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Giurisprudenza

Per gli aiuti nelle aree depresse, Italia in regola

La Corte di Giustizia, con sentenza del 15 aprile, ha riconosciuto la validità della decisione della Commissione del 12 luglio 2000

In particolare i giudici europei, nella motivazione contenuta nel pronunciamento, hanno deciso di non sollevare obiezioni nei confronti di un regime di aiuti agli investimenti nelle aree depresse dell’Italia fino al 31 dicembre 2006 (aiuto di Stato n. 715/99). L’articolo 1, lettera c) del Regolamento del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659 prevede che per “nuovi aiuti” devono intendersi “tutti gli aiuti, ossia regimi di aiuti e aiuti individuali, che non siano aiuti esistenti, comprese le modifiche degli aiuti esistenti”. Il successivo articolo 2 dispone che qualsiasi progetto di concessione di nuovo aiuto debba essere tempestivamente comunicato dallo Stato che intende realizzarlo alla Commissione affinché quest’ultima possa adottare la relativa decisione in merito alla compatibilità di esso con il mercato comune. La comunicazione deve contenere tutte le informazioni necessarie per un’adeguata valutazione di compatibilità. Qualora la Commissione ritenga che le informazioni siano insufficienti, chiederà, allo Stato interessato, un’integrazione. Nel 1998 la Commissione ha pubblicato gli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale chiarendo, in particolare, che le domande di aiuto devono essere presentate prima dell’inizio dell’esecuzione dei progetti e che la compatibilità degli aiuti con il mercato viene valutata dalla Commissione a decorrere dalla loro adozione.

Le misure di aiuto introdotte in Italia
Con la legge n. 488 del 19 dicembre 1992, modificata dal decreto legislativo n. 96 del 3 aprile 1993,  l’Italia ha previsto alcune misure finanziarie per incentivare le imprese a investire nello sviluppo di alcune attività produttive nelle aree depresse del Paese. In applicazione della legge n. 488 del 1992 sono stati adottati due regimi di aiuti, protrattisi fino al 31 dicembre 1999 e su cui la Commissione, con due decisioni, ha ritenuto di non dover sollevare obiezioni. I bandi, emanati in attuazione delle disposizioni nazionali, hanno previsto la formazione di graduatorie regionali stilate in base a degli “indicatori” attribuiti dalla banche concessionarie incaricate dell’istruttoria. Sulla scorta di tali graduatorie sono state concesse le agevolazioni  fino all’esaurimento dei fondi disponibili. Le imprese che pur inserite nella graduatoria regionale non vedevano soddisfatte le proprie aspettative per l’insufficienza dei fondi stanziati, potevano ripresentare lo stesso progetto, per una sola volta, automaticamente nel primo bando utile successivo senza modificare gli elementi presi in considerazione per l’attribuzione degli indicatori. In alternativa, le imprese potevano rinunciare al predetto inserimento automatico e ripresentare lo stesso progetto nel bando successivo a quello in cui sarebbero state inserite automaticamente modificando gli elementi valutati per l’attribuzione degli indicatori con esclusione, ovviamente, di quelli sostanziali del progetto.

L’origine della controversia
Il 18 novembre 1999 l’Italia ha notificato alla Commissione un progetto di regime di aiuti, disciplinato dalla legge n. 488 del 1992, applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2000. A seguito di alcuni incontri con la Commissione, l’Italia ha modificato il progetto. Con decisione del luglio 2000, notificata all’Italia il mese successivo, la Commissione ha comunicato di non opporsi al regime di aiuti fino al 31 dicembre 2006. La decisione della Commissione ha stabilito, peraltro, che soltanto nel primo bando di applicazione del regime di aiuti fosse possibile, in via eccezionale, ammettere le domande dichiarate ammissibili nell’ultimo bando del precedente regime (1997-1999) ma non evase per mancata capienza. Le autorità italiane competenti, nel rispetto della decisione della Commissione, hanno adottato un decreto che prevedeva che gli aiuti potessero essere concessi soltanto per i progetti ritenuti ammissibili e istruiti positivamente nell’ultimo bando utile ma non agevolati a causa della insufficienza delle risorse finanziarie. La ricorrente aveva presentato nel 1998, in occasione dell’emanazione del terzo bando relativo al regime 1997-1998, una domanda di aiuto che, pur ritenuta ammissibile, non aveva ottenuto l’agevolazione per la mancanza dei fondi necessari. La società aveva rinunciato a partecipare automaticamente al quarto bando con l’intenzione di ripresentare l’istanza al successivo. L’Italia, tuttavia, non ha emanato altri bandi prima della scadenza del regime di aiuti 1997-1999 avvenuta il 31 dicembre 1999. La società italiana ha riproposto, al primo bando del nuovo regime di aiuti relativo al periodo 2000-2006, la propria istanza che è stata ritenuta irricevibile in quanto non presentata nell’ultimo bando del precedente regime (1997-1999).

