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Giurisprudenza

La cattiva condotta va punita
anche se il Fisco viene risarcito

Le sanzioni amministrative sono dovute a prescindere dalla circostanza che l’imposta, non dichiarata, vada poi effettivamente versata o compensata con perdite pregresse

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Le sanzioni per infedele dichiarazione devono essere applicate anche nel caso in cui il maggior reddito accertato può essere azzerato con l’utilizzo di perdite pregresse.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza 16333del 27 settembre.

I fatti
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, accogliendo l’appello di una società per azioni, ha dichiarato non dovute le sanzioni irrogate con due avvisi di accertamento per Irpeg relativa agli anni 2000 e 2001.
In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto che, nonostante la contribuente avesse presentato una dichiarazione infedele, il Fisco non poteva contestare tale condotta in quanto non vi era stata “alcuna variazione nella compilazione del quadro RN6, riguardante il ‘reddito imponibile’…”. La società, infatti, aveva documentato di avere a disposizione perdite pregresse compensabili con il reddito accertato e, di conseguenza, la sanzione prevista dall’articolo 1, comma 2, Dlgs 471/1997, non poteva essere irrogata in quanto tale disposizione avrebbe trovato applicazione soltanto se in dichiarazione fosse stato indicato “un reddito imponibile inferiore a quello accertato”.
 
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, contestando tale ratio decidendi e chiedendo alla Corte se il comportamento del contribuente che ometta di dichiarare una variazione in aumento sia sanzionabile (ex articolo 1, comma 2, Dlgs 471/1997) anche nell’ipotesi in cui, per l’esistenza di pregresse perdite, l’omessa dichiarazione non abbia comportato, in concreto, evasione d’imposta.
 
La Corte suprema, dichiarando il ricorso manifestamente fondato, ha precisato che “in virtù del principio secondo il quale, in tema di IRPEG, le sanzioni amministrative previste dall’art. 1 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per il caso di dichiarazione infedele, sono dovute a prescindere dalla circostanza che l’imposta, non dichiarata, vada poi effettivamente riscossa oppure, come nella specie, debba essere compensata con crediti rinvenienti dalla definitiva stabilizzazione di perdite fiscali anteriori…”.
 
Osservazioni
I giudici di legittimità sono intervenuti a chiarire le finalità della disciplina sanzionatoria contenuta nella norma di riferimento e hanno precisato le facoltà di cui dispongono Fisco e contribuente in presenza di perdite pregresse.
Nel caso sottoposto al suo vaglio, la Corte ha valutato i riflessi delle attività di controllo sul meccanismo di scomputo delle perdite societarie prodotte in periodi d’imposta precedenti rispetto a quelli oggetto di controllo. Di solito, le perdite sono destinate a erodere (anche) i maggiori redditi derivanti dall’attività di accertamento. È evidente che, se il reddito dichiarato fedelmente è nullo, il contribuente, pur disponendo di perdite pregresse, non compie alcuna scelta in quanto le stesse non potrebbero in alcun modo essere utilizzate in dichiarazione ma solo portate in avanti. Diversamente, in presenza di una dichiarazione infedele, le perdite pregresse possono comunque azzerare il reddito emerso a seguito di controllo ma la condotta va punita.
 
Con riferimento al profilo sanzionatorio, l’articolo 1, comma 2, Dlgs 471/1997, commina la sanzione amministrativa dal 100 al 200% della maggior imposta o della differenza del credito se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante (la stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d’imposta ovvero indebite deduzioni dall’imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte).
 
In particolare, la disciplina sanzionatoria ha la finalità generale di prevenire la presentazione, da parte dei contribuenti, di dichiarazioni infedeli, come già affermato dalla Corte con riferimento al previgente articolo 46 del Dpr 600/1973 (cfr Cassazione, sentenze 3542/2002 e 947/2000).
La sanzione, infatti, ha natura amministrativa ed è da riconnettersi al solo dato obiettivo della dichiarazione, da parte del contribuente, di un reddito inferiore; condotta che legittima e rende necessario l’accertamento cui fa seguito l’eventuale e successiva fase della riscossione della diversa imposta così accertata e della conseguente sanzione.
Il procedimento tributario, infatti, è volto alla corretta determinazione dell’imposta da versare all’Erario e si articola in fasi diverse (dichiarativa, di accertamento, di contenzioso e riscossione), in ciascuna delle quali viene riconosciuta a soggetti distinti la titolarità di attivarsi per quantificare l’effettivo debito d’imposta.
 
Se nella fase del controllo vengono riconosciuti, come nel caso concreto, titoli di compensazione del maggior reddito accertato (ad esempio, perdite fiscali precedenti), comunque non può escludersi l’applicabilità dell’articolo 1, comma 2, Dlgs 471/1997, a prescindere dal fatto che l’imposta non dichiarata vada, poi, effettivamente riscossa oppure possa essere compensata (Cassazione, sentenza 13014/2011).
 
La possibilità di computare le perdite pregresse ed eventualmente “azzerare” il maggior reddito accertato, infatti, attiene alla legittimità della pretesa fiscale in termini sostanziali, a prescindere dagli effetti sanzionatori. Effetti che non vengono cancellati né per l’esistenza della possibilità di compensare il maggior reddito, né per il riconoscimento automatico, da parte dell’ufficio, delle perdite pregresse.
… Come risulta dall’art. 102 (ora 84) del TUIR, al contribuente è riservata una facoltà di scelta - da esercitare mediante una chiara indicazione nella dichiarazione, pacificamente inesistente nella fattispecie - in ordine al periodo d’imposta (purché non oltre il quinto) nel quale utilizzare in compensazione le perdite disponibili (Cass. n. 7294 del 2012)…” e, nell’esercizio di tale facoltà, la Corte ha affermato che “l’Amministrazione non può sostituirsi al contribuente, nell’interesse stesso di quest’ultimo”.
E non solo. La facoltà di scegliere se utilizzare o meno le perdite pregresse, riconosciuta dalla norma tributaria ed esercitabile con la dichiarazione dei redditi, è estranea alla generale e automatica emendabilità degli errori commessi dal contribuente nella redazione della stessa dichiarazione, quali, ad esempio, errori tipicamente materiali di calcolo o di liquidazione degli importi, ovvero errori formali, concernenti l’esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta (Cassazione, pronuncia 7294/2012).
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