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Giurisprudenza

Indebita fruizione del “margine”:
la buona fede deve essere provata

Spetta al cessionario dimostrare sia la non consapevolezza della partecipazione all’evasione, sia di aver agito con la massima diligenza per evitare il coinvolgimento nelle operazioni illecite

stretta di mano

In presenza di obiettive condizioni di incertezza, il giudice non può esimersi dall’applicare le sanzioni tributarie se il contribuente non ha neanche fornito la prova in merito agli elementi che hanno generato il dubbio interpretativo. Se l’applicazione del regime del margine viene contestata, il contribuente deve provare la non colpevolezza. Questo il principio sancito con la sentenza della Corte di cassazione n. 24707/2019.
 
 

I fatti processuali
L'Agenzia delle entrate ha notificato a un contribuente due avvisi di accertamento relativi agli anni d'imposta 2003 e 2004 contestando, l'errata applicazione del regime speciale del margine di utile su operazioni imponibili a fini Iva (oltre ad applicargli le relative sanzioni pecuniarie). Le contestazioni si riferivano a operazioni inerenti dieci autovetture in relazione alle quali si contestava l'indebita applicazione del regime speciale del margine, in luogo del corretto regime ordinario.
 
Avverso tali atti impositivi il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Ctp che ha annullato gli avvisi ritenendo il ricorso meritevole di accoglimento.
L’Ufficio ha impugnato tale sentenza e la Ctr, in accoglimento dell'appello erariale, ha ritenuto irregolare il ricorso al regime speciale.
Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso proponendo, a sua volta, ricorso incidentale.
 
I motivi di ricorso
Con il primo motivo di ricorso principale, il ricorrente ritiene illegittima la sentenza impugnata per falsa applicazione dell’articolo 36 del Dl n. 41/1995, per avere, la Ctr escluso l'applicabilità del regime del margine nonostante ne ricorressero i presupposti e ne constasse la relativa prova.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia l'illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell'articolo 2697 del codice civile, per avere la Ctr ritenuto eseguito l'adempimento dell'onere della prova della pretesa tributaria da parte dell'erario, ancorché detta prova facesse difetto.
 
La decisione sul ricorso principale
I giudici di legittimità si soffermano, innanzitutto, sulla disciplina del regime del margine.
In base all’articolo 36 del Dl n. 41/1995 e del diritto dell'Unione europea (ora Direttiva 2006/11/CE articoli 311-325) per i rivenditori di oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione nonché di beni mobili usati suscettibili di reimpiego nello stato originario previa riparazione (come i veicoli aventi i requisiti di cui all’articolo 38, comma 4, Dl n. 331/1993,), l'Iva relativa alla rivendita è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all'acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie. Ferma restando, però, la facoltà del contribuente di applicare l'imposta nei modi ordinari, per ciascuna cessione.
 
Ai fini dell'applicabilità del detto regime è necessario che l'acquisto sia stato effettuato da un privato consumatore, oppure da soggetto che non abbia potuto detrarre l'imposta (perché la cessione del bene da parte sua è esentata) o che abbia agito nel proprio stato membro in regime di franchigia ovvero che abbia sua volta assoggettato la cessione al regime del margine.
Lo scopo del regime del margine è di evitare la doppia imposizione e le distorsioni di concorrenza tra soggetti passivi nei detti settori ("considerando" 51 della direttiva Iva). Implicherebbe difatti doppia imposizione assoggettare ad imposta, per l'intero prezzo, la cessione di detti beni od oggetti da parte di un soggetto passivo rivenditore, allorché il prezzo al quale quest'ultimo ha acquistato il bene stesso incorpora un importo di Iva assolto a monte da soggetto appartenente ad una delle categorie innanzi indicate e che né esso né il soggetto passivo-rivenditore sono stati in grado di detrarre.
Condizione per l'applicazione del regime del margine alla cessione del bene è, quindi, che il bene sia stato acquistato da un soggetto il quale, come appunto quelli sopra menzionati, non ha potuto detrarre l'imposta pagata a monte all'atto dell'acquisto del bene e, pertanto, ha sopportato integralmente l'imposta stessa. L'esistenza del diritto alla detrazione esclude difatti il rischio della doppia imposizione e, quindi, la conseguente possibilità di sottrarre l'operazione al regime normale dell'Iva. Il regime d'imposizione del (solo) margine di utile realizzato in occasione della cessione costituisce quindi un regime speciale facoltativo, derogatorio del sistema generale di cui alla Direttiva 2006/112 e rispetto a questo meno oneroso (contemplando una base imponibile ridotta). Ne consegue che la disciplina concernente il relativo ambito applicativo deve essere interpretata restrittivamente, nei soli limiti di quanto necessario al raggiungimento dell'obiettivo dell'istituto (Corte di giustizia 8 dicembre 2005, causa C-280/04, Jyske Finans; 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi; 19 luglio 2012, causa C160/11, Bawaria Motors; 18 maggio 2017, C-624/15, Litdana).
 
Il Supremo collegio fa poi riferimento all'interpretazione giurisprudenziale venutasi a creare recentemente, secondo la quale, in tema di Iva, il regime del margine costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell'imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l'amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest'ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale, ma anche di aver usato la massima diligenza ragionevolmente esigibile da un operatore accorto, in proporzione al caso concreto, al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto (Cass. Sez. Un. 21105 del 2017; Cass. n. 32402 del 2018).
 
I giudici specificano che “con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l'individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l'IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l'amministrazione dimostri che, in realtà, l'imposta è stata detratta.
Nell'ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell'avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA, assolta a monte per l'acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole (Cass. n. 21105 del 2017 cit.)”.
 
