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Giurisprudenza

L’iscrizione all’Aire non basta
a evitare il monitoraggio fiscale

Al di là delle risultanze anagrafiche è l’esame sulla veridicità di elementi di fatto a determinare la presenza nel territorio dello Stato del centro degli affari e degli interessi personali di un soggetto

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La persona fisica iscritta all’Aire è considerata fiscalmente residente in Italia quando è verificato, sulla base di elementi presuntivi, che ha fissato o mantenuto nel Paese, per la maggior parte del periodo d’imposta, il proprio domicilio, riconoscibile ai terzi, inteso come il luogo di stabile gestione degli interessi e degli affari economico-patrimoniali. Questo il principio di diritto espresso dalla sezione tributaria della Corte di cassazione nell’ordinanza n. 11620 del 4 maggio 2021.

I fatti
Con apposito avviso, l’Agenzia delle entrate ha contestato a una persona iscritta all’anagrafe degli italiani residenti all’estero la violazione delle regole sul monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività finanziarie detenuti all’estero, per aver omesso la presentazione dell’apposito quadro RW della dichiarazione dei redditi. Il contribuente ha resistito all’atto impositivo, dichiarando di essere residente in Spagna e di aver qui trasferito il proprio centro degli affari e degli interessi. Il ricorso è stato accolto dai giudici di prime cure e la sentenza è stata confermata in appello. Qui il giudice di merito ha ritenuto provata la circostanza della residenza all’estero perché in Spagna, dove aveva una abitazione di proprietà, la famiglia del contribuente aveva stabilito il centro degli affari e degli interessi, molti anni addietro rispetto al periodo d’imposta oggetto di contestazione.

L’Agenzia delle entrate ha impugnato la decisione della Ctr lamentando violazione degli articoli 2, del Tuir, e 43, del codice civile, per avere la Ctr fondato la propria decisione esclusivamente sull’esistenza di una dimora abituale del contribuente in Spagna, senza valutare congiuntamente gli elementi di fatto sulla base dei quali era ragionevole presumere che lo stesso contribuente avesse mantenuto in Italia il proprio domicilio.

La Corte di cassazione ha ritenuto fondati i motivi di ricorso avanzati dall’amministrazione finanziaria e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

La residenza fiscale delle persone fisiche e gli obblighi di monitoraggio fiscale
In tema di monitoraggio fiscale, l’articolo 4 del decreto legge n. 167/1990 stabilisce che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate, fiscalmente residenti in Italia che, nel periodo d'imposta considerato, detengono direttamente o indirettamente (ossia in qualità di titolari effettivi) investimenti all'estero e/o attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi.
La violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale è sanzionata, ai sensi del successivo articolo 5, nella misura dal 3 al 15% (o dal 6 al 30% nell’ipotesi di detenzione in Stati o territori a regime fiscale privilegiato) dell'ammontare degli importi non dichiarati.
Dirimente, ai fini dell’assoggettamento all’obbligo di presentazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi, è la circostanza che il detentore dell’asset detenuto all’estero sia fiscalmente residente in Italia ai sensi dell’articolo 2 del Dpr n. 917/1986 per quanto attiene alle persone fisiche (e dell’articolo 73 per le entità diverse).

Il giudizio del Collegio di legittimità si è incentrato sulla corretta interpretazione della citata norma secondo cui, ai fini delle imposte dirette, si considerano residenti le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono (i) iscritte nell’anagrafe della popolazione residente in Italia o (ii) hanno nel Territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 43, commi 1 e 2, del codice civile.
Secondo la disciplina civilistica il “domicilio” è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede dei propri affari economico-patrimoniali e dei propri interessi affettivi e personali. La “residenza”, invece, è il luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale, caratterizzata dall’elemento oggettivo della permanenza dell’individuo con una certa stabilità e continuità e dall’elemento soggettivo, consistente nella volontà dell’individuo di conservare la propria dimora e di farvi ritorno ogni volta che ne risulti abilitato.
La disciplina fiscale prevede, inoltre, l’elemento temporale, nel senso che la persona deve essere iscritta dell’anagrafe residente o avere il domicilio/residenza civilistici per la maggior parte del singolo periodo d’imposta considerato.

