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Giurisprudenza

Il contradditorio preventivo
non pecca di costituzionalità

Si tratta di una procedura che garantisce al contribuente la possibilità di spiegare all’amministrazione finanziaria perché la sua condotta è da considerarsi corretta e non elusiva

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In tutte le ipotesi di abuso del diritto, anche diverse da quelle contemplate dall’articolo 37-bis del Dpr 600/1973, il contraddittorio preventivo tra Amministrazione finanziaria e contribuente e il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento costituiscono presidi posti a garanzia del diritto di difesa del contribuente, derogabili solo in caso di specifiche ragioni di urgenza, da motivare adeguatamente.
In considerazione della peculiarità di tale accertamento, il contraddittorio endoprocedimentale – e con esso l’importanza degli elementi forniti dal contribuente – costituisce uno strumento essenziale per consentire all’Amministrazione finanziaria di valutare adeguatamente l’esistenza delle valide ragioni economiche sottese alle operazioni esaminate.
Questi gli importanti principi sanciti dalla Corte costituzionale, con la sentenza 132 del 7 luglio 2015, emanata nell’ambito del procedimento sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 37-bis, comma 4, del Dpr 600/1973, prospettata dalla Corte di cassazione con ordinanza del 5 novembre 2013.
 
Le questioni di legittimità costituzionale
La questione è sorta nel corso di un giudizio promosso dalla Cassa di risparmio di Rieti Spa per l’annullamento di un avviso di accertamento in materia di Irpef e Ilor relative all’anno 1997, avente a oggetto la ripresa a tassazione della somma dedotta dalla società quale perdita generata dalla cessione di crediti, ritenuta elusiva ai sensi dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973.
 
La Commissione tributaria regionale, in riforma della sentenza di primo grado, aveva annullato l’atto de qua perché notificato prima della scadenza del termine di sessanta giorni previsto al comma 4 del citato articolo 37-bis.
La Cassazione, investita dell’impugnazione della sentenza di appello, ha rimesso la questione dinanzi alla Corte costituzionale in merito alla nullità dell’atto conseguente al mancato rispetto del termine dilatorio previsto dalla norma.
In particolare, la Corte suprema ha ritenuto che il disposto del comma 4 contrasterebbe con l’articolo 3 della Costituzione per disparità di trattamento, nella parte in cui soltanto l’articolo 37-bis, che ha natura speciale rispetto alla disciplina generale del divieto dell’abuso del diritto, prevede forme di contraddittorio preventivo con il contribuente da osservare a pena di nullità.
Inoltre, la norma violerebbe altresì l’articolo 53 della Costituzione, che impone a tutti l’adempimento delle obbligazioni tributarie, perché farebbe dipendere la nullità di un atto impositivo da un mero vizio di forma del contraddittorio.
 
Esaminate le questioni, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 37-bis, comma 4, del Dpr 600/1973, sollevata dalla Cassazione in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
 
I principi contenuti nella sentenza
Le questioni di legittimità costituzionale rimesse al giudizio della Consulta attengono specificamente il disposto del comma 4 dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973, secondo cui “l’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta”.
In primo luogo, la norma violerebbe, per la Cassazione, l’articolo 3 della Costituzione perché in contrasto con il principio generale antielusivo previsto in materia tributaria, che non prevede la nullità degli avvisi di accertamento affetti da vizi formali del contraddittorio preventivo con il contribuente.
Si rammenta che il divieto di abuso del diritto è un principio generale antielusivo, che trae fondamento dai principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione e che comporta, come diretta conseguenza, che “il negozio non sia opponibile all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva”.
 
A parere della Corte costituzionale, la questione è infondata perché la stessa giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che, allorquando l’Amministrazione finanziaria intenda contestare fattispecie elusive – anche diverse dal quelle contemplate al comma 3 dell’articolo 37-bis – “è tenuta, a pena di nullità dell’atto impositivo, a richiedere chiarimenti al contribuente e a osservare il termine dilatorio dei sessanta giorni, prima di emettere l’avviso di accertamento, il quale dovrà essere motivato anche con riguardo alle osservazioni, ai chiarimenti e alle giustificazioni eventualmente forniti dal contribuente”.
 
Il quadro così delineato comporta che il principio generale antielusivo non impedisce, con riferimento a fattispecie non riconducibili a quelle previste dall’articolo 37-bis del Dpr 600/1973, “che debba essere instaurato il previo contraddittorio fra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente”.
 
Nella sentenza in commento, la Consulta sancisce, inoltre, che l’omessa instaurazione del contraddittorio endoprodecimentale non costituisce un mero vizio di forma, come ritenuto invece dalla Corte di cassazione, e che la norma che prevede la nullità dell’avviso di accertamento emanato in violazione di tale principio non trasgredisce l’articolo 53 della Costituzione, che impone a tutti l’adempimento delle obbligazioni tributarie.
A parere della Consulta, infatti, la norma che prevede la nullità dell’atto assunto in violazione del termine in questione costituisce “uno strumento efficace ed adeguato di garanzia dell’effettività del contraddittorio”, soprattutto in ragione della peculiarità dell’accertamento previsto in caso di fattispecie elusive e “del ruolo decisivo che in esso possono svolgere gli elementi forniti dal contribuente, in particolare in vista della valutazione che l’amministrazione è chiamata a compiere dell’esistenza di valide ragioni economiche sottese alle operazioni esaminate”.
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