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Giurisprudenza

Nella previdenza complementare,
stesse regole per pubblici e privati

Viola il principio di uguaglianza tributaria la differente tassazione, tra le due tipologie di dipendenti, del riscatto della posizione individuale maturata nei fondi pensione negoziali

sacco pensione

Con sentenza n. 218, depositata il 3 ottobre 2019, la Corte costituzionale ha stabilito come sia da considerarsi illegittimo il diverso trattamento tributario – tra dipendenti pubblici e privati – previsto per il riscatto dei contributi versati in relazione alle forme di previdenza complementare.
 
I fatti in causa e la vicenda processuale
La controversia oggetto di esame da parte della Corte nasce dal rifiuto tacito opposto dall’Agenzia delle entrate a una istanza di rimborso dell’Irpef e delle addizionali comunale e regionale per l’anno d’imposta 2014 presentata da un contribuente che riteneva di aver versato maggiori imposte rispetto al dovuto. In particolare, secondo le motivazioni illustrate dall’istante, l’ammontare delle somme percepite a titolo di riscatto dal Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola, subendo una ritenuta alla fonte in base a una tassazione ordinaria, e facendo cumulo col reddito complessivo prodotto, avrebbe impedito al contribuente di usufruire della più favorevole tassazione prevista dalla disciplina delle forme pensionistiche complementari di cui al Dlgs. n. 252/2005.
A seguito di ricorso proposto da parte del contribuente, il giudice della Commissione tributaria provinciale ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione alle norme che hanno fondato la tassazione ordinaria delle somme riscattate, e in particolare l’articolo 23, comma 6, del Dlgs. n. 252/2005, concernente la “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, e l’articolo 52, comma 2, lettera d-ter), del Tuir. Il combinato disposto di tali previsioni, infatti, escluderebbe l’applicazione al rapporto di lavoro pubblico del regime fiscale più favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due regimi impositivi e una disparità di trattamento costituzionalmente rilevante.
 
La previdenza complementare e il trattamento fiscale agevolato
Secondo i giudici di legittimità la ricostruzione del quadro normativo della previdenza complementare consente di poter valutare, per il caso di specie, se siano presenti nel sistema elementi in grado di giustificare ragionevolmente una disomogeneità del trattamento fiscale agevolativo.
L’introduzione da parte del legislatore di forme di previdenza per l’erogazione di trattamenti pensionistici che siano complementari al sistema obbligatorio aveva, come obiettivo primario, quello di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.
La relativa disciplina è stata prevista in maniera organica dapprima dal Dlgs. n. 124/1993 e poi, giusta delega rilasciata al Governo dalla legge n. 243/2004, è stata riformata dal Dlgs. n. 252 del 2005, che oggi regola la materia.
Tra i destinatari della disciplina vi sono in primo luogo i lavoratori dipendenti, sia privati, sia pubblici. In merito a questi ultimi la legge delega n. 243/2004 ha in particolare previsto che i principi e i criteri direttivi enunciati per favorire le forme di previdenza complementare debbano essere applicati, con le necessarie armonizzazioni, anche al rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, tenendo conto delle specificità dei singoli settori e dell’interesse pubblico connesso all’organizzazione del lavoro e all’esigenza di efficienza dell’apparato amministrativo pubblico (lettera p), articolo 1, comma 2, della legge n. 243/2004).
 
La riforma dell’intera disciplina, attuata dal legislatore con il Dlgs. n. 252/2005, è entrata in vigore dal 1° gennaio 2007 e ha previsto importanti incentivi tributari, sia per quanto riguarda la contribuzione che la tassazione delle prestazioni erogate, brevemente riassunti nei seguenti punti:

  • deducibilità fino a 5.164,57 euro dal reddito complessivo dichiarato ai fini Irpef dei contributi versati da parte sia del lavoratore che del datore di lavoro
  • non tassabilità, nella fase di liquidazione della prestazione erogata al lavoratore, della quota di contributo previdenziale non dedotta dal reddito in fase di accumulo, per mancanza di capienza nel reddito dichiarato o perché eccedente la soglia massima ammissibile di 5.164,57 euro (cosiddetto principio di “correlazione fiscale”)
  • tassazione del rendimento, laddove previsto, sulla prestazione ricevuta dal fondo con una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell’11%
  • tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate al lavoratore, sia in forma di capitale che di rendita, limitatamente alla parte non tassata durante la fase di accumulo, con una ritenuta a titolo d’imposta pari al 15%, e riduzione di detta aliquota dello 0,30% per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali
  • tassazione del riscatto della prestazione contributiva complementare con la medesima tassazione di cui al punto precedente, qualora il riscatto sia esercitato ai sensi dell’articolo 14, commi 2 e 3, del Dlgs. n. 252/2005, e con ritenuta a titolo d’imposta del 23% nelle altre ipotesi di riscatto.

È in relazione a tale ultimo punto che la Corte costituzionale si è soffermata, riguardando la questione oggetto di valutazione proprio il riscatto volontario della posizione individuale da parte di un dipendente pubblico.
La disciplina tributaria previgente, prevista dal Dlgs. n. 124/1993, sanciva per il riscatto della posizione individuale l’assimilazione al reddito di lavoro dipendente, così come in via generale per tutte le prestazioni pensionistiche.
 
