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Giurisprudenza

Legittima la ripartizione degli utili
fondata sui costi di manutenzione

La disomogenea allocazione degli oneri tra le società correlate è un classico campanello d'allarme della possibile inaffidabilità, in concreto, del metodo di suddivisione degli stessi

distribuzione utili

In tema di transfer pricing, l’utilizzo del metodo di ripartizione degli utili fondato non solo su parametri di carattere statico e patrimoniale (come i valori delle immobilizzazioni e la grandezza dell’opera gestita) necessita di correttivi di natura dinamica, direttamente afferenti all'analisi dell'andamento del singolo esercizio, come i costi di manutenzione degli impianti. È legittimo allora l’accertamento nei confronti della società italiana che sostiene costi di manutenzione molto più elevati.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 11837 del 18 giugno 2020, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.

La vicenda processuale.
Nel caso in esame, il metodo di ripartizione del profitto consisteva nella suddivisione economica dell'utile lordo (ante imposta) conseguito complessivamente dalle tre società, tramite (ovviamente) la sottrazione dai ricavi complessivi del totale dei costi delle tre imprese; l'utile lordo complessivo era stato ripartito tra le società correlate sulla base di una percentuale di imputazione (ossia di una quota) risultante dalla media aritmetica di due valori significativi, quali i chilometri di oleodotto di competenza di ciascuna di esse (e quindi le tonnellate di greggio che vi transitavano) e il valore delle immobilizzazioni materiali iscritto nei bilanci delle consociate.

Secondo gli accertatori, tale criterio, ineccepibile sul piano teorico, necessitava di essere corretto al fine di determinare, per ciascuna società, un risultato reddituale realistico, aderente al contributo operativo che ogni impresa aveva fornito alla gestione dell'oleodotto. Lo strumento di correzione del coefficiente di ripartizione dell'utile lordo utilizzato dall'amministrazione finanziaria consisteva nel considerare (oltre ai chilometri gestiti e al valore delle immobilizzazioni) anche il costo della manutenzione degli impianti sopportato da ciascuna società (quello della contribuente era quasi il triplo di quello delle altre due società di gestione dell'oleodotto, a causa dell'orografia dei rispettivi territori), il che comportava, per la società italiana, un aumento della base imponibile per ciascuna delle annualità in verifica.
Sia la Ctp di Trieste che la Ctr accoglievano le doglianze della contribuente annullando gli avvisi di accertamento impugnati.

Con il ricorso in Cassazione, l’Agenzia delle entrate denunciava, tra l’altro, violazione degli articoli 9 e 110 del Tuir, ritenendo che la Ctr avesse errato nell’avallare il metodo seguito dalle società, ai fini della determinazione del valore normale fondato su parametri di carattere statico e patrimoniale (la lunghezza del tratto di oleodotto gestito; il valore di bilancio delle immobilizzazioni): secondo l’amministrazione tale criterio necessitava di correttivi direttamente afferenti all'analisi dell'andamento del singolo esercizio, come - appunto - i costi di manutenzione degli impianti, molto più alti per la compagine italiana che per quelle estere, a causa del diverso andamento dei tratti di oleodotto di rispettiva competenza (in salita, il tratto italiano; in discesa quello in Austria; in pianura quello tedesco). Se fosse stato preso in considerazione il divario dei costi di manutenzione, questa voce, come avviene in un sistema di libero mercato, avrebbe avuto dei riflessi sui prezzi di vendita del servizio e sui ricavi di esercizio, in quanto non è concepibile che a costi di esercizio altamente differenziati tra diverse imprese, per il medesimo servizio, corrispondano ricavi omogenei.

La pronuncia
Nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle entrate, la Cassazione ricorda che la disciplina in materia di transfer pricing, finalizzata alla repressione del fenomeno economico dello spostamento di imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti, non richiede di provare, da parte dell'amministrazione, la funzione elusiva, ma solo l'esistenza di "transazioni" tra imprese collegate a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale. Grava invece sul contribuente, secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova, ai sensi dell'articolo 2697 cc e in tema di deduzioni fiscali (cfr Cassazione nn. 9917/2008 e 19489/2010), l'onere di dimostrare che tali "transazioni" sono intervenute per valori di mercato da considerarsi normali, alla stregua dell'articolo 9, terzo comma, del richiamato decreto, secondo cui sono da intendersi normali i prezzi di beni e servizi praticati "in condizioni di libera concorrenza", al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi e con riferimento "in quanto possibile" a listini e tariffe di uso, non escludendosi pertanto l'utilizzabilità, al descritto fine, di altri mezzi di prova (cfr Cassazione nn.. 20805/2017, 28335/2018, 9673/2018,.11949/2012; 10739 e 10742 del 2013; e 8849/2014).

Quanto alla procedura utilizzata dall’ufficio, la Cassazione precisa che il metodo transazionale di ripartizione degli utili delle transazioni si pone l'obiettivo di eliminare gli effetti sugli utili derivanti dalle condizioni speciali convenute o imposte in una transazione controllata, determinando la ripartizione degli utili che imprese indipendenti avrebbero previsto di realizzare ponendo in essere la transazione o le transazioni. Tale metodo individua, innanzitutto, gli utili da ripartire tra le imprese associate derivanti dalle transazioni effettuate dalle controllate (gli “utili complessivi”). Successivamente, detti utili si ripartiscono tra le imprese associate, sulla base di un fondamento economicamente valido, il quale si avvicina alla ripartizione degli utili che sarebbe stata prevista e considerata in un accordo realizzato secondo il principio di libera concorrenza. I giudici ne delineano poi i vantaggi e gli svantaggi.

Il Dm del 14 maggio 2018 del ministero dell'Economia e delle Finanze (Linee guida per l'applicazione delle disposizioni previste dall'articolo 110, comma 7, del Tuir, in materia di prezzi di trasferimento) pone i sei metodi più diffusi sullo stesso piano, però indica la preferenza per il tradizionale metodo Cup
La Commissione regionale ha ritenuto legittimo e corretto l'utilizzo del metodo di ripartizione degli utili delle transazioni, il quale, come prima accennato, è previsto anche dalle Linee guida dell'Ocse, e, per converso, ha negato che i correttivi adottati dall'amministrazione fiscale, consistenti nel riconoscimento della rilevanza della diversa incidenza (nei bilanci delle imprese associate) dei costi di manutenzione dell'oleodotto, poggiassero su “elementi ben precisi e non opzionali”, capaci di rendere il “valore normale” più coerente e più vicino alla realtà.
Per questo ad avviso del Collegio di legittimità, l'enunciato della Commissione regionale non è condivisibile in quanto, in sostanza, non si è tenuto conto della forte asimmetria dei costi infragruppo, denunciata dall’Agenzia delle entrate fin dalla fase amministrativa, laddove la disomogenea allocazione dei costi tra le società correlate è un classico campanello d'allarme della possibile inaffidabilità, in concreto, del metodo di ripartizione degli stessi costi.

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