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Giurisprudenza

Non è assimilabile all’Iva l’imposta
per la detenzione dei c/c dei clienti

Gli eurogiudici si esprimono in relazione alla compatibilità o meno con il diritto comunitario di alcune disposizioni recanti ipotesi di detrazioni generali e specifiche dall’imposta

conti correnti

La controversia posta all’esame della Corte di giustizia europea è stata presentata nell’ambito di una causa che oppone un istituto di credito all’amministrazione fiscale della Andalusia in merito all’assoggettamento della società a un’imposta sui depositi effettuati dai clienti degli istituti di credito situati nella regione autonoma spagnola. Questo il principio espresso dalla Corte di giustizia Ue nella sentenza depositata il 25 febbraio 2021, causa C 712/ 2019.

La fattispecie
La domanda di pronuncia pregiudiziale relativa alla controversia in esame verte sull’interpretazione degli articoli 49, 56 e 63 Tfue, nonché della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone un istituto di credito all’amministrazione fiscale della Andalusia in merito all’assoggettamento della società a un’imposta sui depositi effettuati dai clienti degli istituti di credito ubicati nella regione autonoma spagnola.
L’istituto di credito interessato, che ha la sua sede sociale in Portogallo e possiede una succursale in Spagna, è stato oggetto di diversi avvisi di accertamento a titolo di imposta sui depositi effettuati dai clienti degli istituti di credito situati in Andalusia.
La controversia è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che si chiede se l’imposta oggetto della controversia sia compatibile con l’articolo 135, paragrafo 1, lettera d), e con l’articolo 401 della direttiva Iva, poiché il tributo grava sul possesso di depositi, mentre le operazioni relative ai depositi di fondi sono esenti dall’Iva, in forza di tale articolo 135, paragrafo 1, lettera d).
Il giudice del rinvio ha, quindi, sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue alcune questioni.

Le valutazioni della Corte Ue sulla prima questione
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se le libertà fondamentali sancite agli articoli 49, 56 e 63 Tfue ostano a un sistema di detrazioni generali e specifiche previsto da una normativa nazionale che istituisce un’imposta gravante sui depositi effettuati dai clienti degli istituti di credito stabiliti nel territorio di una comunità autonoma.
Il tributo in questione tassa i depositi effettuati dai clienti degli istituti di credito presso le sedi centrali o le agenzie situate in Andalusia. Due tipi di detrazioni sono previste all’articolo 6, paragrafo 7, della legge n. 11/2010 (recante misure fiscali in materia di riduzione del disavanzo pubblico e di sostenibilità della comunità autonoma dell’Andalusia): detrazioni generali, al punto 2 della disposizione, e detrazioni specifiche, al punto 3 della stessa norma.
Con riferimento alle detrazioni generali, la prima di queste prevede una detrazione di 200mila euro dall’importo lordo dell’imposta a favore degli istituti di credito la cui sede sociale è situata in Andalusia. La seconda prevede una detrazione dall’importo lordo dell’imposta pari a 5mila euro per agenzia stabilita nella stessa regione, aumentati a 7.500 euro per ogni agenzia situata in un comune con meno di 2mila abitanti.
La Corte Ue inquadra la fattispecie sottoposta alla sua attenzione nell’ambito della libertà di stabilimento, di cui all’articolo 49 Tfue, che viene attribuita ai cittadini dell’Unione europea e che implica, per essi, l’accesso alle attività non subordinate e il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini, e che comprende, ai sensi dell’articolo 54 Tfue, per le società costituite a norma delle leggi di uno Paese membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio Ue, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro mediante una controllata, una succursale o un’agenzia.
La sede delle società, secondo l’articolo 54 Tfue, serve a determinare, al pari della cittadinanza per le persone fisiche, il loro collegamento con l’ordinamento giuridico di uno Stato membro. Ammettere che lo Stato membro di residenza possa liberamente riservare un trattamento diverso per il solo fatto che la sede di una società si trova in un altro Paese Ue svuoterebbe di contenuto l’articolo 49 citato.
La libertà di stabilimento è volta pertanto a garantire il beneficio del trattamento nazionale nel Paese di accoglienza, vietando ogni discriminazione fondata sul luogo in cui hanno sede le società.
Affinchè una differenza di trattamento tra società a seconda di dove si trovi la loro sede sia compatibile con la libertà di stabilimento, è necessario o che essa riguardi situazioni che non sono oggettivamente comparabili e, in tal caso, la comparabilità di una condizione transfrontaliera con una interna deve essere esaminata tenendo conto dell’obiettivo perseguito dalle disposizioni nazionali in questione oppure che essa sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.
Perché una restrizione alla libertà di stabilimento sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale, occorre che sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungere tale finalità.
La prima tipologia di detrazioni, prevista dall’articolo 6, paragrafo 7, punto 2, lettera a), della legge 11/2010, istituisce una differenza di trattamento tra gli istituti di credito la cui sede sociale è situata in Andalusia, che beneficiano del vantaggio fiscale disposto dalla norma, e quelli la cui sede sociale è situata in un’altra regione della Spagna o in un altro Stato membro, che non beneficiano di tale detrazione e sono, quindi, soggetti a una tassazione più elevata.
Non si può ritenere che tale differenza di trattamento sia moderata o compensata dalla detrazione generale prevista all’articolo 6, paragrafo 7, punto 2, lettera b), della legge 11/2010, secondo cui tutti gli istituti di credito beneficiano di detrazioni in funzione del numero di agenzie situate in Andalusia, indipendentemente dal luogo in cui tali istituti hanno sede.

