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Giurisprudenza

Il medico socio non si “dissocia”
dall’imponibilità ai fini dell’Irap

Irrilevanti ai fini dell'individuazione della soggettività passiva la percezione o meno da parte del professionista di dividendi distribuiti dalla compagine e la produzione di reddito da parte della srl

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La Cassazione ha stabilito che è soggetto Irap il medico che svolge la propria attività avvalendosi delle attrezzature e dei beni strumentali della società di servizi, con sede operativa presso il proprio studio, della quale è socio.
Questo il principio di diritto stabilito nell'ordinanza n. 7932, del 19 marzo 2021.

I fatti e il processo di merito
La vicenda origina dal silenzio rifiuto di un ufficio lombardo dell'Agenzia delle entrate, formatosi sull'istanza di rimborso dei versamenti Irap, relativi a un quinquennio, avanzata da un ginecologo.
Il professionista impugnava detto silenzio avanti alla Ctp di Milano, che accoglieva il ricorso, rilevando che la partecipazione al capitale di una persona giuridica non poteva integrare gli estremi della assoggettabilità del reddito professionale a Irap.
L'ufficio, quindi, proponeva gravame e la Ctr della Lombardia concordava con la prospettazione erariale.
Secondo il Collegio regionale, la partecipazione societaria in una srl, che si occupava anche della gestione di servizi di laboratorio specialistico attrezzato con apparecchiature idonee per l'esecuzione di tecniche di procreazione assistita, consentiva al professionista il suo inserimento in tale struttura organizzativa.

Il ricorso per cassazione
Il contribuente proponeva ricorso di legittimità, dolendosi che la Ctr avesse omesso qualsivoglia esame delle proprie dichiarazioni dei redditi, dalle quali si evinceva l'esiguità dei costi di ammortamento per i beni strumentali destinati all'attività professionale e l'assenza di spese per prestazioni di lavoro dipendente.
Inoltre, argomentava il dottore, egli, oltre a non aver ricevuto alcun dividendo dalla partecipazione societaria, non utilizzava nessuna struttura operativa della società, la cui attività non era quella di laboratorio analisi ma di gestione di servizi.
Infine, secondo il ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe riconosciuto l'insussistenza di almeno due presupposti – quali la mancanza di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività e l'utilizzo di collaboratori e dipendenti oltre la soglia minima – individuati dalla giurisprudenza per l'integrazione del requisito dell'autonoma organizzazione.

La decisione
La Corte suprema premette che il parametro dell'autonoma organizzazione è stato più volte specificato dalla giurisprudenza di nomofilachia, che ha affermato il seguente principio: “con riguardo al presupposto dell'Irap, il requisito dell'autonoma organizzazione previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive" (cfr Cassazione, sezioni unite, n. 12018/2016).

Il professionista-socio
In giurisprudenza – continuano i togati di legittimità – si è formato un consolidato indirizzo secondo il quale “l'esercizio di professioni in forma societaria costituisce <<ex lege>> presupposto dell'imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un'autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell'attività” (cfr Cassazione, sezioni unite, pronunce nn. 7371/2016 e 18920/2016).
È altrettanto incontestabile, secondo la Cassazione, che la posizione del professionista di socio di una compagine societaria di capitali non incide di per sé sulla propria capacità organizzativa a meno che venga allegato e provato che il professionista, che esercita la propria attività in forma non associativa e/o societaria, tragga dalla struttura terza della quale egli è socio utilità organizzative, quali ad esempio utilizzo di strumenti informatici, computers, banche dati, riviste, attrezzatura varia, servizio di segreteria (cfr Cassazione, decisione n. 22674/2014).

Il caso in esame
Dai principi enunciati, appaiono, quindi, del tutto irrilevanti, ai fini dell'individuazione della soggettività passiva Irap, le questioni relative alla percezione o meno da parte del socio di dividendi dalla società e alla produzione di reddito da parte della srl.
La Ctr lombarda, infatti, aveva fondato il proprio convincimento, circa lo svolgimento da parte del ricorrente della propria attività di medico specializzato in ginecologia mediante l'impiego dell'organizzazione societaria:

  • dalla qualifica di socio del contribuente
  • dall'oggetto sociale, desunto dalla visura camerale, che comprendeva anche la gestione di servizi di laboratorio specialistico attrezzato con apparecchiature idoneo per la esecuzione di tecniche di procreazione assistita
  • dalla circostanza che la sede operativa della società era stata fissata proprio presso lo studio del ricorrente.

In definitiva, secondo la Cassazione, sussistono attrezzature e beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività di ginecologo.
Da qui, il rigetto del ricorso, non essendo gli elementi presuntivi, valorizzati dal giudice regionale, smentiti dal medico, il quale, anzi, aveva ammesso che la società si occupava di gestire servizi di laboratorio e aveva un dipendente.

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