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Giurisprudenza

No alla rettifica della detrazione Iva
nei confronti del cessionario del bene

Contraria al diritto Ue la richiesta di rivedere la detrazione dell’imposta del precedente proprietario, se il soggetto cede a sua volta l’immobile a un terzo che non lo utilizzerà ai fini locativi

iva

La domanda di pronuncia pregiudiziale relativa alla controversia in esame verte sull’interpretazione degli articoli 188 e 189 della direttiva 2006/112/Ce sull’Iva ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la amministrazione tributaria svedese ad una società in merito alla rettifica della detrazione dell’Iva operata in precedenza da un altro soggetto passivo (Corte Ue, causa C 787/18).
 
La fattispecie e la questione pregiudiziale
La società acquistava un bene immobile, da essa ceduto in affitto in  regime di responsabilità fiscale volontaria.
Il precedente titolare del bene aveva optato per l’assoggettamento ad Iva ed aveva proceduto a detrazioni dell’imposta a monte che aveva gravato su operazioni di riassetto dell’edificio. All’atto della vendita, le parti non avevano convenuto che il precedente proprietario avrebbe proceduto alla rettifica delle detrazioni dell’Iva operate e non avevano chiesto all’amministrazione tributaria di non trasferire l’assoggettamento volontario. La società concedeva in locazione il bene immobile, continuando così ad utilizzarlo per realizzare operazioni imponibili..
La società cedeva quindi successivamente l’immobile a due privati che non lo avrebbero utilizzato per operazioni imponibili. Di conseguenza, l’assoggettamento volontario all’Iva è cessato. L’amministrazione tributaria ha allora chiesto alla società di rettificare le detrazioni dell’imposta a monte operate dal precedente proprietario e di pagare l’importo dell’Iva relativa alla richiesta del periodo di rettifica.
La questione è quindi approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue, una questione, con cui si chiede, in sostanza, se la direttiva Iva debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che, pur prevedendo, sulla base dell’articolo 188, paragrafo 2, di tale direttiva, che il cedente di un bene immobile non è tenuto a procedere alla rettifica di una detrazione dell’Iva effettuata a monte in una situazione in cui il cessionario utilizzerà tale bene immobile solo per operazioni che danno diritto a detrazione, impone altresì al cessionario di procedere alla rettifica di tale detrazione per la restante durata del periodo di rettifica, qualora egli ceda, a sua volta, il bene immobile a un terzo che non lo utilizzerà per tali operazioni.
 