L’impugnazione della decisione
La decisione di rigetto è stata impugnata dall’interessata davanti al Tribunale di primo grado delle Comunità europee che ha ritenuto irricevibile il ricorso in quanto tardivo. La società esclusa dalle agevolazioni ha, quindi, deciso di presentare, sempre al tribunale europeo, un ricorso, ancora pendente, per ottenere la condanna della Commissione al risarcimento del danno e ha, altresì, chiesto al Tribunale ordinario di Roma di condannare al risarcimento del danno il ministero delle Attività Produttive. Per quanto riguarda, in particolare, il procedimento pendente di fronte al tribunale ordinario di Roma (giudice del rinvio), la ricorrente ha motivato la richiesta di risarcimento affermando che, negli incontri preliminari al rinnovo del regime di aiuti tenutisi con la Commissione, il governo italiano non aveva tutelato i diritti acquisiti dalle imprese che, in base alle disposizioni che disciplinavano il regime 1997-1999, avevano rinunciato all’inserimento automatico nell’ultimo bando (quarto) ritenendo di poter ripresentare la domanda nel successivo. A parere della società esclusa dalle agevolazioni, infatti, l’Italia non avrebbe informato la Commissione dell’esistenza di imprese portatrici di un diritto acquisito (con la rinuncia all’inserimento automatico all’ultimo bando utile del regime 1997-1999)  all’inserimento della propria istanza nelle graduatorie del primo bando utile successivo.

Il giudice del rinvio
Il Tribunale di Roma ha ritenuto che la modifica delle condizioni introdotta dal regime di aiuti 2000-2006 rispetto a quello 1997-1999 contrasti con il legittimo affidamento della ricorrente legittimandola al ricorso. Tuttavia, per potersi pronunciare sulla richiesta di risarcimento dei danni, il magistrato italiano ritiene di dover accertare l’esistenza di un nesso causale fra il danno subito dalla ricorrente ed il comportamento tenuto dal governo italiano e, quindi, per appurare l’ingiustizia del danno, se una condotta diversa da parte dell’Italia avrebbe potuto evitare il danno. Poiché tale prova presuppone la dimostrazione dell’illegittimità della disposizione che esclude dalla partecipazione al primo bando del regime 2000-2006 le società che, per scelta consentita dal precedente regime, avevano deciso di rinviare la candidatura all’agevolazione al successivo bando, è necessario che la clausola di esclusione sia riconosciuta contrastante con le norme ed i principi dell’ordinamento giuridico comunitario. Il tribunale ordinario di Roma ha quindi deciso di sottoporre alla Corte di Giustizia delle Comunità europee la seguente questione pregiudiziale interpretativa: “[Se sia valida la] decisione [controversa], limitatamente alla disposizione transitoria che prevede l’eccezionale deroga al principio della “necessità dell’aiuto” – in occasione della prima applicazione del regime in questione – alle sole domande “introdotte in occasione dell’ultimo bando, organizzato in base al regime precedente ed approvato dalla Commissione fino al 31 dicembre 1999, che sono state considerate ammissibili all’aiuto ma che non sono state evase data l’insufficienza delle risorse finanziarie assegnate a tale bando “ (….), con conseguente ingiustificata pretermissione – in violazione del principio di parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione ex art. 253CE – delle domande introdotte in occasione dei bandi precedenti, non agevolate per mancanza di fondi ed in attesa di essere inserite automaticamente nel bando immediatamente successivo ovvero di essere riformulate nel primo bando “utile” istituito in applicazione del nuovo regime”.