Per quanto riguarda la comparabilità delle situazioni degli istituti di credito la cui sede è situata in Andalusia e di quelli che, pur avendo sede in un Paese Ue diverso dalla Spagna, possiedono agenzie nella stessa comunità autonoma, per tutti gli istituti di credito, la base imponibile dell’imposta è costituita dalla media aritmetica del saldo dei depositi effettuati presso le sedi centrali o le agenzie situate in Andalusia.
Orbene, trattando in modo identico, ai fini impositivi, queste due categorie di istituti di credito, il legislatore ammette che, tenuto conto delle modalità e delle condizioni impositive, tra di essi non sussiste alcuna differenza di situazione oggettiva che possa giustificare una differenza di trattamento.
Rispetto alla possibilità di giustificare la restrizione alla libertà di stabilimento con un motivo imperativo di interesse generale, il governo della comunità autonoma dell’Andalusia fa valere che le detrazioni generali mirano a incoraggiare pratiche di inclusione finanziaria in zone rurali, nonché l’installazione e l’efficienza degli istituti di credito nella regione.
A tal proposito, un simile obiettivo non può giustificare la limitazione della concessione di un trattamento favorevole, vale a dire una detrazione di 200mila euro dall’importo lordo dell’imposta ai soli istituti di credito con sede in Andalusia, dato che, a differenza del numero e del luogo delle agenzie, la presenza della sola sede sociale in un determinato territorio non appare idonea a contribuire alla copertura di tale territorio da parte di servizi finanziari di prossimità. In ogni caso, non è stato dimostrato che una tale limitazione sia necessaria per conseguire tali obiettivi.
Pertanto, l’articolo 49 Tfue deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione quale l’articolo 6, paragrafo 7, punto 2, lettera a), della legge 11/2010, in forza della quale una detrazione generale relativa a un’imposta che incide sui depositi effettuati dai clienti di istituti di credito attivi nel territorio di una determinata regione nel territorio di uno Stato membro è concessa, per un importo di 200mila euro, a favore dei soli istituti di credito la cui sede sociale è stabilita nel territorio di tale regione.
La detrazione generale, di cui all’articolo 6, paragrafo 7, punto 2, lettera b), della legge 11/2010, prevede una dimunzione dall’importo lordo dell’imposta di un importo di 5mila euro per agenzia stabilita nel territorio della comunità autonoma dell’Andalusia, aumentati a 7.500 euro per ogni agenzia situata in un comune con meno di 2mila abitanti.
A tal proposito, la Corte Ue osserva che tutti gli istituti di credito assoggettati all’imposta possono beneficiare di questa seconda detrazione generale, indipendentemente dal fatto che la loro sede sociale sia situata in Andalusia, in un’altra regione della Spagna o in un altro Stato membro dell’Unione. Una disposizione che prevede tale detrazione non istituisce, quindi, una discriminazione palese in funzione del luogo di tale sede sociale.
Pertanto, la Corte ritiene che l’articolo 49 Tfue debba essere interpretato nel senso che esso non osta a una norma quale l’articolo 6, paragrafo 7, punto 2, lettera b), della legge 11/2010 a meno che tale detrazione non comporti, di fatto, una discriminazione ingiustificata fondata sul luogo in cui hanno sede gli istituti di credito in questione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Quanto alle detrazioni specifiche istituite all’articolo 6, paragrafo 7, punto 3, della legge 11/2010, la Corte Ue osserva che le stesse vanno esaminate solo alla luce della libera circolazione dei capitali. Infatti, tali detrazioni non richiedono alcun collegamento con il luogo in cui sono stabiliti gli istituti di credito interessati. Inoltre, applicandosi solo nei confronti di crediti, prestiti e investimenti destinati a progetti realizzati in Andalusia, esse mirano a orientare flussi di capitale e pertanto rientrano in primo luogo nell’ambito della libera circolazione dei capitali, mentre il loro effetto sulla libera circolazione dei servizi è del tutto secondario.
In particolare, l’articolo 6, paragrafo 7, punto 3, della legge 11/2010 consente agli istituti di credito interessati di detrarre dall’importo lordo dell’imposta l’importo dei crediti, dei prestiti e degli investimenti destinati a progetti realizzati in Andalusia.

