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Giurisprudenza

La doppia imposizione nell’Ue
dev’essere provata dal contribuente

Così i giudici de L’Aquila, che hanno ribadito il divieto di cumulo fra il regime comunitario (direttiva “madre-figlia”) e il regime convenzionale (convenzione tra Italia e Svizzera)

La Ctr dell’Abruzzo, con la sentenza n. 1176 del 12 dicembre 2018, ha stabilito che, ai fini della realizzazione della doppia imposizione, come quella lamentata nel caso di specie, è necessario che si realizzi una duplice incisione sul medesimo patrimonio, in Italia e nello Stato estero, che va provata, non potendo assumere rilievo un assoggettamento meramente astratto o potenziale o futuro, ma non effettivo.
 
I fatti in causa e il processo in Ctp
Veniva a processo, avanti alla Ctp di Pescara, il preteso riconoscimento di un diritto a rimborso, richiesto da una compagine, che riteneva di aver subito una doppia imposizione, in Italia e in Svizzera, contraria sia allo specifico regime comunitario sia a quello convenzionale.
L’ufficio opponeva che, dalla documentazione prodotta dalla società, non vi fosse prova di assoggettamento a imposizione in Svizzera.
I primi giudici confermavano la prospettazione dell’amministrazione finanziaria, negando il rimborso.
 
La direttiva “madre-figlia”
A seguito del gravame presentato dalla società, la vertenza finiva avanti alla Ctr dell’Abruzzo.
Il collegio regionale premette che sia la direttiva “madre-figlia” (Cee 23/7/90, n. 435) sia la convenzione Italia-Svizzera hanno lo scopo di evitare le doppie imposizioni.
La direttiva “madre-figlia”, in particolare, è intervenuta a regolare ex novo l’imposizione dei dividendi tra gli Stati membri dell’Ue, sovrapponendosi a molte delle regole contenute nella convenzione Italia-Francia.
Quest’ultima, in particolare, stabilisce il principio della tassazione dei dividendi nel Paese di destino, mitigato dal principio della concorrenza (ciascuna metà dei dividendi viene sottoposta a imposizione nei rispettivi Paesi contraenti); al contrario, la direttiva stabilisce l’esclusione della tassazione dei dividendi nel Paese di destino.
 
La relazione del 5 marzo 1992
A dirimere il contrasto richiamato soccorre la relazione 5 marzo 1992 allo schema di decreto legislativo sul regime fiscale applicabile alle società madri e figlie membri della Cee per il recepimento della menzionata direttiva.
La relazione osserva che “la Direttiva è intesa a rimuovere il fenomeno della doppia imposizione, sia economica che giuridica, dello stesso reddito, cui dà luogo la autonoma regolamentazione fiscale ad opera degli Stati comunitari, e che si traduce nella imposizione in capo alla società partecipata (o figlia) dell’utile derivante dallo svolgimento dell’attività imprenditoriale e, in capo alla società partecipante (o madre), nell’applicazione sia della ritenuta alla fonte sui dividendi nello Stato di residenza della società figlia, sia nella imposizione del dividendo nello Stato di residenza della percipiente, salvo l’adozione, convenzionale o diretta, dì taluni correttivi”.
Il regime in atto al momento del recepimento della direttiva prevedeva, nel caso di distribuzione di dividendi a società non residenti, l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
Orbene, l’articolo 27-bis del Dpr 600 modifica detto regime, adeguandolo alla direttiva n. 90/435/Cee.
 
In buona sostanza, come si legge nella relazione, con il comma 1 “viene, in via ordinaria, mantenuto l’obbligo per il sostituto d’imposta di applicare la ritenuta, nella misura ordinaria o convenzionale, quando gli utili sono distribuiti, ed è attribuito il diritto alle società madri estere ad ottenere l’integrale rimborso dallo Stato italiano della ritenuta stessa, secondo le procedure di legge, su istanza del sostituto in possesso dei requisiti, soggettivi ed oggettivi, di legge”.
In alternativa, al successivo comma 3, è stata concessa “la facoltà alla società madre estera di chiedere alla società figlia italiana di effettuare, sotto la propria responsabilità, il pagamento degli utili senza la preventiva applicazione della ritenuta, subordinatamente alla produzione di apposite certificazioni”.
Si legge, infine, nella relazione, che “restano impregiudicate le diverse e specifiche disposizioni contenute in alcune convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni (esempio Francia, Regno Unito) e in particolare il regime delle ritenute alla fonte applicabile in forza delle stesse convenzioni. Ciò in quanto dette convenzioni realizzano già l’eliminazione della doppia imposizione e, pertanto, rappresentano un regime alternativo a quello previsto dalla Direttiva”.
 
