Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Illegittima la compensazione
senza dichiarazione integrativa

Non basta un’istanza-memoria per correggere l’errore e recuperare, nell’anno successivo, la detrazione dimenticata. L’unico rimedio, a quel punto, è richiedere il rimborso

testo alternativo per immagine
L’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi integrativa (articolo 2, comma 8, del Dpr 322/1998), impedisce, da un lato, la possibilità di portare in detrazione un credito Iva relativo all’anno di imposta precedente, dall’altro legittima il recupero della maggiore imposta da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione nella sentenza 7223 del 10 aprile 2015, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.
 
Il giudizio di merito
La vicenda trae origine dal ricorso proposto da una società avverso una cartella di pagamento con la quale l’Amministrazione finanziaria, nel 2007, recuperava a tassazione la maggiore Iva dovuta a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione – effettuato ai sensi degli articoli 36-bis del Dpr 600/1973 e 54-bis del Dpr 633/1972 – avendo la società esposto, nella dichiarazione Iva anno 2002, dati erronei quanto ai crediti di imposta e all’utilizzo degli stessi in compensazione.
 
Il ricorso veniva accolto in primo grado, mentre il successivo appello dell’Agenzia delle Entrate veniva rigettato dai giudici del gravame, atteso che, nel caso di specie, il contribuente era incorso in meri errori formali, emendabili anche senza la presentazione di una dichiarazione integrativa.
 
Nel successivo ricorso in Cassazione, l’ufficio ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2, commi 8 e 8-bis, del Dpr 322/1988, nonché dell’articolo 36-bis del Dpr 600/1973 e degli articoli 19 e 54-bis del Dpr 633/1972.
In particolare, secondo l’Amministrazione finanziaria, la sentenza di appello avrebbe erroneamente ritenuto che – in assenza di una dichiarazione integrativa, presentata con le modalità previste dall’articolo 2, commi 8 e 8-bis, del Dpr 322/1988 – fosse possibile alla contribuente modificare le risultanze delle dichiarazioni annuali Iva mediante presentazione, nel maggio del 2005, di una istanza-memoria e, di conseguenza, portare in detrazione il credito Iva nella dichiarazione 2003, relativa all’anno di imposta 2002.
 
In altri termini, sulla base del disposto dell’articolo 19, comma 1, del Dpr 633/1972, il credito Iva non inserito nella dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione insorge non poteva essere portato in detrazione dalla contribuente, ma solo chiesto a rimborso, previa presentazione di apposita istanza.
 
La decisione della Corte suprema
Per i giudici di legittimità, le doglianze sono fondate, sia in ossequio ai princìpi espressi dalla Corte di giustizia europea in tema di neutralità dell’Iva – secondo cui la detrazione dell’imposta assolta a monte deve essere riconosciuta se gli obblighi sostanziali sono stati soddisfatti, a nulla rilevando eventuali omissioni di taluni obblighi formali – sia con riferimento alla normativa nazionale, contenuta nel citato articolo 2, comma 8, del Dpr 322/1998.
Nello specifico, il richiamato comma 8, nel disciplinare la dichiarazione integrativa “a sfavore”, stabilisce che la rettifica, con la quale il contribuente modifica la base imponibile se quella dichiarata è inferiore a quella effettiva, è possibile solo entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria (articolo 43 del Dpr 600/1973).
Invece, il successivo comma 8-bis dispone che, se il contribuente intende rettificare in diminuzione l’importo imponibile già dichiarato, la rettifica della dichiarazione è ammissibile solo entro il termine per la presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo (dichiarazione integrativa “a favore”).
 
Sulla base del richiamato quadro normativo, la Cassazione ritiene che, nella fattispecie in esame, diversamente da quanto affermato dalla contribuente, gli errori dalla stessa commessi nella dichiarazione annuale Iva non hanno assunto una rilevanza meramente formale, atteso che ne era derivato un debito d’imposta inferiore a quello dovuto.
Ne discende, secondo la Corte suprema, che le errate indicazioni riportate nella dichiarazione – da cui era scaturita una base imponibile inferiore a quella effettiva – avrebbero dovuto essere modificate soltanto attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa “a sfavore”, non essendo sufficiente la presentazione di una mera istanza-memoria (come, di fatto, avvenuto).
 
In altri termini, la Cassazione ritiene che “…le violazioni poste in essere dalla contribuente, lungi dai potersi considerare meramente formali, hanno dato luogo ad una indicazione della base imponibile e del volume di affari inferiore a quella effettiva, venendo, in tal modo, ad incidere sull’accertamento e sull’esatta riscossione dell’imposta, attesa altresì l’evidente ricaduta che l’erronea determinazione del credito IVA per una annualità ha sugli anni di imposta successivi”.
 
Considerazioni
In ordine alla problematica connessa alla presentazione di una dichiarazione integrativa (sia per le imposte dirette che per l’Iva), la Cassazione ha già avuto modo di affermare che il contribuente – in base all’articolo 2, commi 8 e 8-bis, del Dpr 322/1998 – è titolare della facoltà di emendare i propri errori e omissioni commessi in danno dell’Erario mediante apposita dichiarazione (da presentare entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria), mentre, nella diversa ipotesi in cui l’errore o l’incompletezza della dichiarazione originaria abbia determinato un danno patrimoniale al contribuente, questi dovrà presentare l’integrativa non oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, portando in compensazione il credito (Cassazione, sentenze 11153/2014 e 13104/2012).
 
Le due disposizioni si riferiscono, quindi, a fattispecie ben distinte, che hanno presupposti diversi e che presentano diversi limiti temporali non cumulabili.
La disposizione dell’articolo 2, comma 8-bis, in particolare, che prevede un limite temporale diverso e più breve rispetto a quello stabilito dal precedente comma 8, non è in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, poiché spetta al legislatore trovare un ragionevole contemperamento tra esigenza del contribuente e quella di buon andamento, razionalità e speditezza dell’azione amministrativa e il termine fissato dal comma 8-bis non rende eccessivamente gravoso il diritto del contribuente (Cassazione, sentenza 5373/2012).
 
Nella sentenza 11153/2014, la Cassazione, in linea con la pronuncia in commento, ha rigettato la domanda avanzata dalla società ricorrente, chiarendo che quest’ultima avrebbe dovuto presentare una istanza di rimborso, senza procedere tramite compensazione, in un caso in cui era stato corretto il modello Unico in cui era esposto un maggiore credito Irpeg direttamente utilizzato per non pagare tale imposta in altra annualità, tramite compensazione verticale.
In questa ipotesi, pertanto, il contribuente potrà rimediare all’errore solo mediante istanza di rimborso, da presentarsi ai sensi dell’articolo 38 del Dpr 602/1973, senza possibilità di procedere a compensazione.
 
Da ultimo, si rappresenta che costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di una precedente dichiarazione, in quanto se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore (Cassazione, sentenze 6381/2014 5398/2012).
URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/illegittima-compensazione-senza-dichiarazione-integrativa