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Giurisprudenza

No al trattamento impositivo differenziato dei dividendi

Oggetto di controversia l’applicazione di una ritenuta sui dividendi distribuiti a una società lusitana da una società con sede in Olanda

martello del giudice
La pronuncia pregiudiziale è stata resa dai giudici comunitari della prima sezione della Corte di Giustizia europea nell’ambito di una controversia, insorta tra una società con sede in Portogallo e l’Amministrazione finanziaria dei Paesi Bassi. Con la sentenza del 8 novembre 2007, resa nel procedimento C-379/05, la Corte di Giustizia europea ha stabilito che gli articoli 56 CE e 58 CE, concernenti la libera circolazione dei capitali, ostano a una normativa tributaria di uno Stato membro che, per il caso in cui non sia raggiunta la soglia minima di partecipazioni della società madre nel capitale della società figlia, fissata all’art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/Cee, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, preveda una ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti da una società stabilita in tale Stato membro ad una società beneficiaria stabilita in un altro Stato membro, mentre esoneri da tale ritenuta i dividendi versati ad una società beneficiaria che è soggetta, nel primo Stato membro, all’imposta sulle società o che dispone, in quest’ultimo, di una stabile organizzazione cui appartengono le azioni detenute nella società distributrice, ovvero ad una società che risiede nel proprio territorio nazionale.

L’origine della controversia
La pronuncia pregiudiziale è stata resa dai giudici della prima sezione della Corte di Giustizia europea nell’ambito di una controversia, insorta tra una società con sede in Portogallo e l’Amministrazione finanziaria dei Paesi Bassi, avente ad oggetto l’applicazione di una ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti alla citata società lusitana da una società avente sede in Olanda. In particolare la società portoghese, socia di quella olandese, aveva ricevuto da quest'ultima dividendi al netto di una ritenuta alla fonte del 25 per cento, mentre un socio olandese della stessa società aveva percepito i propri utili senza subire alcuna forma di prelievo. Secondo l’articolo 1, n. 1, della legge olandese del 1965 sull’imposta sui dividendi, è applicata un’imposta sui dividendi al tasso del 25 per cento sui versamenti di dividendi effettuati da una società stabilita nei Paesi Bassi il cui capitale è integralmente o parzialmente suddiviso in azioni, mentre, giusta quanto disposto dal successivo articolo 4 della legge, si può omettere di prelevare l’imposta sui redditi provenienti da azioni qualora l’esenzione della partecipazione, di cui all’articolo 13 della legge del 1969 sull’imposta sulle società, si applichi ai benefici che l’avente diritto trae da tali azioni, certificati di godimento e prestiti e la partecipazione rientri nel patrimonio della sua impresa gestita nei Paesi Bassi. Il richiamato articolo 13 dispone che non sono presi in considerazione, ai fini della determinazione degli utili, i benefici derivanti da una partecipazione e le spese, compresi i benefici derivanti da variazioni dei tassi di cambio, che rientrano nell’ambito di una partecipazione, a meno che non risulti che tali spese servono indirettamente alla realizzazione di un utile imponibile nei Paesi Bassi.

Il ricorso giurisdizionale
Contro tale determinazione del Fisco dei Paesi Bassi, la società lusitana proponeva reclamo alle medesime autorità tributarie olandesi che, però, confermavano la validità della trattenuta. La società decideva allora di adire le vie legali innanzi ai competenti organi giurisdizionali dei Paesi Bassi, in quanto il combinato disposto degli articoli 13 della legge sull’imposta sulle società e 4 della legge sull’imposta sui dividendi, comportava e comporta che l’esenzione di cui a tale articolo 4 si applica unicamente qualora le azioni di una società olandese che versa dividendi siano detenute, da un lato, da azionisti assoggettati all’imposta sulle società nei Paesi Bassi ovvero, dall’altro, da azionisti stranieri che abbiano un’organizzazione stabile nei Paesi Bassi, laddove le azioni appartengano al patrimonio di tale stabile organizzazione. I magistrati olandesi investiti della questione, ritenendo che la soluzione della controversia nella causa principale richiedesse l’interpretazione del diritto comunitario, optavano per la sospensione del giudizio, chiamando i giudici sovranazionali a rispondere proprio all’interrogativo se l’esenzione prevista dalla loro normativa nazionale sia o meno contraria alle disposizioni relative alla libera circolazione dei capitali (artt. 56 CE-58 CE), considerato che tale esenzione si applica unicamente ai versamenti di dividendi effettuati ad azionisti soggetti all’imposta sulle società nei Paesi Bassi o ad azionisti stranieri che dispongono nei Paesi Bassi di una stabile organizzazione cui appartengono tali azioni.

La decisione della Corte
La Corte di Giustizia europea, rendendo la propria pronuncia pregiudiziale l’8 novembre, ha risposto affermativamente al quesito formulato dai giudici dei Paesi Bassi, bocciando così di fatto la normativa tributaria olandese in materia. Innanzitutto i giudici lussemburghesi hanno ricordato che, per costante giurisprudenza, anche se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel pieno rispetto del diritto comunitario e che in mancanza di disposizioni comunitarie di unificazione o di armonizzazione, spetta agli Stati membri definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri per ripartire il loro potere impositivo, in particolare al fine di eliminare la doppia imposizione.

