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Giurisprudenza

Il legale rappresentate “ignaro”
risponde degli illeciti dell’impresa

La forza maggiore, perno della difesa, va vista come una “causa esterna” che costringe il contribuente a commettere la violazione tributaria per causa imprevista, imprevedibile e irresistibile

banconote

Non può essere invocata la causa di non punibilità per “forza maggiore” se, nel gestire la crisi di liquidità d’impresa, il legale rappresentante ha scelto di pagare dipendenti e fornitori in luogo degli oneri fiscali. Inoltre, per la sua qualifica, l’imputato risponde delle illecite compensazioni di crediti inesistenti.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 40772 del 4 ottobre 2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso del legale rappresentante di una società, per i reati tributari d’indebita compensazione e omesso versamento di ritenute certificate.
L’imputato, per la sua qualità di rappresentante legale, risponde del reato d’indebita compensazione di crediti inesistenti della società. Inoltre, l’omesso versamento di ritenute certificate non può essere ricondotto al verificarsi della causa di “forza maggiore” di cui all’articolo 6 del Dlgs n. 472/1997, stante il verificarsi di una scelta di politica imprenditoriale volta all’assolvimento di altri oneri, diversi da quelli fiscali.
 
Il caso
Con sentenza del 24 settembre 2018, i giudici di secondo grado hanno condannato alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione il legale rappresentante di una società, per i reati d’indebita compensazione e omesso versamento di ritenute certificate per l’anno d’imposta 2011 (articoli 10-bis e 10-quater del Dlgs n. 74/2000.
 
L’imputato ha proposto ricorso alla suprema Corte, lamentando la contraddittorietà della motivazione della Corte d’appello e l’omessa valutazione di prove espletate in dibattimento.
In particolare, la difesa ha rappresentato che il reo non aveva competenze tali da poter commettere i reati in oggetto, egli si occupava solo del lavoro e mai della contabilità, con la sola licenza media. Egli ha pagato i dipendenti e i fornitori, manca pertanto l'accertamento del dolo dei reati in oggetto. La situazione di crisi economica dell'azienda (con la cessione dell'attività) non consentiva comunque di pagare il fisco”.
 
Con il ricorso in Cassazione l’imputato ha quindi invocato la sua non colpevolezza per i reati fiscali ascritti, in ordine alle seguenti ragioni:

  • la mancanza delle competenze contabili necessarie all’espletamento delle attività fiscali illecite, precisando di aver solo pagato i dipendenti e i fornitori
  • la carenza di liquidità necessaria a far fronte alle imposte da pagare, stante la situazione di crisi economica in cui versava l’impresa. 

In merito al primo motivo, i giudici di legittimità hanno precisato che “non risultano specifici motivi nel ricorso in cassazione, se non la generica prospettazione che il ricorrente non si occupava di contabilità, ma solo del lavoro in azienda. Il fatto che egli non si occupasse direttamente della contabilità non è rilevante, in quanto in qualsiasi azienda di quelle dimensioni la contabilità è normalmente affidata a professionisti”.
Ha ribadito quindi la Corte che nella sua qualità di rappresentante legale, l’imputato risponde del reato contestato.
 
Con riguardo al secondo motivo di ricorso, i giudici hanno ribadito che “l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico”.
La Corte ha pertanto escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità. Infatti, come sostenuto dalla difesa, l’imputato aveva pagato dipendenti e fornitori in luogo degli oneri fiscali.
 
Pe le ragioni esposte, il ricorso è stato considerato inammissibile con conseguente condanna in via definitiva per il reato d’indebita compensazione e omesso versamento di ritenute certificate.
 
Osservazioni
Nell’ambito della sentenza in esame, la Corte di cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo cui l'inadempimento dell’obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore “solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico”.
 
La forza maggiore, richiamata dall’articolo 6 del Dlgs n. 472/1997 (cause di non punibilità in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie), va vista come una “causa esterna” che obbliga il contribuente a comportarsi in modo difforme da quanto voluto e che lo costringe a commettere la violazione tributaria a causa di un evento imprevisto, imprevedibile e irresistibile. Le cause di forza maggiore possono rappresentare delle esimenti dall’applicazione della sanzioni tributarie, in quanto rappresentano motivi che non permettono al contribuente di rispettare gli obblighi tributari.
 
Nel caso concreto, la scelta dell’imputato di pagare dipendenti e fornitori anziché gli oneri fiscali è quindi in contrasto con il concetto di “forza maggiore” sopra richiamato.
I supremi giudici hanno altresì ribadito che l’imputato, per la sua qualità di legale rappresentante, risponde degli illeciti fiscali, posto che “in qualsiasi azienda di quelle dimensioni la contabilità è normalmente affidata a professionisti”.
Già con la sentenza n. 4621 del 4 febbraio 2016, la Cassazione aveva affermato che “in tema di reati tributari l’affidamento ad un terzo dell’incarico di predisporre la dichiarazione annuale dei redditi (…) non esonera il soggetto che, per essere il legale rappresentante della società, è tenuto al versamento delle imposte in nome e per conto di quella, della responsabilità penale per il delitto di omesso versamento”.
Precedentemente, con riguardo al reato di cui all’articolo 10-ter del Dlgs n. 74/2000 (omesso versamento di Iva), le sezioni unite avevano sentenziato che ai fini della sussistenza del reato, non è necessario il dolo specifico, ovvero la volontà di evasione fiscale, ma basta il solo dolo generico, rilevando la consapevolezza dell’imputato, che attesa la natura di reato proprio presuppone la qualifica di legale rappresentante della persona giuridica o dell’ente tenuto all’adempimento fiscale” (sezioni unite, pronuncia n. 37424/2013).
 
Pertanto, l’ignoranza in materia fiscale del legale rappresentante “con la sola licenza media”, non esclude la sua colpevolezza nei reati contestati.

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