Nella sentenza impugnata si legge che la contribuente è divenuta cessionaria da cedente nazionale senza verificare se il dante causa di questo, venditore estero della Unione europea, avesse a sua volta trattato la cessione come intra-comunitaria o meno ai fini Iva essendo i libretti di circolazione inidonei ad escludere da soli i presupposti per il trattamento fiscale favorevole. La Ctr ha, dunque, ritenuto non assolto l'onere di diligenza sulla base del semplice acritico affidamento fatto dal ricorrente in ordine alla veridicità delle dichiarazione rese dalla società cedente, oltre alla circostanza, del tutto pacifica che le autovetture cedute al contribuente fossero in origine intestate proprio a società commerciali.
La Corte di cassazione affermando che non vi è ragione per non applicare l'insegnamento delle Sezioni unite, ha rigettato il ricorso principale.
 
Le statuizioni sul ricorso incidentale
La sentenza in esame desta interesse anche per quanto attiene le statuizioni rese sul ricorso incidentale.
L'Agenzia delle entrate ha, infatti, lamentato la violazione, ai sensi dell'articolo 360 cpc, comma 1, n. 3, dell’articolo 8 del Dlgs 546/1992, per avere la Ctr disapplicato le sanzioni, non per obiettive condizioni di incertezza, ma solo sulla base della presenza di orientamenti difformi presso la giurisprudenza di merito nonché il vizio di ultrapetizione per avere la Ctr escluso l'applicabilità delle sanzioni in forza dell’articolo 8 del Dlgs 546/1992, nonostante la ditta contribuente ne avesse chiesto la disapplicazione sulla base di altre norme e segnatamente dell’articolo 6 del Dgs  471/1997, e dell’articolo 10 della legge 212/2000.
Secondo gli Ermellini la Ctr muove dalla premessa che la circostanza delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l'ambito di applicazione delle disposizioni relative al regime del margine, siccome "deducibili da gravi contrasti giurisprudenziali in subiecta materia" sia suscettibile di "essere rilevata d'ufficio dal Giudice anche se non dedotta in giudizio... riguardando il citato D. Lgs., art. 8, proprio quelle obiettive condizioni".
 
Nel caso di specie, i giudici d'appello si sono posti in contrasto con l’orientamento già espresso dalla Corte in base al quale "in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l'inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l'equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l'onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito decida d'ufficio l'applicabilità dell'esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d'ufficio sul punto" (Cassazione n. 440/2015 e n. 4031/2012).
 
La Corte rammenta, ancora, il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua del D. Lgs. 546 del 1992, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all'Ufficio finanziario, "ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere - dovere di accertare la ragionevolezza -di una determinata interpretazione" (da ultimo, Cassazione n. 23845/2016).
 
Sotto un profilo oggettivo, inoltre, l'incertezza presuppone "una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per  via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare" (Cassazione n. 4522/2013).
 
In base all’ordinanza in esame “sotto il profilo oggettivo non è decisiva l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di merito come pure la presenza di atti esplicativi emanati dall'Amministrazione finanziaria in materia, situazioni molto frequenti, mentre sotto il profilo soggettivo manca, nel caso in esame, ogni riferimento al giudice quale destinatario della norma tributaria asseritamente incerta; infine, la sentenza gravata, ha contraddittoriamente ritenuto esistente la causa di non punibilità per le sanzioni irrogate negli avvisi, dopo aver affermato che, in applicazione dell'ordinario onere di diligenza, sostanzialmente attraverso l'esame delle carte di circolazione dei veicoli acquistati, la ditta ricorrente in via principale avrebbe dovuto constatare l'insussistenza dei presupposti soggettivi per l'applicazione del regime del margine”.
 
Osservazioni
La decisione in esame si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato dall’intervento delle sezioni unite con la sentenza n. 21105/2017 ove è stato specificato che “il contribuente-cessionario deve dimostrare la propria buona fede, intesa come comprensiva sia dell'assenza di consapevolezza che il suo acquisto si iscriveva nel contesto di un'evasione dell'IVA, sia dell'uso della necessaria diligenza, ossia di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili da parte di un operatore accorto, al fine di assicurarsi che una tale evenienza dovesse escludersi”.
 
Rientra nell'ambito delle precauzioni che si possono senz'altro richiedere ad un cessionario di veicoli d'occasione l'esame della "storia" del veicolo, quanto meno con riferimento all'individuazione dei precedenti intestatari del mezzo, risultanti dalla carta di circolazione, documento in possesso dell'acquirente in quanto indispensabile ai fini del perfezionamento dell'operazione.
Deve, parimenti, ritenersi altrettanto agevole, senza che ciò comporti, di regola, la pretesa di oneri investigativi inesigibili, accertare la qualità di tali intestatari, e anteriori cedenti, cioè verificare, eventualmente mediante l'acquisizione di ulteriori dati di rapido reperimento, se essi siano, o meno, soggetti legittimati ad esercitare, nel caso di specie, il diritto di detrazione dell'Iva: e mentre nell'ipotesi negativa è evidente che il bene è pervenuto al consumo finale, con conseguente applicabilità del regime del margine, nel caso opposto è ragionevole presumere il contrario, quando risulti che il soggetto compie professionalmente operazioni nell'ambito del mercato dei veicoli, svolgendo l'attività di rivendita, di noleggio o di leasing, e il quale, pertanto, in base al criterio di regolarità causale, detrae l'imposta pagata per l'acquisto del bene destinato all'esercizio dell'attività propria dell'impresa.
 
Anche per quanto attiene il profilo delle sanzioni la pronuncia ha ribadito concetti già espressi con particolare riferimento alla circostanza per cui l'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere - dovere di accertare la ragionevolezza - di una determinata interpretazione.

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