La Convenzione contro le doppie imposizioni
In proposito, l’articolo 10 della Convenzione conclusa il 20 settembre 1999 tra il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica portoghese, volta a evitare la doppia imposizione e a prevenire l’evasione fiscale in materia d’imposta sul reddito e sul patrimonio, dispone che i dividendi versati da una società che ha sede in uno degli Stati a un residente nell’altro Stato sono imponibili in quest’ultimo e che tali dividendi possono, comunque, essere tassati nello Stato ove ha sede la società che paga i dividendi e conformemente alla normativa di questo Stato; tuttavia, se la persona che riceve i dividendi è residente nell’altro Stato, l’imposta prelevata non potrà eccedere il 10 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi. Il metodo di prevenzione della doppia imposizione è fissato, poi, all’articolo 24 della Convenzione in esame, che dispone che, riguardo al Portogallo, qualora un residente in nel paese lusitano percepisca redditi che, conformemente alla presente convenzione, possono essere tassati nei Paesi Bassi, il Portogallo concede una detrazione dall’imposta sui redditi di tale residente nei limiti dell’importo dell’imposta sul redditi pagata nei Paesi Bassi. Tale detrazione non può tuttavia eccedere la parte dell’imposta sul reddito, come calcolata prima della detrazione, relativa al reddito imponibile nei Paesi Bassi. I giudici sovranazionali hanno poi ricordato come dalla direttiva 90/435, risulti che quest’ultima mira ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro e a facilitare così il raggruppamento di società su scala comunitaria e che l’art. 5, n. 1, della medesima direttiva impone agli Stati membri di esentare dalla ritenuta alla fonte gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre unicamente quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25 per cento nel capitale della società figlia.

La differenza di trattamento
Ora, appurato che la controversia in oggetto non rientra nell’alveo del citato articolo 5, causa il non raggiungimento della soglia della partecipazione minima del 25 per cento nel capitale della società figlia, e che per le partecipazioni che non rientrano nell’ambito della direttiva 90/435 spetta effettivamente agli Stati membri determinare se, ed in quale misura, la doppia imposizione economica degli utili distribuiti debba essere evitata e introdurre, a tale effetto, in modo unilaterale o mediante convenzioni concluse con altri Stati membri, meccanismi che mirino a prevenire o ad attenuare tale doppia imposizione economica, la Corte di Giustizia ha rilevato che la normativa olandese che introduce una differenza di trattamento tra le società beneficiarie aventi nei Paesi Bassi la loro sede o una stabile organizzazione cui appartengono le azioni della società distributrice e le società beneficiarie che non sono stabilite nei Paesi Bassi, determina un trattamento svantaggioso per le società beneficiarie non stabilite nei Paesi Bassi che detengono tra il 5 e il 25 per cento del capitale di una società olandese, rispetto a quello riservato alle società beneficiarie olandesi che detengono lo stesso tipo di partecipazione. "…Infatti, i dividendi distribuiti alle società non stabilite nei Paesi Bassi sono tassati in capo alla società distributrice a titolo d’imposta sulle società e in capo alla società beneficiaria a titolo di imposta sui dividendi, e sono in tal modo soggetti a doppia imposizione economica, mentre, per i dividendi distribuiti alle società stabilite nei Paesi Bassi, si previene una tale doppia imposizione economica…". Un tale trattamento svantaggioso dei dividendi versati alle società beneficiarie stabilite in un altro Stato membro rispetto a quello riservato ai dividendi versati alle società beneficiarie stabilite in Olanda può dissuadere le società stabilite in un altro Stato membro dal procedere a investimenti nei Paesi Bassi e costituisce, conseguentemente, una restrizione della libera circolazione dei capitali, vietata dall’articolo 56 CE.

Una linea difensiva non sostenibile
Il governo olandese, per tentare di difendere il proprio sistema impositivo in materia di dividendi azionari, ha invocato la ricordata esistenza di un credito d’imposta integrale, concesso dal governo portoghese alle società che percepiscono redditi tassati nei Paesi Bassi. Ma i giudici sovranazionali, oltre a cassare la normativa olandese in questione, hanno bocciato anche siffatta linea difensiva. I giudici della Corte di Giustizia delle Comunità Europee hanno, infatti, reso la loro interpretazione pregiudiziale affermando che "gli articoli 56 CE e 58 CE ostano ad una normativa di uno Stato membro che, per il caso in cui non sia raggiunta la soglia minima di partecipazioni della società madre nel capitale della società figlia, fissata all’art. 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, prevede una ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti da una società stabilita in questo Stato membro ad una società beneficiaria stabilita in un altro Stato membro, esonerando tuttavia da tale ritenuta i dividendi versati ad una società beneficiaria che è soggetta, nel primo Stato membro, all’imposta sulle società o che dispone, in quest’ultimo, di una stabile organizzazione cui appartengono le azioni detenute nella società distributrice" e che "uno Stato membro non può invocare l’esistenza di un credito d’imposta integrale, concesso unilateralmente da un altro Stato membro ad una società beneficiaria stabilita nello stesso Stato, al fine di sottrarsi all’obbligo di prevenire la doppia imposizione economica dei dividendi derivante dall’esercizio del suo potere impositivo, in una situazione in cui il primo Stato membro previene la doppia imposizione economica dei dividendi distribuiti alle società beneficiarie stabilite nel suo territorio".
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