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Giurisprudenza

Non salda l’Iva ma paga i creditori:
scatta il reato di omesso versamento

È una decisione cosciente e volontaria che, non configurando una causa di forza maggiore, imprevista e imprevedibile, non esclude la responsabilità penale

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I giudici di legittimità hanno evidenziato che il mancato pagamento dell’imposta è stata la conseguenza della scelta discrezionale dell’imprenditore di pagare altri creditori diversi dall’Erario. Da qui la conferma della responsabilità penale e il configurarsi del reato di omesso versamento Iva di cui all’articolo 10-ter del Dlgs n. 74/2000.
Lo ha sancito la Corte di cassazione con la sentenza n. 50007 depositata lo scorso 11 dicembre.

I fatti di causa
Al legale rappresentante di una Srl veniva contestato il reato di omesso versamento dell’Iva previsto dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, in quanto, entro la data prescritta dalla legge, non aveva versato il debito risultante dalla dichiarazione presentata per l’anno precedente.
Il tribunale riteneva sussistenti i presupposti per la condanna, escludendo anche le attenuanti generiche.
La Corte d’appello confermava nel merito la pronuncia di primo grado, riformandola parzialmente con la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Avverso la sentenza di secondo grado l’imputato presentava ricorso per Cassazione, deducendo un vizio della decisione che, a suo avviso, avrebbe omesso ogni valutazione in merito all’assenza dell’elemento soggettivo del reato.
In particolare, la società sarebbe stata colpita da una crisi finanziaria che aveva costretto a scegliere a quali debiti far fronte. L’amministratore, nell’auspicio della continuità aziendale, aveva deciso di pagare gli stipendi dei lavoratori e il principale fornitore, indispensabile per poter eseguire le commesse dei clienti. La scelta di preservare la vita aziendale avrebbe costituito, in sostanza, per il ricorrente, una causa di esclusione del dolo.
Il contribuente ha contestato la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso che potesse ravvisarsi una causa di forza maggiore, ritenendo la scelta di preservare la vita aziendale non una scelta obbligata ma un’omissione cosciente e volontaria.

La pronuncia della Cassazione
La suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di doglianza del ricorrente.
Per i giudici di legittimità la pronuncia della Corte di appello è da ritenersi non viziata, avendo la stessa Corte fatto corretta applicazione delle norme e dei principi giurisprudenziali.
Sulla base di questi ultimi, il reato di cui all’articolo 10-ter, Dlgs n. 74/2000 è contraddistinto da una natura omissiva e istantanea ed è punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le somme dovute a titolo di Iva del periodo considerato. La prova del dolo è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato entro il termine previsto.
Per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine specifico di evasione, né “l’intima adesione” del soggetto alla volontà di violare la legge, in quanto la scelta di non pagare l’imposta rappresenta di per sé la prova del dolo (Cassazione n. 43599/2015).

Ai fini della configurazione del reato in esame è dunque sufficiente che il contribuente abbia agito con la consapevolezza e la volontà di non versare le somme dovute a titolo di Iva allo Stato, non rilevando, invece, l’intento di contravvenire al precetto normativo o di evadere il Fisco. I giudici di legittimità precisano, al riguardo, che il reato di omesso versamento Iva sussiste anche laddove, al fine di preservare la continuità aziendale in una situazione di crisi economica, si utilizzino consapevolmente le somme percepite a titolo di Iva per pagare i fornitori e gli stipendi dei lavoratori, non adempiendo così gli oneri tributari.
L’imprenditore è tenuto, dunque, ad accantonare l’imposta incassata e ad organizzare le risorse al fine di adempiere l’obbligo di versamento.

Nel caso in questione, la suprema Corte ha rilevato che la crisi della società risaliva ad anni precedenti all’omissione Iva e, pertanto, non poteva considerarsi un evento “imprevisto ed imprevedibile”. In concreto, quindi, il mancato pagamento dell’imposta dovuta non era ascrivibile a “forza maggiore” ma è stato il frutto della scelta discrezionale dell’imprenditore di pagare altri creditori diversi dall’Erario.
Come precisato dalla Corte, l’esimente della forza maggiore, ex articolo 45 cp, è ravvisabile qualora l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e, per cause indipendenti dalla sua volontà, non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica (Cassazione n. 23026/2017).
Pertanto, “la forza maggiore non può che riferirsi ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, impedendo di configurare un’azione penalmente rilevante per difetto del generale requisito della coscienza e volontarietà della condotta”.
In virtù di questi principi la Corte di cassazione ha a più riprese escluso che le difficoltà economiche in cui versa il contribuente possano integrare un’ipotesi di “forza maggiore” penalmente rilevante (Cassazione n. 4529/2007). Al riguardo un’altra pronuncia della suprema Corte (sentenza n.12906/2018) ha statuito che il reato di omesso versamento Iva si configura con la scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e “destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti”.
Peraltro, come sancito dalle sezioni unite (SSUU n. 37424/2103), il debito verso il Fisco relativo ai versamenti Iva è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Nel momento in cui pone in essere tali operazioni, l’imprenditore riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’imposta dovuta ed è tenuto, pertanto, ad accantonarla per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.

Dagli atti del giudizio si evince, dunque, come non si possa minimamente ritenere sussistente la forza maggiore, né inesistente il dolo. La crisi aziendale risalirebbe al 2008, quindi non costituiva un evento imprevisto ed imprevedibile nel 2010 e nel 2011, anni in cui è maturato il debito Iva ed in cui scadeva il termine per il pagamento.
Dall’esame documentale compiuto dai giudici è emerso come la crisi aziendale non fosse assoluta e come l’omesso versamento dell’Iva fosse solo il frutto della scelta volontaria e discrezionale dell’imprenditore; quest’ultimo, pur avendo le risorse, aveva scelto di pagare altri creditori.

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