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Giurisprudenza

Con il lucro arriva la tassazione,
per le agevolazioni servono i fatti

Non basta un’appartenenza astratta e un atto formale per aggiudicarsi l’accesso al regime di vantaggio destinato alle associazioni attive nel mondo del no profit

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Con sentenza 6 novembre 2013, n. 24898, la sezione tributaria della Corte di cassazione ha stabilito che non sfugge all’accertamento induttivo la “finta” associazione senza scopo di lucro che invece svolge regolare attività commerciale al suo interno. Infatti, gli enti di tipo associativo non godono dello status di “extrafiscalità” che li esenta da ogni prelievo fiscale, potendo anche le organizzazioni no profit svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale con proventi, dunque, tassabili.
 
La vicenda
Il dato processuale riguarda un avviso di accertamento con il quale l’ente impositore aveva ricostruito il reddito in via induttiva, determinando maggiori Irpeg, Irap, Iva e accessori, essendo stato riconosciuto a una associazione polisportiva lo svolgimento di attività commerciale in difetto delle prescritte scritture contabili e non quello di attività associativa senza fini di lucro per la gestione di impianti sportivi, in particolare palestre, con servizi annessi, compreso quello di bar.
 
La sentenza di appello, che rigettava l’impugnazione, viene opposta dall’associazione con ricorso per cassazione con il quale è richiesta la censura della decisione di secondo grado per vizio di motivazione nonché, per quanto qui di interesse, per violazione dell’articolo 86 del Tuir, il quale imporrebbe la regola generale della qualificazione dell’ente come commerciale o non, sulla base dell’atto costitutivo ovvero dello statuto, con onere a carico dell’ufficio di fornire la prova contraria. Sostiene inoltre il ricorrente che, a tal fine, l’Agenzia dovrebbe provare, anche in via presuntiva, il presupposto della rettifica ovvero almeno la teorica esistenza di ricavi non documentati, prima e a prescindere dalla loro quantificazione.
 
Motivi della decisione
Nel respingere totalmente il ricorso del contribuente, la Corte suprema convalida il principio che è legittimo l’accertamento induttivo se l’associazione senza scopo di lucro svolge invece regolare attività commerciale al suo interno.
A tal fine, dopo aver premesso che nessuna norma fiscale impone, in via generale, l’obbligo di previa convocazione del contribuente in sede amministrativa prima dell’accertamento, non subendo pregiudizio il suo diritto di difesa che può essere esercitato, senza limitazioni, sia nella fase successiva all’accertamento – in sede di definizione con adesione e di attivazione dei poteri di autotutela della Pubblica amministrazione – sia nella sede contenziosa (cfr Cassazione, sentenze 20268/2008, 16874/2009, 14026/2012), il giudice di legittimità argomenta che, in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche, gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro – come prevede l’articolo 111, secondo comma, del Dpr 917/1986 (nel testo applicabile nella specie, ratione temporis) – svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale.
 
Lo stesso articolo 111, primo comma – in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo – costituisce, d’altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dagli articoli 86 e 87 del Tuir, secondo cui l’Irpeg si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche (Cassazione, sentenza 16032/2005). Di conseguenza, l’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’articolo 2697 del codice civile (Cassazione, sentenza 3360/2013).
Ciò in quanto, affinché un’associazione sportiva dilettantistica possa beneficiare delle agevolazioni fiscali previste in materia di Iva e di Irpeg, rispettivamente dall’articolo 4 del Dpr 633/1972 e dall’articolo 111 del Dpr 917/1986, non è sufficiente la sua astratta appartenenza a una delle categorie previste da tali norme, ma è necessario che essa dia prova di svolgere la propria attività nel pieno rispetto di tutte le prescrizioni da esse imposte (Cassazione, sentenza 8623/2012).
 
In altri termini, gli enti di tipo associativo possono godere del previsto trattamento agevolato a condizione non solo dell’inserimento nei loro atti costitutivi e negli statuti di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell’articolo 5 del Dlgs 460/1997, ma anche dell’accertamento che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse (Cassazione, sentenza 11456/2010).
 
Nel confermare, quindi, il recupero a tassazione, come redditi di impresa, dei proventi conseguiti dall’associazione sportiva, perché i soci della palestra da essa gestita venivano di fatto trattati come semplici clienti di un imprenditore, la Corte di legittimità conclude rilevando che la sentenza impugnata non merita censura, in quanto “gli elementi richiamati dal ricorrente a sostegno della tesi della non assoggettabilità al tributo, non essendo lo stesso società commerciale, siano stati assolutamente insufficienti allo scopo, estrinsecandosi, in ultima analisi, al richiamo allo statuto, ignorando i principi chiaramente richiesti dalla Cassazione sull'onere della prova”.
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