Le valutazioni della Corte Ue  
La Corte Ue ha ritenuto non conforme alla disciplina comunitaria la normativa nazionale sulla base delle seguenti considerazioni.
L’articolo 184 della direttiva Iva stabilisce l’obbligo di rettificare la detrazione operata inizialmente quando è superiore o inferiore a quella che il soggetto passivo aveva il diritto di effettuare. Tale disposizione, con gli articoli 185 e 186 della citata direttiva, costituisce il regime applicabile al sorgere di un eventuale diritto dell’amministrazione tributaria ad esigere dal soggetto passivo la rettifica dell’imposta, compreso per quanto riguarda la rettifica di detrazioni relative a beni d’investimento.
In tale contesto, l’articolo 186 della direttiva Iva incarica gli Stati membri di determinare le modalità di applicazione degli articoli 184 e 185 della direttiva medesima, mentre per quanto riguarda i beni d’investimento sono gli articoli da 187 a 192 della direttiva Iva a prevedere alcune  modalità di rettifica della detrazione.
L’articolo 188 della direttiva Iva riguarda l’ipotesi specifica della cessione di un bene d’investimento durante il periodo di rettifica. In questo caso, la rettifica annuale, prevista dall’articolo 187 della direttiva, è sostituita da una sola rettifica, basata sul presunto utilizzo del bene d’investimento per il restante periodo.
In base all’articolo 188, la natura detraibile dell’imposta a monte dipende dalla questione se la cessione effettuata sia o meno soggetta a questa imposta.
In attuazione dell’articolo 188, qualora un soggetto passivo ceda un bene d’investimento durante il periodo di rettifica e la cessione in questione sia esente, il bene d’investimento si considera destinato ad un’attività economica del soggetto passivo fino alla scadenza del periodo di rettifica e si presume che tale attività sia interamente esente. Una tale presunzione comporta l’obbligo di procedere ad una sola rettifica, per tutto il restante periodo di rettifica, a meno che uno Stato membro non abbia deciso di attuare la facoltà prevista all’articolo 188, paragrafo 2, della direttiva Iva di non esigere la rettifica.
Infatti, l’articolo 188, paragrafo 2 della direttiva enuncia che, quando la cessione del bene d’investimento è esente, gli Stati membri possono non esigere una rettifica nei limiti in cui l’acquirente sia un soggetto passivo che utilizzi il bene d’investimento soltanto per operazioni per le quali l’Iva è detraibile.
Ne consegue che la facoltà di non esigere una rettifica è subordinata, da un lato, alla qualità di soggetto passivo dell’acquirente del bene d’investimento e, dall’altro, alla natura dell’uso di tale bene, vale a dire che quest’ultimo deve essere utilizzato solo per operazioni per le quali l’Iva è detraibile.
È vero che nel momento in cui l’acquirente del bene d’investimento cessa di utilizzare tale bene unicamente per operazioni per le quali l’imposta è detraibile, non sono più soddisfatte le condizioni che giustificavano la mancata esigenza della rettifica.
In base all’articolo 189 della direttiva Iva, gli Stati membri possono, ai fini dell’applicazione dell’articolo 188 di tale direttiva, adottare tutte le opportune disposizioni per garantire che le rettifiche non procurino alcun vantaggio ingiustificato e autorizzare le semplificazioni amministrative.
Tali disposizioni nazionali non possono tuttavia comportare che la rettifica di una detrazione dell’Iva relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi gravi su un soggetto passivo diverso da quello che ha effettuato la detrazione.
Infatti, benché la direttiva Iva non contenga alcuna indicazione espressa riguardo al soggetto passivo debitore dei crediti fiscali risultanti dalla rettifica di una detrazione dell’Iva, da ciò non si può dedurre che gli Stati membri, nell’ambito delle modalità da essi stabilite ai sensi dell’articolo 137, paragrafo 2, e degli articoli 186 e 189 di tale direttiva, siano liberi di decidere da quale soggetto passivo l’imposta debba essere assolta in tal contesto.
La designazione del debitore degli importi dovuti a seguito della rettifica di una detrazione dell’Iva non costituisce una “modalità” ai sensi di tali disposizioni, ma, come risulta dall’articolo 193 della direttiva, una regola di fondo del sistema comune dell’Iva instaurato dalla direttiva stessa.
Sulla base della giurisprudenza unionale risulta che l’articolo 184 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che, in caso di rettifica di una detrazione dell’imposta effettuata da un soggetto passivo, gli importi dovuti a tale titolo devono essere pagati da tale soggetto passivo.
Da un lato, il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’imposta dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’Iva garantisce, di conseguenza, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tali attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette ad imposizione.
D’altro lato, le norme in materia di rettifica delle detrazioni costituiscono un elemento essenziale del sistema attuato dalla direttiva Iva in quanto mirano a garantire la precisione delle detrazioni e, di conseguenza, la neutralità del carico fiscale. Con tali norme, la direttiva è quindi volta ad istituire un rapporto stretto e diretto tra il diritto alla detrazione dell’Iva versata a monte e l’utilizzazione dei beni o dei servizi per operazioni tassate a valle.
