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Giurisprudenza

Lo “shampometro” al parrucchiere
fa servizio di “barba e capelli”

La sentenza della Ctr è un’ulteriore conferma della correttezza del ricalcolo dei ricavi in base ai materiali consumati per l’attività se utilizzati in quantità non coerente con gli utili dichiarati

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La Ctr per il Lazio, con la sentenza n. 2684, del 23 settembre scorso, ha legittimato l'utilizzo, da parte dell'Amministrazione finanziaria, della ricostruzione dell'imponibile basata sul consumo di shampoo da parte del barbiere.
Interessante è, poi, l'inciso dei giudici, che manifestano la preferenza, in epoca di Covid-19, per la trattazione scritta, che garantisce il principio del contraddittorio.

Fatto e processo
Al centro della controversia l’avviso di accertamento emesso da un ufficio romano dell'Agenzia delle entrate, a carico di un soggetto, esercente servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere, nonché servizi estetici, con l'utilizzo della metodologia del cosiddetto “shampometro”.
Il contribuente adiva la Ctp di Roma, articolando una serie di censure, tra cui la non corretta calibrazione dell'attività impositiva, che non avrebbe tenuto conto della quantità di shampoo utilizzata in autoconsumo, o nei bagni, o rimasta nelle scorte, riportate nell'anno successivo rispetto all'avviso.
Dal canto suo, l'A.f. sosteneva la fondatezza dell'accertamento, basato sui consumi di materie prime.
I primi giudici rigettavano il ricorso del privato: pertanto, la vertenza, a seguito di gravame del contribuente, perveniva alla Ctr del Lazio.

Modalità di svolgimento dell'udienza con “trattazione scritta”
Prima di stendere la parte motiva, la Ctr precisa che l'udienza si è svolta in camera di consiglio con collegamento da remoto, mediante l'applicativo Microsoft Teams, avendo, nessuna delle parti, appositamente interpellata con avviso notificato via Pec, formulato espressa richiesta di trattazione modalità diversa.
Invero, continua il Collegio, al processo tributario, essenzialmente documentale, appare applicabile la modalità prevista della “trattazione scritta” (articolo 83, comma 7, lettera h Dl n. 18/2020), in forza di quanto disposto dall'articolo 83 comma 21 del Dl n. 18/2020 in via emergenziale e corrispondente a quanto previsto in via ordinaria dall'articolo 33 del Dlgs n. 546/1992.
Il rito camerale non partecipato – a parere della Ctr – garantisce il contraddittorio, costituzionalmente tutelato dagli articoli 24 e 111 della Costituzione, grazie alla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie illustrative e brevi repliche scritte, in funzione delle difese svolte dalla controparte, fino a cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio a mente dell'articolo 32del Dlgs citato.
Peraltro, conclude sul punto il Collegio d'appello, il principio di pubblicità dell'udienza, pur di rilevanza costituzionale, non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (cfr Corte costituzionale, n. 80/2011), tra le quali quelle, del pari costituzionalmente rilevanti e recepite nell'articolo 83 del Dl citato, di speditezza e concentrazione, in funzione della ragionevole durata del processo, anche nell'attuale situazione di emergenza per la tutela della salute.

Via libera allo “shampometro”
Nel merito, la Ctr, rigettando il gravame del contribuente, rileva come l'accertamento analitico-induttivo risultasse correttamente attivato in base all'anomalia dell'esercizio imprenditoriale, attesa l'estrema esiguità di redditi e di utili, a fronte del rilevante monte ricavi dell'esercizio in questione.
L'amministrazione finanziaria, osserva il Collegio laziale, ha dedotto i maggiori ricavi da una rilevazione fattuale del consumo di una materia prima come, nel caso di specie, lo shampoo: tale metodo, del resto, è analogo a quello del “tovagliometro” (basato sul numero dei tovaglioli utilizzati dal ristoratore), che la Cassazione ha più volte ritenuto idoneo e legittimo (anche di recente, cfr. Cass. 6058/2020).
Nel caso di specie, conclude la Commissione, il contribuente ha svolto una critica all'accertamento, nella quale, tuttavia, non sono stati evidenziati “fatti” decisivi, non esaminati dal giudice a quo, ma una serie di circostanze secondarie, come l'autoconsumo o l’utilizzo di sapone neutro (e non di shampoo, che era la materia prima attenzionata) per l'igiene delle mani, o disomogenee, come il numero di ore lavorate nell'esercizio, registrate su una mera scrittura di parte.

Osservazioni
La pronuncia in questione si innesta nel solco di quella giurisprudenza che legittima l'accertamento analitico-induttivo, mediante l'utilizzo, a base del calcolo, del consumo delle materie prime dell'attività.
Ciò sulla base, come detto, del principio espresso dalla Cassazione (cfr, ex pluribus, Cassazione n. 20060/2014 per il "tovagliometro"), secondo cui è “legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario di tovaglioli utilizzati, risultanti per quelli di carta dalle fatture di acquisto, per quelli di stoffa delle ricevute della lavanderia”.
In questo senso, oltre al menzionato “tovagliometro”, i giudici hanno avuto occasione di pronunciarsi sulla legittimità, ad esempio, di:

  • "mineralometro" o "bottigliometro" (cfr Cassazione, n. 25129/2016 e n. 17408/2010), che muovono dall'assunto dell'indispensabilità del consumo di acqua minerale nei ristoranti e nelle pizzerie, così da legittimarne la presa a base di calcolo per la ricostruzione
  • “farinometro” (cfr Cassazione, n. 15580/2011), con cui la Corte suprema avalla il ricalcolo del reddito del ristoratore, mediante accertamento induttivo, sulla base del consumo di farina
  • “lenzuolometro” (cf. Cassazione n. 30402/2011), secondo cui è legittimo l’accertamento induttivo a carico dell’affittacamere, basato sull’acquisto di lenzuola, coperte e asciugamani, poiché inerente l’esercizio di impresa.

Ma le applicazioni, tutte, in astratto, affidabili perchè fondate su elementi fondamentali per le diverse attività, potranno essere molteplici.

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