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Giurisprudenza

Operazioni inesistenti e non solo
al vaglio della Corte di cassazione

Il Collegio di legittimità afferma, tra l’altro, che l'avviso di accertamento al contribuente coinvolto in una frode oppure insolvente non deve aspettare i tempi prescritti dallo Statuto del contribuente

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Con l’ordinanza del 26 ottobre 2021 n. 30107, la Corte di cassazione ha ribadito gli orientamenti giurisprudenziali relativi al termine dilatorio dei 60 giorni e onere della prova per operazioni inesistenti. La pronuncia conferma inoltre i principi sulla prova dei componenti positivi di reddito fittizi.

Termine dilatorio dei 60 giorni
L'articolo 12, comma 7 della legge n. 212/2000 (“Statuto del contribuente”), stabilisce che “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
La norma, quindi, prevede che, successivamente alla consegna di un processo verbale, il conseguente avviso di accertamento non può essere emesso prima di 60 giorni.

La Corte suprema di cassazione si è pronunciata numerose volte sulle modalità di applicazione della disposizione, stabilendo alcuni principi fortemente consolidati, l'ordinanza n. 30107/2021 in commento ne ha confermato i criteri base.
Il termine è, quindi, applicabile solo nel caso di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente, mentre non rileva nel caso di accertamenti “a tavolino”. (si vedano anche le ordinanze n. 27673/2021, n. 8145/2021, n. 28042/2021 e 5 n. 24795/2020 della Cassazione).
Non risulta rilevante, in ogni caso, l'ulteriore attività istruttoria interna (Cassazione, ordinanza n. 30113/2021).

Ulteriore criterio confermato dalla pronuncia in esame è quello secondo cui il termine dilatorio “decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo” (si vedano anche le ordinanze n. 28042/200 e n. 1497/2020).
Il termine, inoltre, si applica anche nel caso di accessi per l'acquisizione di documentazione e a prescindere dalla denominazione data al verbale redatto a chiusura delle operazioni (Cassazione, ordinanza n. 28042/2020).

Per quanto riguarda l'eccezione prevista dalla norma, per cui l'avviso può essere emesso prima dei 60 giorni nei “casi di particolare e motivata urgenza”, anche qui la giurisprudenza di legittimità ha fornito degli importanti criteri interpretativi.
È stato stabilito che la prova dell'urgenza deve essere fornita dall'Amministrazione finanziaria. Si ha nullità dell'atto, in ogni caso, quando non vi è alcun motivo valido, anche se non è necessario che questo venga esplicitato nell'avviso di accertamento (Cassazione, ordinanza n. 28042/2020 e sentenza n. 701/2019).
Non costituisce però motivo di urgenza l'approssimarsi dei termini di decadenza per l'accertamento; ciò in quanto è riconoscibile come tale un evento che esula dal controllo dell'ente impositore. L'avviso di accertamento può essere emesso prima dei 60 giorni, ad esempio, nel caso di coinvolgimento del contribuente in una frode fiscale o nell'ipotesi in cui sia presente uno stato di insolvenza del medesimo (Cassazione, ordinanza n. 28832/2021).

Onere della prova nel caso di operazioni inesistenti
L'ordinanza n. 30107/2021 ha stabilito, confermando i consolidati principi di Cassazione, che “ai fini del diritto alla deduzione di costi inerenti ex articolo 109 TUIR, e della detrazione di Iva Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 19, è necessaria la regolare tenuta delle scritture contabili e delle fatture che, ai fini dell'Iva, sono idonee a rappresentare il costo dell'impresa e che devono contenere oggetto e corrispettivo di ogni operazione commerciale, sicché, in caso di operazioni ritenute dall'Amministrazione inesistenti, spetta a quest'ultima l'onere di dimostrare, attraverso la prova logica (o indiretta) o storica (o diretta) e anche con indizi integranti presunzione semplice, la fittizietà dell'operazione e non al contribuente la sua effettività, essendo questi chiamato a fornire la prova contraria soltanto quando sia assolto l'onere probatorio gravante sulla prima”.
I criteri sono, quindi, estremamente chiari: di regola le fatture e le scritture contabili tenute in modo regolare sono sufficienti a giustificare i costi ai fini imposte dirette, nonché la detrazione dell'Iva.
Se però l'Amministrazione finanziaria ritiene che talune operazioni siano inesistenti, spetta a questa fornire la relativa prova, anche mediante presunzioni (si vedano anche le ordinanze n. 30720/2021, n. 28451/2021 e n. 28246/2020).
Peraltro, una volta che gli elementi addotti – al fine di provare l'inesistenza delle operazioni – risultino sufficientemente probatori, spetta al contribuente provare che le operazioni sono in realtà state effettuate (Cassazione, ordinanze n. 31931/2021, n. 28451/2021 e n. 25079/2021).
Al fine di dimostrare l'effettività delle operazioni, il contribuente non può però limitarsi all'esibizione delle fatture e dei mezzi di pagamento, trattandosi di documentazione facilmente falsificabile (Cassazione, ordinanze n. 3193/2021 e n. 25079/2021).

Prova dei componenti positivi di reddito fittizi
L'articolo 8, comma 2 del Dl 2n. 16/2012 prevede che Ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese”.
La norma, in pratica, sancisce che se determinati ricavi dichiarati sono relativi a operazioni in realtà fittizie, è possibile sottrarre dai ricavi medesimi l'importo dei costi non ammesso in deduzione a causa dell'inesistenza anche di questi.
La norma richiede comunque che i componenti positivi siano “direttamente afferenti” alle spese non ammesse in deduzione, è quindi richiesto un collegamento tra i ricavi fittizi e i costi (anch'essi fittizi). In ogni caso, la rettifica dei componenti positivi è ammessa “entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione”.
La norma si applica, ad esempio, nel caso in cui venga contestata la deduzione di costi – in quanto relativi a operazioni oggettivamente inesistenti – contabilizzati per l'acquisto di specifiche merci, che poi risultano fittiziamente rivendute.
L'ordinanza in commento ha stabilito che in questo caso “grava sul contribuente l'onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi di reddito” (Cassazione, sentenza n. si veda anche la sentenza n. 33915/2019).

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