La Corte Ue osserva che esigere che la detrazione effettuata dal cedente di un bene immobile sia rettificata dal cessionario di tale bene equivarrebbe ad obbligare quest’ultimo a versare un credito fiscale relativo ad un’operazione alla quale egli è estraneo e che è stata effettuata nell’ambito dell’attività economica di un altro soggetto passivo. Per contro, il cedente che ha effettuato la detrazione continuerebbe a beneficiare di una detrazione superiore a quella cui ha diritto a causa dell’uso effettivo del bene immobile e l’obiettivo della neutralità dell’imposizione fiscale non sarebbe realizzato nei suoi confronti.
Nella controversia in esame si pone la questione se il recupero di somme dovute a seguito della rettifica di una detrazione dell’Iva possa essere effettuato presso un soggetto passivo che non ha proceduto a tale detrazione, qualora, a causa della cessione del bene immobile da parte di tale soggetto passivo a privati che non lo utilizzeranno più per operazioni soggette ad imposta, non siano più soddisfatte le modalità che giustificavano che la rettifica non fosse richiesta.
Inoltre, gli argomenti attinenti alla certezza del diritto e alla necessità di garantire che le rettifiche non procurino alcun vantaggio ingiustificato o non diano luogo alla creazione di un’imposta dissimulata non possono giustificare la riscossione di somme dovute a seguito della rettifica di una detrazione dell’Iva presso un soggetto passivo diverso da quello che ha effettuato tale detrazione.
Anzitutto, non può essere accolto l’argomento secondo cui sarebbe contrario alla certezza del diritto esigere che la rettifica della detrazione sia effettuata presso il soggetto passivo che ha proceduto alla detrazione dell’Iva, nella fattispecie il cedente del bene immobile, quando è il cessionario ad aver modificato l’utilizzo di detto bene e il cedente non ha alcuna influenza su detto utilizzo.
Infatti, spetta agli Stati membri adottare tutte le disposizioni utili per l’applicazione dell’articolo 188 della direttiva Iva alle condizioni previste all’articolo 189 di tale direttiva, rispettando tutte le disposizioni di tale direttiva, nonché i principi generali, quali il principio della certezza del diritto.
Inoltre, l’amministrazione tributaria sostiene che il cessionario del bene immobile godrebbe di un vantaggio ingiustificato se, a seguito del cambiamento di utilizzo di detto bene da parte di quest’ultimo, non gli fosse richiesta la rettifica della detrazione effettuata dal cedente del bene. Infatti, il cessionario avrebbe così acquistato un bene immobile che non sarebbe soggetto ad alcuna imposta.
A tal proposito, la Corte Ue osserva che una situazione del genere risulta dalle disposizioni del diritto svedese che esentano dall’Iva le operazioni di cessione di beni immobili, senza consentire ai soggetti passivi di optare per l’imposizione di queste ultime, mentre l’articolo 137, paragrafo 1, lettera b), della direttiva Iva conferisce agli Stati membri la facoltà di accordare ai loro soggetti passivi il diritto di optare per l’imposizione della cessione di fabbricati. Inoltre, qualora il cedente abbia proceduto alla detrazione dell’imposta, in tutto o in parte, il cessionario non può, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, beneficiare del diritto di detrarre tale imposta. Di conseguenza, il cessionario non beneficia di un “vantaggio ingiustificato” sotto forma di una detrazione alla quale non ha diritto in ragione dell’uso del bene immobile.
Inoltre, la fissazione di un prezzo di acquisto del bene immobile inferiore al prezzo di mercato, al quale il cedente avrebbe acconsentito dato che il cessionario sarebbe eventualmente tenuto a rettificare la detrazione effettuata in precedenza, deriva dalla libertà contrattuale delle parti e non può neppure essere qualificata come “vantaggio ingiustificato”, ai sensi della direttiva Iva.
Da ultimo, l’amministrazione tributaria ritiene che, in mancanza della possibilità di procedere alla rettifica presso l’acquirente, la continuità del sistema Iva sarebbe compromessa in quanto il prezzo di vendita del bene immobile sarebbe calcolato in modo da coprire un’eventuale rettifica della detrazione dell’Iva e comporterebbe, pertanto, un’imposizione latente che il cessionario non potrebbe, dal canto suo, dedurre quando utilizzava tale bene per operazioni che danno diritto alla detrazione.
A tal proposito, la Corte Ue rileva che da un lato, le stesse conseguenze, sempre che siano dimostrate, possono prodursi anche nella situazione in cui uno Stato membro decide di non avvalersi della facoltà prevista dall’articolo 188, paragrafo 2, della direttiva Iva di non esigere la rettifica. Dall’altro lato, l’articolo 137, paragrafo 1, lettera b), della direttiva attribuisce agli Stati membri la facoltà di accordare ai loro soggetti passivi il diritto di optare per l’imposizione della cessione di fabbricati.
 
Le conclusioni della Corte Ue
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che la direttiva Iva deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che, pur prevedendo, sulla base dell’articolo 188, paragrafo 2, di tale direttiva, che il cedente di un bene immobile non è tenuto a procedere alla rettifica di una detrazione dell’Iva effettuata a monte in una situazione in cui il cessionario utilizzerà tale bene immobile solo per operazioni che danno diritto a detrazione, impone altresì al cessionario di procedere alla rettifica di tale detrazione per la restante durata del periodo di rettifica, qualora egli ceda, a sua volta, il bene immobile ad un terzo che non lo utilizzerà per tali operazioni.
 
 
 
Data sentenza:
 26 novembre  2020
 
Numero causa:
 C 787/18
 
Nome delle parti
 
Skatteverket
contro
Sögård Fastigheter AB
 

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