Con la riforma il trattamento fiscale del riscatto viene disciplinato in maniera specifica dall’articolo 14, commi 4 e 5, e dall’articolo 11, comma 6, del Dlgs. n. 252/2005 e non più genericamente fatto ricomprendere nelle disposizioni del Tuir.
Il nuovo regime impositivo prevede che la prestazione erogata dal fondo pensione venga tassata con una ritenuta a titolo d’imposta e in maniera distinta rispetto agli altri redditi del percipiente, senza concorrere così a determinarne il reddito complessivo.
Tale regime di favore tuttavia non trova applicazione per tutti gli aderenti alle forme pensionistiche complementari: se per un verso, infatti, l’articolo 21, comma 8, del Dlgs. n. 252 del 2005 ha in via generale abrogato il Dlgs. n. 124/1993, per altro verso, il successivo articolo 23, comma 6, ha disposto che “fino all’emanazione del decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente ed integralmente la previgente normativa”.
In base a tale norma l’individuazione della specifica disciplina applicabile avviene in ragione della natura del rapporto di lavoro dell’aderente a una forma di previdenza complementare e, precisamente, a seconda che egli dipenda da un’amministrazione pubblica o da un datore di lavoro privato.
 
Dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore del Dlgs. n. 252 del 2005, per effetto della mancata emanazione dell’apposito decreto di armonizzazione di attuazione dei principi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, comma 2, lettera p), della legge n. 243/2004 riguardante i lavoratori delle amministrazioni pubbliche, si è creata quindi una distinzione della disciplina con riferimento a vari istituti della previdenza complementare, tra cui quello del riscatto di una posizione individuale e il connesso regime tributario.
Tale differenziazione risulta essere così l’effetto riflesso della parziale attuazione della legge delega, che ha condotto al risultato normativo di discriminare due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità.
Con la legge di bilancio 2018 il trattamento fiscale previsto in relazione alle forme di previdenza complementare tende a riallinearsi: nel tentativo di dare nuova linfa alla previdenza complementare dei dipendenti pubblici il legislatore ha previsto al comma 156 dell’articolo 1 che “a decorrere dal 1° gennaio 2018, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applicano le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252”.
 
La decisione della Corte costituzionale e i profili di illegittimità della norma
Il regime sostitutivo tributario del riscatto previsto dal Dlgs. n. 252 del 2005 si inquadra, secondo i giudici di legittimità, nell’ambito di agevolazioni tributarie non strutturali, dirette a incentivare lo sviluppo della previdenza complementare. Esso assume una specifica giustificazione costituzionale in virtù della sua connessione con l’attuazione dell’articolo 38, secondo comma, della Costituzione, in base al quale “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
 
Nella fattispecie in esame è palese che la ratio del beneficio riconosciuto a favore dei dipendenti privati – quella di favorire lo sviluppo della previdenza complementare – è identicamente ravvisabile anche nei confronti di quelli pubblici.
La Corte costituzionale afferma inoltre che la ricostruzione del quadro normativo evidenzia come non sono individuabili elementi che giustifichino ragionevolmente una disomogeneità del trattamento fiscale agevolativo. Tale conclusione trova peraltro conferma nella stessa evoluzione legislativa che ha sempre mantenuto equiparate le due posizioni, salva l’eccezione – concretizzatasi nella normativa del Dlgs. n. 252 del 2005 – derivante dalla parentesi dovuta alla mancata attuazione di una parte della legge delega n. 243/2004. È inoltre significativo che lo stesso legislatore con la legge di bilancio 2018 abbia successivamente provveduto a ristabilire una situazione di omogeneità di trattamento.
 
I giudici di legittimità, inoltre, in risposta alle tesi sostenute dall’Avvocatura dello Stato, sottolineano come né la stabilità del rapporto di lavoro pubblico, né il maggiore importo dei trattamenti pensionistici obbligatori percepiti dai dipendenti pubblici, né la peculiare modalità di gestione del Tfr pubblico siano in grado di offrire una valida ragione a sostegno della ragionevolezza della duplice disciplina del trattamento tributario del riscatto quale prestazione pensionistica complementare.
 
Per tali ragioni la disposizione censurata è stata dichiarata costituzionalmente illegittima da parte della Corte per violazione del principio di uguaglianza tributaria di cui all’articolo 3 della Costituzione nella parte in cui assoggetta ad imposta il riscatto della posizione individuale ai sensi dell’articolo 52, comma 1, lettera d-ter), del Tuir, anziché ai sensi dell’articolo 14, commi 4 e 5, del Dlgs. n. 252/2005. Conseguentemente viene assorbita anche la censura relativa all’art. 53 Costituzione, ovvero quella riguardante la violazione del principio di capacità contributiva.
 
Nessun profilo di incostituzionalità, infine, viene ravvisato nelle nuove disposizioni previste dalla legge di bilancio 2018: secondo la Corte costituzionale tale norma è di per sé idonea a rendere applicabile la tassazione agevolata di cui all’articolo 14, commi 4 e 5, del Dlgs. n. 252 del 2005 anche alle prestazioni accumulate fino al 1° gennaio 2018 e successivamente oggetto di riscatto.

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