La decisione
Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione, partendo dalla contestazione delle violazioni sulle regole del monitoraggio fiscale, contenute nell’articolo 4 del Dl n. 167/1990, ha affrontato nuovamente il tema dei requisiti necessari per inquadrare la residenza fiscale della persona fisica in Italia, al di là del dato formale dell’iscrizione anagrafica.
Sulla base del dato normativo, confermato dalla giurisprudenza costante delle Corte di cassazione, si può affermare che lo status di residente fiscale non si limita all’esito del solo dato formale delle risultanze anagrafiche, ma è legato all’esistenza di un collegamento di fatto con il territorio dello Stato costituito, alternativamente, dal domicilio o dalla residenza come disciplinati dalla norma civilistica.
 
Ne consegue, che “l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali” (cfr Cassazione n. 16634/2018). In altri termini, al di là della formale residenza stabilita fuori dal territorio nazionale, il contribuente sarà considerato fiscalmente residente in Italia ove venga provato, in sede amministrativa o giudiziale, che egli abbia qui mantenuto o stabilito il proprio domicilio civilistico.

In tal senso, la Corte di cassazione si era già espressa in precedenti pronunce, ribadendo che l’iscrizione all’Aire deve ritenersi un mero dato formale, con ciò assegnando maggior valore al domicilio attribuibile al contribuente, “inteso come la sede principale degli affari e degli interessi economici nonché delle relazioni personali come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dall’iscrizione del soggetto all’AIRE” (cfr Cassazione nn. 21694/2020, 21695/2020, 21696/2020 e 21697/2020, tutte dell’8 ottobre, e anche nn. 678/2015, 24246/2011 e 14434/2010).

Al di là delle risultanze anagrafiche è, pertanto, l’esame sulla veridicità e completezza di elementi di fatto a determinare la presenza nel territorio dello Stato del centro degli affari e degli interessi personali di un soggetto. A mero titolo esemplificativo possono assumere un significativo valore segnaletico il riscontro dell’effettiva presenza del soggetto in Italia, la disponibilità di autoveicoli, l’esistenza di cariche societarie ricoperte in entità societarie residenti, l’apertura e la tenuta di rapporti di natura finanziaria presso intermediari italiani, la titolarità di una partita Iva attiva  nonché la stipula di atti soggetti a registrazione in Italia (cfr risoluzione n. 351/2008).
La valutazione congiunta di tutti questi elementi fattuali potrebbe ragionevolmente indurre a ritenere stabilito in Italia il domicilio della persona fisica, indipendentemente dall’iscrizione anagrafica all’Aire.

La stessa amministrazione finanziaria ha, peraltro, più volte precisato che l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale (sia delle persone fisiche che delle entità diverse) costituisce una questione di fatto, tanto da non poter formare oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212/2000 (cfr risposte nn. 288/2020 e 294/2019 e circolare n. 9/2016).
Sotto lo stesso profilo assume ulteriore rilevanza, ai fini dell’individuazione del domicilio, il concetto di “riconoscibilità” dello stesso da parte dei terzi.
 
Al riguardo, la Corte di cassazione ha assunto un orientamento differente rispetto al passato – e la pronuncia in commento si inserisce in tale filone interpretativo – affermando oggi che il concetto della riconoscibilità va individuato dapprima rispetto al luogo di gestione degli interessi e degli affari economico-patrimoniali e poi delle relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento (cfr Cassazione nn. 32992/2018, 45752/2017 e 6501/2015).
Sul punto, osserviamo che la prassi continua a ritenere preminenti, in caso di conflitto, i legami personali e familiari rispetto a quelli economici, tanto che la presenza della famiglia in Italia opera una attrazione della residenza fiscale anche del contribuente iscritto Aire che stabilmente soggiorna all’estero (cfr circolare ministeriale n. 304/E/1997).

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