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Giurisprudenza

Nel litisconsorzio facoltativo
una sentenza, e più di un Registro

Pur nell’identità delle questioni, permane l’autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi, che, per loro natura, sono scindibili e autonomamente tassabili

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Con l’ordinanza n. 21713 dell’8 ottobre 2020 la Corte di cassazione ha affermato che, ai fini dell’imposta di registro, l’esigenza di tenere distinte le varie statuizioni della medesima sentenza – in quanto riferibili a distinti rapporti giuridici, in via originaria e successiva – risiede nella stessa logica interna dello specifico presupposto impositivo che deve essere individuato, non nell’atto considerato in sé, quale mero documento, ma nell’atto giuridico avente contenuto economico, in quanto considerato nella sua idoneità a produrre ricchezza e, dunque, sintomo di capacità contributiva. È questo l’importante principio sancito dalla suprema Corte con l’ordinanza in esame.
 
La vicenda
In seguito alla notifica di un avviso di liquidazione per l’omesso pagamento dell’imposta principale di registro in relazione a una sentenza civile, la onlus accertata ha proposto ricorso che è stato accolto dai giudici nel primo grado. La Commissione tributaria regionale successivamente interessata, dopo essersi pronunciata sul presunto difetto di allegazione all’atto impositivo della sentenza civile soggetta a tassazione, ha riformato la decisione di primo grado, affermando che dovesse essere assoggettata a imposta di registro sia “la condanna principale” del soggetto responsabile civile che la “condanna accessoria dell’assicuratore”.
La parte privata ha impugnato in Cassazione la decisione “regionale” lamentando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 del Dpr n. 131/1986, laddove i giudici hanno ritenuto che l’imposta di registro dovesse essere liquidata autonomamente e distintamente sulla condanna (principale) del responsabile civile e sulla condanna (accessoria) dell’assicuratore. La onlus, inoltre, insisteva sul presunto difetto di allegazione della sentenza civile soggetta a tassazione all’atto impositivo notificato dall’ufficio.
 
La soluzione della Corte di legittimità
La suprema Corte, con l’ordinanza in argomento, afferma la piena legittimità dell’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia, evidenziando che “l’esigenza di tenere distinte, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, le varie statuizioni della medesima sentenza - in quanto riferibili a distinti rapporti giuridici, in via originaria e successiva - risiede peraltro nella stessa logica interna dello specifico presupposto impositivo, come descritto dagli artt. 1 e 7 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, che deve essere individuato, non nell’atto considerato in sé, quale mero documento, ma nell’atto giuridico avente contenuto economico, in quanto considerato nella sua idoneità a produrre ricchezza e, dunque, sintomo di capacità contributiva”, nel caso concreto, l’autonomia dei titoli fondanti i separati capi di condanna al risarcimento del danno extracontrattuale (la legge) ed alla manleva (il contratto di assicurazione) ne escludeva la derivazione dalla medesima causa debendi ai fini della liquidazione unitaria dell’imposta di registro”.
 
Brevi osservazioni
L’articolo 21 del Testo unico del Registro stabilisce che, se un atto non contiene più disposizioni che non derivano necessariamente – per la loro intrinseca natura – le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta a imposta come fosse un atto distinto.
Ne discende che, nei casi in cui l’evento storico-materiale che ha originato le domande proposte nella stessa causa e le correlate condanne sia il medesimo, comunque diversi sono i rapporti giuridici che sottendono quelle azioni e quindi il fondamento delle statuizioni che le hanno accolte. I capi del provvedimento giurisdizionale non derivano per loro natura intrinseca gli uni dagli altri, come si verificherebbe in ipotesi di condanna emessa contro più soggetti solidalmente obbligati al risarcimento del danno.
Nel caso in esame, ognuno dei destinatari subisce la condanna per titolo proprio. In una ipotesi trattasi di azione diretta, nell’altro caso di azione di rivalsa. Non esiste, perciò, tra la causa principale e la causa dipendente un rapporto di stretta derivazione giuridica tale da consentire la propagazione degli effetti della pronunzia emessa nella prima nell’ambito dell’altra (contesto, questo, proprio del litisconsorzio necessario), perché tra azione di condanna e azione di rivalsa verso il terzo chiamato esiste solo una sequenza processuale, ancorché consequenziale, che lascia immutate le rispettive posizioni confluite in unico procedimento per ragioni di economia processuale e di riequilibrio degli interessi lesi.
 
In caso di litisconsorzio facoltativo, quale quello in argomento, pur nell’identità delle questioni, permane l’autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi, con la conseguenza che esse, per loro natura scindibili, restano distinte e autonomamente tassabili.
Sul punto, stabile è l’orientamento della suprema Corte (cfr Cassazione, sentenza n. 7113/2008) secondo cui l’imposta non colpisce la sentenza in quanto tale, ma il rapporto o i rapporti in essa racchiusi.
Tale criterio infatti è già stato applicato in altre analoghe fattispecie. In questi casi è stato precisato che, al fine di ritenere necessariamente connesse e derivanti l’una dall’altra più statuizioni contenute in uno stesso provvedimento giudiziario, ciò che occorre, in virtù dell’articolo 21, comma 2, del Dpr n. 131/1986 (norma eccezionale e di stretta interpretazione), è che non si possa concepire l’esistenza dell’una senza prescindere dall’altra, configurandosi una connessione oggettiva per volontà della legge o per l’intrinseca natura delle diverse statuizioni. Non rileva, invece, l’esistenza dì una mera connessione soggettiva per volontà delle parti o di natura occasionale rimanendo in tal caso le disposizioni soggette separatamente a imposta (ai sensi della regola generale recata dal citato articolo 21, comma 1), come se ciascuna fosse un atto distinto (cfr Cassazione, sentenza n. 10789/2004).
In definitiva, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali esposti, si può affermare che l’eterogeneità delle fonti obbligatorie, al di là della comunanza del titolo giudiziale che contiene le distinte statuizioni di condanna, esclude a monte che si possa configurare una duplicazione di tassazione in relazione allo stesso presupposto impositivo.

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