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Giurisprudenza

Giudice tributario, arbitro fra le parti

Non è ipotizzabile una “reviviscenza” del soppresso potere di ordinare il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione

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Il giudice tributario non può ordinare alle parti di produrre documenti necessari per decidere sulla controversia.
L’importante principio è contenuto nella recente sentenza n. 109 del 29/3/2007 della Corte costituzionale, con la quale i giudici delle leggi, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 1, Dlgs 546/1992, hanno affermato che i poteri riconosciuti alle Commissioni tributarie non possono essere intesi come strumenti di controllo e/o di accertamento propri della fase procedimentale, atteso che al giudizio tributario deve attribuirsi un carattere dispositivo e non inquisitorio.

Il citato articolo 7, comma 1, attribuisce alle Commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, l’esercizio di ogni facoltà di accesso o di informazioni conferite agli uffici tributari dalle leggi d’imposta. Il successivo terzo comma del medesimo articolo 7 prevedeva la facoltà per le stesse Commissioni tributarie di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari ai fini della controversia. Quest’ultima disposizione è stata abrogata, intendendo il legislatore, in tal modo, escludere per il giudice qualsiasi ruolo di supplenza della parte inerte, sia essa l’Amministrazione o il contribuente.

Nella fattispecie in esame, i giudici, decidendo su un’ordinanza della Ctp di Novara che aveva sollevato questione di legittimità costituzionale del primo comma dell’articolo 7, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, hanno affermato che, con l’abrogazione dell’articolo 7, comma 3, Dlgs 546/1992, il legislatore ha voluto ribadire la natura meramente dispositiva (e non inquisitoria o acquisitiva) del processo tributario.
In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che, a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove, atteso che i poteri a lui attribuiti dall’articolo 7 sono meramente integrativi dell’onere probatorio principale, utilizzabili solo quando sia impossibile fornire le prove da parte di colui che vi era tenuto.

Pertanto, anche riconoscendo che a taluno è apparsa inopportuna l’abrogazione della norma in esame, la Consulta ha evidenziato come tale valutazione di inopportunità non può giustificare un dubbio di legittimità costituzionale.
I giudici, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale diretto a riconoscere l’applicabilità nel processo tributario dell’articolo 2697 cc (recante la disciplina sull’onere della prova; cfr Cassazione, sentenza n. 339/2006) e considerato che con il mutato quadro normativo a seguito dell’abrogazione del terzo comma del citato articolo 7 i poteri delle Commissioni tributarie non possono essere intesi come strumenti attraverso cui il giudice svolge attività di controllo e/o di accertamento, hanno ritenuto che non è ipotizzabile una “reviviscenza” - mediante una applicazione estensiva del disposto dell’articolo 7, comma 1, Dlgs 546/1992 - del soppresso potere di ordinare il deposito di documenti ritenuto necessari per la decisione.

Ove necessario, il giudice ha sempre il potere, nei confronti di pubbliche amministrazioni diverse da quella che è parte del giudizio pendente dinanzi allo stesso, di chiedere informazioni o documenti ex articolo 213 cpc, ovvero di attivarsi per chiarire i risultati prodotti dai mezzi di prova di cui si sono avvalse le parti.

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