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Giurisprudenza

Se sotto sotto c’è mala fede,
in tribunale finisce ad armi pari

La decisione di primo grado è significativa poiché, nell’allinearsi a principi ormai consolidati in tema di presupposti impositivi Irap, riconosce uguali diritti alle parti

duello
Quando il contribuente agisce in giudizio con colpa grave, il risarcimento in favore dell’Amministrazione finanziaria è consequenziale. È questa, forse, la sintesi più calzante di una recente sentenza (la n. 381 del 7 ottobre) emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Modena, nella quale i giudici emiliani, rigettando il ricorso di un promotore finanziario, lo hanno condannato al risarcimento dei danni per lite temeraria in favore dell’Agenzia delle Entrate.

Si tratta di uno dei pochissimi casi noti – per i precedenti si possono richiamare le decisioni n. 75/01/06 della Ctr di Trento, nonché nn. 40/02/10 e 69/01/10 della Ctp di Vercelli – in cui ha trovato concreta attuazione, in ambito tributario, l’articolo 96 cpc, in base al quale “se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza […] In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

I fatti di causa
Un promotore finanziario, reputando di non rivestire i requisiti per l’assoggettamento a Irap, chiedeva all’Agenzia delle Entrate il rimborso di quanto versato a tale titolo nel periodo 2006-2011 (un totale di 101.562,86 euro), oltre agli interessi.
Avverso il silenzio dell’Amministrazione, il contribuente proponeva ricorso in Ctp, evidenziando che la propria attività era svolta in assenza di autonoma organizzazione, senza dipendenti, in un ufficio della propria abitazione, con beni strumentali costituiti da un’auto, un personal computer, un cellulare e il normale arredamento d’ufficio.
 
Costituendosi in giudizio, la direzione provinciale di Modena eccepiva in via preliminare:
a) l’inammissibilità della richiesta, considerata l’intervenuta decadenza (ex articolo 38, Dpr 602/1973), essendo ormai trascorsi più di 48 mesi per tutti i versamenti effettuati precedentemente al 18 marzo 2007
b) la presenza, nel totale vantato dal contribuente, di importi riferiti al 2005, annualità non coinvolta nella richiesta di rimborso
c) che le somme pagate nel 2011 si riferivano, in verità, a tre distinti avvisi di accertamento cui la parte aveva prestato acquiescenza, definendoli in base all’articolo 15 del Dlgs 218/1997.

Nel merito, l’Amministrazione rilevava che nel caso in esame l’imposta era comunque dovuta, visti i concreti elementi di fatto rinvenuti, quali l’esistenza di un’impresa familiare (di per sé indice di un’attività svolta in maniera organizzata), la cospicua incidenza dei costi per servizi vari resi da terzi e il costante utilizzo di beni strumentali proporzionalmente rilevanti rispetto ai redditi percepiti (tra cui tre autovetture), tali da incidere, quantitativamente e qualitativamente, sull’attività svolta.
A ciò aggiungeva che, in sostanziale parità di condizioni, la Ctp di Modena, con due separate sentenze ormai definitive per mancata impugnazione, aveva già statuito l’obbligo del contribuente di corrispondere l’imposta contestata in riferimento alle annualità precedenti il 2005.

Alla luce di tutto quanto emerso, l’ufficio, nel domandare il rigetto del ricorso, concludeva per la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, nonché al risarcimento del danno per lite temeraria (ex articolo 96 cpc), quantificandolo in 10mila euro.

La decisione di merito
Il Collegio modenese fa proprie le tesi dell’Agenzia, accogliendo le eccezioni preliminari da questa sollevate.
Nel merito, richiama l’orientamento della Corte suprema secondo il quale, anche per promotori finanziari e agenti di commercio, valgono i principi generali fissati in tema di pagamento dell’Irap, ossia l’esistenza di un’autonoma organizzazione che “ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’“id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (cfr Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 12108/2009).

Accertata in concreto, per l’attività svolta dal contribuente, l’esistenza di tutti i requisiti appena richiamati, i giudici emiliani ne traggono le necessarie conseguenze, rigettando il ricorso e condannando il proponente al pagamento delle spese processuali.
Quanto al risarcimento, poi, rilevato che il soccombente ha agito in evidente stato di colpa – che il Collegio non esita a definire “grave”, stanti i molteplici elementi riscontrati – e che sussistono tutti i presupposti di temerarietà della lite previsti dall’articolo 96 del codice di procedura civile, i danni causati all’Amministrazione finanziaria vengono liquidati in via equitativa in 5mila euro.

Osservazioni
La decisione, nell’allinearsi a principi ormai consolidati in tema di presupposti impositivi Irap, merita un significativo apprezzamento per la riconosciuta parità delle armi in sede processuale.

Sebbene, infatti, la Cassazione sia già intervenuta al fine di riconoscere anche in sede tributaria la possibile condanna per lite temeraria, demandando ai giudici di merito di provvedere in ordine alla liquidazione del relativo danno (cfr sezioni unite, ordinanza n. 13899/2013), i più intendono che tale possibilità sia volta a “punire” l’Agenzia delle Entrate o l’Agente della riscossione, spesso tacciati di comportamenti vessatori che necessitano di tutela in sede giudiziale.
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