La posizione della Corte di Giustizia Ue

In via preliminare, la Commissione ha affermato che la questione pregiudiziale non sarebbe ricevibile in quanto, essendo il nesso tra la possibile responsabilità dello Stato italiano e la validità della decisione della Commissione relativa al regime di aiuti 2000-2006 non  dimostrato, mancherebbe il collegamento con la controversia della causa principale. La Corte di Giustizia ha respinto tale tesi affermando che l’eventuale riconoscimento dell’invalidità della clausola di esclusione contenuta nella decisione relativa al regime di aiuti 1997-1999, per violazione del principio di parità di trattamento o per carenza di motivazione, potrebbe ripercuotersi sulla valutazione del Giudice del rinvio della richiesta di risarcimento oggetto della causa principale. Nel merito,  l'organo direttivo europeo ha sostenuto che: 1) la clausola di esclusione presente nel regime di aiuti 2000-2006 non può violare il principio di parità di trattamento in quanto derivata da una libera scelta delle autorità italiane; 2) la decisione della Commissione non può essere ritenuta illegittima in quanto correttamente fondata sulle informazioni di cui poteva disporre.  Per quanto concerne il primo punto, il giudice europeo ha chiarito che, come da Esso affermato nella sentenza del 19 settembre 2002 relativa alla causa C113/00,  un aiuto di Stato che, per le sue modalità, contrasti con le disposizioni del Trattato non può essere dichiarato dalla Commissione compatibile con il mercato comune. Ad analoga conclusione deve giungersi per un aiuto di Stato che vìoli i principi generali del diritto comunitario. Con riferimento alla seconda argomentazione della Commissione, la Corte di Giustizia ha rammentato che, secondo una giurisprudenza costante (cfr. CGCE Cause riunite C-74/00 P e C-75/00 P del 24 settembre 2002), “la legittimità di una decisione in materia di aiuti di Stato deve essere valutata alla luce delle informazioni di cui poteva disporre la Commissione quando l’ha adottata”.

La normativa Ue e la documentazione italiana

In proposito, l’articolo 88 del Trattato CE prevede, per consentire alla Commissione di formarsi una opinione sulla compatibilità totale o parziale della misura con il mercato comune, un procedimento che si snoda su due fasi. La prima, necessaria, nella quale la Commissione valuta le informazioni ricevute relative alle modalità dell’aiuto, la seconda, facoltativa, nella quale l’organo competente europeo può chiedere ragguagli o un’integrazione delle informazioni qualora le ritenga sufficienti per emettere la decisione di compatibilità. Nel caso in esame, risulta che la documentazione fornita dallo Stato italiano a corredo della comunicazione relativa agli aiuti di Stato 2000-2006 introdotti con legge n. 488 del 1992, comprendeva anche una descrizione delle modalità del regime di aiuti 1997-1999 in cui veniva illustrata la scelta, riservata alle imprese immesse nella graduatoria di un precedente bando ma non ammesse all’agevolazione, sulla reiscrizione automatica nelle graduatorie del successivo bando o sull’iscrizione ex novo in quelle del secondo bando successivo a quello della non ammissione all’agevolazione per insufficienza dei fondi. Nonostante la mancata precisazione, da parte italiana, dell’esistenza di società che si trovavano in posizioni differenti (società che avevano ritenuto opportuno essere iscritte automaticamente e società che si erano riservate di riscriversi successivamente) a seguito della legittima scelta effettuata, è innegabile che la Commissione aveva, agli atti, gli elementi necessari per conoscere l’esistenza di entrambe.

Le conclusioni
Alla luce della conclusione che precede è ora necessario appurare se la Commissione abbia dichiarato la compatibilità con il mercato europeo di un regime di aiuti che, nella clausola in discussione, abbia discriminato fra società che si trovavano in posizioni analoghe. La previsione, nel regime di aiuti 1997-1999, dell’iscrizione automatica della precedente istanza nel primo successivo bando e della rinuncia ad essa con il diritto a riformulare l’istanza, modificando gli elementi di valutazione per l’attribuzione degli indicatori nel secondo bando successivo a quello della prima iscrizione, dimostra che le posizioni delle società che hanno operato la diversa scelta non possono essere considerate analoghe e, di conseguenza, che la decisione della Commissione non può essere ritenuta discriminatoria. Le società che optavano per la seconda facoltà, infatti, presentavano un’istanza diversa che aumentava le loro possibilità di essere inserite in una posizione utile della graduatoria e che le avrebbe collocate in una posizione di privilegio rispetto a quelle che concorrevano per la prima volta e per le quali la necessità dell’aiuto era indubitabile (cfr. CGCE Causa C-730/79 del 17 settembre 1980), mentre per le società iscritte automaticamente gli indicatori restavano invariati. Per quanto riguarda l’obbligo di motivazione, esso è limitato ai motivi che sono alla base del favore riservato ad una categoria di beneficiari, ma non implica anche la necessità di giustificare l’esclusione di altri che si trovino in situazioni diverse. Nel caso in esame, quindi, esclusa l’analogia delle situazioni, la motivazione appare sufficiente.
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