Nell’ipotesi in cui le detrazioni specifiche dovessero essere intese nel senso che perseguono un obiettivo puramente economico, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, nei limiti in cui esse hanno come conseguenza che l’imposta incide unicamente sui depositi di cui alla legge 11/2010 che non sono investiti in progetti realizzati in Andalusia, mentre i depositi utilizzati a tal fine beneficiano di tali detrazioni, l’articolo 6, paragrafo 7, punto 3, della legge n. 11/2010 costituisce una differenza di trattamento che può dissuadere gli istituti di credito soggetti all’imposta dall’investire in altri Stati membri.
Inoltre, il luogo di investimento non può, per definizione, costituire un criterio valido per concludere che sussiste una differenza oggettiva tra le situazioni in esame e per escludere, di conseguenza, l’esistenza di una discriminazione vietata dall’articolo 63 Tfue
Infine, secondo una giurisprudenza costante, un obiettivo di natura puramente economica non può giustificare una restrizione a una libertà fondamentale garantita dal Tfue.
Tutto ciò premesso, la Corte Ue, con riferimento alla prima questione, dichiara che la libertà di stabilimento sancita all’articolo 49 Tfue deve essere interpretata nel senso che, per quanto riguarda detrazioni applicate sull’importo lordo di un’imposta gravante sui depositi effettuati dai clienti di istituti di credito aventi la loro sede centrale o agenzie situate nel territorio di una regione di uno Stato membro,

  • essa osta a una detrazione di 200mila euro applicata sull’importo lordo di tale imposta a favore degli istituti di credito la cui sede sociale è situata nel territorio di tale regione
  • essa non osta a detrazioni, applicate sull’importo lordo di detta imposta, pari a 5mila euro per agenzia stabilita nel territorio di tale regione, ove quest’ultimo importo è aumentato a 7500 euro per ogni agenzia situata in un comune con meno di 2.000 abitanti, a meno che tali detrazioni non comportino, di fatto, una discriminazione ingiustificata fondata sul luogo in cui hanno sede gli istituti di credito interessati, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

L’articolo 63, paragrafo 1, Tfue deve essere interpretato nel senso che, per quanto riguarda un’imposta gravante sui depositi effettuati dai clienti di istituti di credito aventi la loro sede centrale o agenzie situate nel territorio di una regione di uno Stato membro, esso osta a detrazioni dall’importo lordo di tale imposta pari ai crediti, ai prestiti e agli investimenti destinati a progetti realizzati in detta regione se tali detrazioni perseguono un obiettivo di natura puramente economica.

