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Giurisprudenza

L’avviso di recupero credito
è atto che viaggia in autonomia

Si tratta di un provvedimento impositivo che segue le regole degli accertamenti, può essere quindi impugnato e deve essere motivato con riferimento alle ragioni giuridiche e ai presupposti

viaggiatore solitario

In base all’articolo 1, comma 421, della legge n. 311/2004, l’avviso di recupero di un credito d’imposta, con cui l’amministrazione finanziaria può procedere alla riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione, nonché delle relative sanzioni e interessi, ha natura prodromica, e non consequenziale, all’avviso di accertamento, per cui l’omessa adozione di quest’ultimo atto impositivo non incide sulla sua legittimità, né comporta alcuna menomazione del diritto di difesa del contribuente, atteso che, come l’avviso di accertamento, deve essere motivato con riferimento alle ragioni giuridiche e ai presupposti di fatto dell’azione di recupero e ha valenza di atto impositivo autonomamente impugnabile ai sensi dell’articolo 19 del Dlgs n. 546/1992. È questo il principio affermato con l’ordinanza n. 9437 del 22 maggio 2020 della Corte di cassazione.
 
La vicenda
A seguito della notifica di un atto di recupero emesso dall’Agenzia delle entrate per la riscossione di un credito indebitamente utilizzato in compensazione ai sensi (articolo 17, Dlgs n. 241/1997), il contribuente proponeva ricorso che veniva accolto nel primo grado del giudizio.
I giudici del gravame ribaltavano l’esito della controversia accogliendo l’appello proposto dalla parte pubblica. Il contribuente proponeva ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado eccependo, tra l’altro, la violazione o falsa applicazione dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992, avendo la Ctr preliminarmente osservato che l’elenco degli atti impugnabili, contenuto nel suddetto articolo 19, andrebbe interpretato in modo estensivo, sì da comprendere anche quei provvedimenti che, pur non rivestendo l’aspetto formale proprio di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria.
 
La soluzione della Suprema Corte
I giudici di legittimità con la pronuncia in commento hanno rigettato il motivo di censura avanzato dalla parte privata affermando che “dall’esame del ricorso emerge che l’atto di recupero venne emesso dall’Ufficio ai sensi dell’art. 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 […] siffatto atto di recupero ben può assumere la valenza di autonomo atto impositivo: l’avviso di recupero di credito d’imposta ex art. 1, comma 421, della I. n. 311 del 2004, con cui l’Amministrazione finanziaria può procedere alla riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione, nonché delle relative sanzioni ed interessi, ha natura prodromica, e non consequenziale, all’avviso di accertamento, per cui l’omessa adozione di quest’ultimo atto impositivo non incide sulla sua legittimità, né comporta alcuna menomazione del diritto di difesa del contribuente, atteso che, come l’avviso di accertamento, deve essere motivato con riferimento alle ragioni giuridiche ed ai presupposti di fatto dell’azione di recupero ed ha valenza di atto impositivo autonomamente impugnabile ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Facendo applicazione di tale principio, dunque, del tutto correttamente la CTR ha considerato legittimamente emesso ed autonomamente impugnabile l’atto di recupero contestato dal contribuente”.
 
Brevi osservazioni
La legge n. 311/2004 ha introdotto nel sistema tributario italiano gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta quali strumenti a cui l’agenzia delle entrate ricorre per contestare l’utilizzo in compensazione di crediti illegittimamente fruiti. Relativamente alla contestazione di crediti inesistenti, gli avvisi di recupero devono essere notificati entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo del credito.
Dal 2015, con la riforma del sistema sanzionatorio è stata introdotta la definizione di “credito inesistente”, così da precisare, senza possibilità di ambiguità interpretative, le sanzioni applicabili a seconda si tratti di credito “non spettante”, per il quale la sanzione è del 30%, ovvero “inesistente”, per il quale la sanzione va dal 100 al 200 per cento. Più precisamente è inesistente il credito che non è riscontrabile con il controllo automatizzato.
L’atto di recupero viene adeguatamente motivato tramite l’esatta identificazione della contestazione e degli elementi in base ai quali l’ufficio ritenga il credito inesistente ovvero non spettante, affinché possa essere verificata la correttezza delle sanzioni irrogate e, in ogni caso, la fondatezza della pretesa. Se la contestazione è contenuta in un atto di recupero del credito, il pagamento va eseguito entro sessanta giorni dalla ricezione. Anche in questo caso, in assenza di versamento, il debito sarà iscritto a ruolo.
Contro gli avvisi di recupero è possibile esperire il ricorso giurisdizionale, da presentarsi entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto, e il sindacato giudiziale può concernere ogni motivo sollevato nel ricorso. In pendenza di giudizio non è prevista la riscossione frazionata delle somme. Nell’ipotesi di contestazione attraverso la notifica dell’avviso bonario, occorrerà attendere la cartella di pagamento e proporre ricorso avverso quest’ultima.
Proprio sul tema dell’impugnabilità o meno dell’atto di recupero del credito è intervenuta l’ordinanza oggetto del presente commento.
I giudici si legittimità in particolare hanno ritenuto che in base all’articolo 1, comma 421, 1 della legge n. 311/2004, l’amministrazione finanziaria può procedere alla riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione, nonché delle relative sanzioni e interessi, mediante l’emanazione di un apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973.
In definitiva, l’adozione di questo provvedimento – tipizzato, come detto, dalla legge – ha natura prodromica, e non consequenziale, all’avviso di accertamento. Né l’emanazione dell’avviso di recupero ai sensi della disposizione citata implica alcuna menomazione del diritto di difesa del contribuente; posto che esso sia obbligatoriamente motivato con riferimento alle ragioni giuridiche e ai presupposti di fatto dell’azione di recupero, il provvedimento assume, al pari dell’avviso di accertamento, valenza di atto impositivo autonomamente impugnabile secondo quanto preisto dell’articolo 19 del Dlgs n. 546/1992 del 1992.
Si segnala inoltre che, nello stesso senso, si è espressa la Corte suprema con altre due pronunce (Cassazione, pronunce nn.4687/2012 e 8429/2017) secondo cui, pur essendo equiparabili nella loro natura impositiva, l’atto prodromico di recupero del credito e l’avviso di accertamento sono suscettibili di essere autonomamente impugnati dal contribuente.
D’altronde la natura puramente impositiva dell’atto in discorso si evince anche analizzando l’assoggettamento dello stesso alla disciplina, in generale, prevista dal legislatore per gli avvisi di accertamento. Si veda, ad esempio, quanto deciso dai giudici di legittimità in tema di applicabilità dell’istituto giuridico previsto dall’articolo 12, comma 7 dello Statuto del contribuente alla fattispecie in parola, laddove essi affermano che “l’avviso con il quale l’Ufficio finanziario procede al recupero del credito di imposta non può essere emanato, in assenza di particolari ragioni di urgenza, prima che sia decorso il termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, trattandosi di atto anch’esso impositivo, di accertamento della pretesa tributaria, a cui va, pertanto, estesa la disciplina procedimentale fissata da tale disposizione con specifico riferimento all’avviso di accertamento” (Cassazione, sentenza n. 19561/2014).

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