La convenzione Italia-Svizzera
La convenzione Italia-Svizzera, invece, sempre al fine di evitare le doppie imposizioni, per quanto concerne la tassazione dei dividendi, all’articolo 10, comma 2, prevede che:
  • i dividendi pagati da una società residente di uno Stato ad un residente dell'altro Stato sono imponibili in detto altro Stato
  • tuttavia tali dividendi sono imponibili anche nello Stato di cui la società che paga i dividendi è residente in conformità della legislazione dì detto Stato, ma se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere: il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se l’effettivo beneficiario è una società assoggettabile all’imposta sulle società che ha detenuto direttamente o indirettamente nel corso di un periodo di almeno 12 mesi precedenti la data di delibera di distribuzione dei dividendi, almeno il 10 per cento del capitale della società che paga i dividendi; il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi, in tutti gli altri casi”.
Il sistema previsto dalla Convenzione, pertanto, è quello della tassazione dei dividendi sia nello Stato-fonte che in quello di destino; la duplicazione di imposizione viene, però, corretta mediante il meccanismo del pagamento, da parte del Tesoro italiano, di una somma parametrata al credito d’imposta (intero o metà) previsto dal successivo articolo 4, alle lettere a) e b).
In virtù di tali previsioni, infatti:
a) un residente in Svizzera che riceve dividendi distribuiti da una società residente dell’Italia, i quali darebbero diritto ad un credito d’imposta se fossero ricevuti da un residente dell’Italia, ha diritto ad un pagamento da parte del Tesoro italiano pari a detto credito d’imposta, diminuito della ritenuta alla fonte con l’aliquota prevista al paragrafo 2, lett.b), quando si tratta: di una persona fisica che include l’ammontare lordo dei dividendi nel suo reddito lordo determinati affini dell’applicazione francese sul reddito; di una società, diversa da quelle indicate al paragrafo 2-a) che include l’ammontare lordo dei dividendi nella base imponibile dell’imposta francese sulle società;
b) una società residente dell’Inghilterra, indicata al paragrafo 2-a o soggetta alla legislazione francese applicabile alle società madri che riceve da una società residente dell’Italia dividendi che darebbero diritto a un credito d’imposta se fossero ricevuti da un residente dell’Italia, ha diritto ad un pagamento da parte del Tesoro italiano di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta diminuito della ritenuta alla fonte prevista al paragrafo 2”.
 
Il sistema comunitario e nazionale
In definitiva, i legislatori, comunitario e nazionale, hanno inteso, con due diversi sistemi, evitare la doppia imposizione dei dividendi:
  • l’uno, prevedendo l’esclusione della tassazione nello Stato di destino (articolo 4 direttiva “madre-figlia”) nonché l’esenzione da ritenuta alla fonte nello Stato-fonte (articolo 5)
  • l’altro, prevedendo la tassazione nello Stato di destino e nello Stato-fonte, con una ritenuta alla fonte del 5% o del 15% (articolo 10), ma riconoscendo alla società-madre residente nello Stato di destino il diritto a metà del credito d’imposta spettante a un residente in Italia se avesse ricevuto i medesimi dividendi.
La Convenzione prevede, naturalmente, che la concessione del credito d’imposta sia subordinata alla condizione che il percettore sia soggetto per tali redditi all’imposta in Francia, circostanza, quest’ultima, che deve essere certificata dalle Autorità fiscali francesi, unitamente all’esistenza dei requisiti previsti per fruire dei benefici convenzionali.
 
Le conclusioni del Collegio regionale
Osserva il Collegio abruzzese che non è possibile applicare contemporaneamente sia la Convenzione contro le doppie imposizioni sia la direttiva madre-figlia.
Come detto, entrambe hanno lo scopo di evitare che un reddito transfrontaliero riceva una doppia imposizione, prima nello Stato della fonte e poi in quello di destino.
Allorché venga richiesta l’applicazione della Convenzione nello Stato della fonte del reddito – inferisce la Ctr – non si può, di contro, applicare la direttiva madre-figlia nello Stato di destino del reddito, in quanto si otterrebbe, in tal modo, una “doppia non imposizione” (cfr anche Ctr Abruzzo, 85/01/05 e 845/06/14).
In conclusione, la contribuente non poteva, dapprima, detassare nel Paese di destino il reddito derivante dagli utili distribuiti dalle controllate residenti in Italia (conformemente a quanto previsto dalla direttiva menzionata) e, poi, richiedere il credito d’imposta (nella misura della metà di quello, come detto, che sarebbe spettato a un residente in Italia) previsto dall’articolo 10, comma 4, lettera b).
 
Inoltre, aspetto di rilievo è che la spettanza del credito d’imposta non può prescindere dall’effettiva tassazione dei dividendi nello Stato di destino – cosa non avvenuta nel caso di specie – perché una tale lettura della norma sarebbe in contrasto con la ratio dell’intera Convenzione (cfr pure Corte Ue, causa 540-2007, e circolare 32/2011, recettiva dei contenuti della pronuncia sovranazionale citata).
 
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