o giuridiche ungheresi, che quelli rientranti nello scaglione intermedio erano per metà soggetti passivi appartenenti a persone fisiche o giuridiche ungheresi e per metà soggetti passivi appartenenti a persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri e che quelli rientranti nello scaglione superiore erano in maggioranza soggetti passivi appartenenti a persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri.
Inoltre, durante tale periodo, la maggior parte dell’imposta straordinaria è stata assolta da soggetti passivi detenuti da persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri.
Rispetto a queste evidenze, la Corte di giustizia ricorda che gli Stati membri sono liberi di istituire il sistema fiscale che ritengono più idoneo, cosicché l’applicazione di una tassazione progressiva rientra nel potere discrezionale di ciascuno Stato membro e che un’imposizione progressiva può essere basata sul volume d’affari, in quanto, per un verso, l’importo del volume d’affari rappresenta un criterio distintivo neutro e, per altro verso, esso rappresenta un indicatore pertinente della capacità contributiva dei soggetti passivi.

La conformità al diritto europeo della legge ungherese
In sostanza, mediante l’applicazione di un regime progressivo basato sul volume d’affari, la legge ungherese ha inteso tassare i soggetti passivi che dispongono di una capacità contributiva «superiore agli obblighi tributari generali».
E la circostanza che la parte più rilevante di una siffatta imposta straordinaria venga sopportata da soggetti passivi detenuti da persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri non può essere tale da costituire, di per se stessa, una discriminazione, atteso che il mercato ungherese delle telecomunicazioni è dominato da siffatti soggetti passivi, che vi realizzano i volumi d’affari più consistenti. Essa rappresenta, quindi, un indicatore contingente, se non addirittura aleatorio, che può risultare soddisfatto, peraltro, anche nell’ambito di un sistema impositivo proporzionale, ogni qualvolta il mercato interessato sia dominato da imprese di altri Stati membri o di Stati terzi o da imprese nazionali detenute da persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri o di Stati terzi.
In definitiva – inferisce la Corte - le aliquote progressive dell’imposta straordinaria non introducono, per loro stessa natura, alcuna discriminazione fondata sul luogo in cui si trova la sede delle società, tra soggetti passivi detenuti da persone fisiche o giuridiche ungheresi e soggetti passivi detenuti da persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri.

Imposta straordinaria e Iva: “gemelli diversi”
Passando a scrutinare la terza questione pregiudiziale ad esso sottoposta, il Collegio di Lussemburgo ricorda che l’articolo 401 direttiva Iva non vieta a uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbiano il carattere di imposta sul volume d’affari, sempreché tale imposta, diritto o tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.
;per valutare se un’imposta, un diritto o una tassa abbiano la natura di imposta sul volume d’affari, occorre in particolare verificare se essi abbiano l’effetto di danneggiare il funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto (Iva), gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpendo le operazioni commerciali in modo analogo all’Iva.
Ciò, osserva la Corte, non avviene nel caso di specie poichè l’imposta straordinaria non presenta alcune delle caratteristiche essenziali dell’Iva, ossia la riscossione dell’imposta in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione, nonché l’esistenza di un diritto a detrazione dell’imposta pagata in occasione della precedente fase del processo stesso.
Diversamente dall’Iva, l’imposta in esame, che ha come base imponibile il volume d’affari netto del soggetto passivo interessato, non viene riscossa in ciascuna fase del processo citato, non implica un meccanismo analogo a quello del diritto a detrazione dell’Iva e non si basa unicamente sul valore aggiunto nelle diverse fasi del processo stesso.
Conclusivamente, a parere dei togati comunitari, l’imposta straordinaria non presenta tutte le caratteristiche essenziali dell’Iva e non è, quindi, interessata dal divieto previsto all’art. 401 direttiva Iva.

Conclusioni
Gli articoli 49 e 54 Tfue devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla normativa di uno Stato membro che istituisce un’imposta progressiva sul volume d’affari, il cui onere effettivo è principalmente sostenuto da imprese controllate direttamente o indirettamente da cittadini di altri Stati membri o da società aventi sede in un altro Stato membro, in ragione del fatto che tali imprese realizzano i volumi d’affari più consistenti sul mercato di cui trattasi.
L’articolo 401 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione di un’imposta che abbia come base imponibile il volume d’affari globale del soggetto passivo e che sia riscossa periodicamente, e non in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione, senza che sussista un diritto a detrazione dell’imposta versata in occasione della precedente fase del processo stesso.

Fonte:
Data della sentenza
3 marzo 2020  

Numero della causa
C-75/2018

Nome delle parti
Vodafone Magyarország Mobil Távközlési Zrt
contro
Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága

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