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Giurisprudenza

Il giudice non blocca il potere di accertamento

Legittimo l'esercizio ex novo dello stesso anche in caso di sentenza definitiva di annullamento del precedente atto

cassazione

È legittimo l'esercizio del potere di autotutela anche nei confronti di atti annullati in sede giurisdizionale, attraverso la modificazione di presupposti di fatto e la rimozione o integrazione delle parti oggetto della statuizione di illegittimità. Inoltre, qualora non si tratti di integrazione di un precedente avviso, bensì di un esercizio ex novo del potere di accertamento, in quanto il nuovo atto ha per oggetto redditi distinti e diversi da quelli precedentemente verificati, l'ente impositore non versa nell'ipotesi di mera facoltà discrezionale bensì di ordinario e doveroso adempimento della potestà tributaria, anche laddove sia occorsa sentenza di annullamento del primo atto di accertamento con efficacia di giudicato.
Tali importanti principi sono desumibili dalla sentenza n. 13477, depositata il 20 giugno 2007, della Corte di cassazione.

La vicenda nasce dall'impugnazione di un avviso di accertamento ai fini Irpef e Ilor, integrativo di quello precedentemente notificato con l'ulteriore contestazione di redditi di capitale non dichiarati.
Il ricorrente deduceva che l'atto in questione costituiva un'inammissibile integrazione del precedente atto, già da lui impugnato perchè mancante dell'indicazione delle aliquote applicate. Il primo accertamento era stato nel frattempo annullato con sentenza della Commissione tributaria provinciale, confermata in appello e non impugnata dall'ufficio.

L'adita Ctr rigettava l'appello dell'ufficio, sostenendo che doveva ritenersi non consentita l'integrazione, a opera dell'accertamento impugnato, di un precedente avviso d'accertamento affetto da nullità e annullato con sentenza passata in giudicato.
L'accoglimento di tale censura assorbiva ogni altra questione dedotta dalle parti.

Avverso tale sentenza, il ministero dell'Economia e delle Finanze e l'agenzia delle Entrate proponevano ricorso per cassazione, sostenendo, tra l'altro, che l'avviso di accertamento integrativo era un atto autonomo e distinto, avente una propria materia e in possesso di tutti i requisiti di cui all'articolo 42 del Dpr n. 600 del 1973.

La decisione
I giudici di legittimità, nell'accogliere le censure dell' Amministrazione finanziaria, hanno evidenziato come la sentenza impugnata si basasse su un errore di prospettiva, là dove compiva "un'indebita contaminatio tra i principi che regolano la correzione di vizi degli atti, nell'ambito del doveroso esercizio del potere impositivo, e il divieto, posto dall'art. 43, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 di modificazione o integrazione dell'accertamento sulla base degli stessi elementi in possesso dell'ufficio".

Nel caso di specie, l'atto impugnato non costituiva una mera integrazione di quello precedentemente annullato in via giurisdizionale, ma, prosegue la Corte "esercizio dell'ordinario - e doveroso - potere di accertamento, in relazione a redditi diversi da quelli precedentemente accertati, in ottemperanza ad una pronuncia giurisdizionale di annullamento".
L'atto impugnato nel presente processo - nella parte in cui venivano indicate le aliquote applicate - poteva ricondursi, infatti, al "generale potere di autotutela dell' Amministrazione", pur considerando che, nella specie, l'ufficio non era di fronte alla scelta discrezionale insita in tale potere, stante il dovere di ottemperanza al giudicato di annullamento.

Infine, i giudici hanno sottolineato che, trattandosi di originario esercizio del potere di accertamento, si doveva considerare del tutto improprio il riferimento all'ipotesi di accertamento integrativo, regolato dall'articolo 43, comma 3, del Dpr n. 600/1973. Quest'ultimo, infatti, concerne soltanto i casi in cui i due atti si integrano tra loro, giungendosi all'aumento del reddito imponibile, e la sua emanazione può avvenire soltanto sulla base di nuovi elementi, e non su una diversa e più approfondita valutazione di quelli che già erano in possesso dell'ufficio.

Conclusioni
La Cassazione, a sostegno dell'interpretazione accolta, ha richiamato un orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato (decisone n. 1233 del 1° ottobre 1999), in base al quale è legittimo l'esercizio del potere di autotutela anche nei confronti di atti annullati in sede giurisdizionale, attraverso la modificazione di presupposti di fatto e la rimozione e integrazione delle parti oggetto della statuizione di illegittimità.
Il collegio ha chiarito che, nel caso di specie, l'ufficio non si era limitato a integrare le parti dell'accertamento che davano luogo a invalidità, avendo esercitato, con le forme e nei modi stabiliti, il proprio potere di accertamento. Tale potere non si era consumato attraverso l'emanazione degli atti annullati, in ottemperanza alla pronuncia di annullamento. Si era trattato, in realtà, di un atto doveroso, costituente esercizio del potere impositivo che, nell'ordinamento fiscale, non può avere carattere discrezionale.

Con il suo intervento, la Corte, da un lato ha ribadito che il potere di accertamento integrativo, ex articolo 43, comma 3, del Dpr n. 600 del 1973, può avvenire soltanto sulla base di nuovi elementi e sussiste quando i due atti si integrano tra di loro, giungendo all'aumento del reddito. Dall'altro, ha riconosciuto l'esercizio ex novo del potere di accertamento in capo all'ufficio anche in caso di sentenza di annullamento del primo avviso di accertamento.

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