Le valutazioni della Corte Ue sulla seconda questione
Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 135, paragrafo 1, lettera d), e l’articolo 401 della direttiva Iva debbano essere interpretati nel senso che ostano a un’imposta nazionale quale quella oggetto della controversia in esame .
L’assoggettamento a imposta sui depositi effettuati dai clienti di istituti di credito non rimette in discussione l’esenzione applicabile ai medesimi depositi, ai sensi dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera d), della direttiva Iva. Tale disposizione, pertanto, non risulta pertinente nel caso di specie.
Ai sensi dell’articolo 401 della direttiva Iva, le disposizioni della medesima non vietano a uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari, sempreché tale imposta, diritto o tassa non dia luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.
Da ciò deriva che, in base ad una consolidata giurisprudenza della Corte, il mantenimento o l’introduzione da parte di uno Stato membro di imposte, diritti e tasse sono autorizzati solo a condizione che questi ultimi non siano assimilabili a un’imposta sul volume d’affari.
Per valutare se un’imposta, un diritto o una tassa abbiano la natura di imposta sul volume d’affari, ai sensi dell’articolo 401 della direttiva Iva, occorre in particolare verificare se essi abbiano l’effetto di compromettere il funzionamento del sistema comune dell’Iva, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e incidendo sulle transazioni commerciali in modo analogo all’Iva. A tal riguardo, la Corte Ue ha precisato che, in ogni caso, si deve ritenere che gravino sulla circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo all’Iva le imposte, i diritti e le tasse che presentano le caratteristiche essenziali dell’Iva, anche se non sono in tutto identici ad essa.
Per contro, l’articolo 401 della direttiva Iva non osta al mantenimento o all’introduzione di un’imposta che non presenti una delle caratteristiche essenziali dell’Iva.
Tali caratteristiche sono quattro, vale a dire:
1) l’Iva si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi
2) è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo quale contropartita dei beni e servizi forniti
3) viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza
4) gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi del processo di produzione e di distribuzione sono detratti dall’Iva dovuta, cosicché il tributo si applica, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa, e in definitiva il peso dell’imposta va a carico del consumatore finale.

Nel caso di specie, l’imposta di cui si tratta non presenta le caratteristiche essenziali dell’Iva.
A tal proposito, l’imposta è dovuta dagli istituti di credito in ragione della detenzione di depositi effettuati dai loro clienti e non a causa delle operazioni commerciali consistenti in depositi di fondi; non si può pertanto ritenere che essa si applichi a transazioni aventi ad oggetto beni o servizi. Inoltre, poiché la base imponibile dell’imposta corrisponde alla media aritmetica del saldo trimestrale della voce del passivo del bilancio degli istituti di credito, relativa ai depositi dei loro clienti, l’importo di tale imposta non è fissato proporzionalmente al corrispettivo percepito dagli istituti di credito. Inoltre, l’imposta in esame non viene percepita in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione di servizi finanziari. Infine, poiché l’articolo 6, paragrafo 5, punto 3, della legge n. 11/2010 vieta espressamente agli istituti di credito di ripercuotere l’importo dell’imposta su terzi, l’onere finale di tale imposta non grava in definitiva sui consumatori.
In tali circostanze, l’imposta non costituisce né un’imposta sul volume d’affari né un’imposta ad essa assimilabile, ai sensi dell’articolo 401 della direttiva Iva.

Per tali motivi, la Corte Ue perviene alla conclusione che l’articolo 401 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che istituisce un’imposta dovuta dagli istituti di credito in ragione della detenzione di depositi di clienti, la cui base imponibile corrisponde alla media aritmetica del saldo trimestrale di tali depositi e che non può essere trasferita dal contribuente su terzi.

Data sentenza:
25 febbraio 2021

Numero causa:
C 712/2019

Nome delle parti:
Novo Banco SA
contro
Junta de Andalucía

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/non-e-assimilabile-alliva-limposta-detenzione-dei-cc-dei-clienti