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Giurisprudenza

Agevolazioni Asd: per lo sconto
non basta la “firma” del Coni

Presupposto del regime di favore è la sostanza dell’attività esercitata, gli enti associativi non godono di uno status di extrafiscalità che li esenta per definizione da ogni imposizione

La Corte di cassazione è intervenuta nuovamente sulle associazioni sportive dilettantistiche con l’ordinanza 10393 del 30 aprile scorso. In particolare, ha ribadito che il regime agevolativo previsto dall’articolo 148, comma 3, del Tuir, in favore delle associazioni non lucrative “dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al Coni (cfr. Cass. sez. 5, 5 agosto 2016, n. 16449)”.
 
La questione
Ancora all’esame della Corte di legittimità una controversia concernente l’esatta portata del riconoscimento per l’ottenimento dello status di associazione sportiva dilettantistica rilasciato dal Coni. Trattasi sicuramente di una conditio sine qua non per essere ammessi a beneficiare del regime di favore, tuttavia non sufficiente per dimostrare nella sostanza la reale attività degli enti che spesso utilizzano strumentalmente detto riconoscimento e la veste associativa al solo fine di godere del regime impositivo agevolato.
 
Nel caso in esame, sulla base delle risultanze del processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, l’Agenzia aveva disconosciuto a un’associazione sportiva, che gestiva una palestra con piscina e termarium – equiparandola di fatto a società commerciale – il regime impositivo agevolato rideterminando il reddito imponibile Ires, Iva e Irap.
In particolare, sull’effettività del rapporto associativo, ad esempio, venivano contestate all’associazione sia la mancanza di apposite delibere del consiglio direttivo, in ordine all’ammissione di nuovi soci (in violazione di un’apposita norma dello Statuto dell’associazione, che prevede che il Consiglio direttivo debba deliberare sulle domande di ammissione dei soci) sia la mancanza dell’accettazione della domanda da parte del presidente del Consiglio direttivo e di regolamenti interni relativi all’attività sportiva.
Inoltre, dall’assenza di adeguate modalità di convocazione dell’assemblea, come confermato dalle dichiarazioni dei soggetti intervistati in sede di accesso, nonché dalla inidoneità dei locali a ospitare tutti gli associati, veniva altresì desunta la fittizietà delle riunioni assembleari.
Sempre relativamente alla vita associativa veniva riscontrata la mancanza di promozione dell’attività sportiva approvata dall’assemblea e la mancata utilizzazione della sigla “Asd” in tutte le comunicazioni rivolte agli associati e nei segni distintivi dell’associazione.
 
Relativamente poi all’attività sportiva, l’associazione – in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 2 del proprio Statuto – non aveva mai promosso o organizzato manifestazioni sportive.
 
Avverso l’avviso di accertamento, l’associazione proponeva ricorso che veniva rigettato con sentenza n. 117, del 3 febbraio 2014 dalla Ctp di Treviso. Successivamente, la Commissione tributaria del Veneto, con sentenza n. 1489, del 30 settembre 2015, accoglieva l’appello proposto dall’associazione sportiva avverso la decisione di primo grado.
Avverso la sentenza della Ctr, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 90, commi 17 e 18, della legge n. 289/2002 e dell’articolo 148 del Tuir, per avere i giudici di merito negato rilevanza indiziaria agli elementi addotti nell’atto impositivo.
 
Decisione della Corte suprema
Per i giudici di legittimità la sentenza della Ctr si è posta in contrasto con i principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione in analoghe controversie. I giudici di secondo grado, infatti, muovendo dal presupposto che l’iscrizione nell’apposito registro tenuto dal Coni garantisse la sussistenza dei requisiti per il godimento del regime agevolativo previsto per le associazioni sportive dilettantistiche, hanno omesso “di valutare le conseguenze che, in relazione a quanto richiesto dall’art. 90, comma 18, lett. e) della L. n. 289/2002 e dall'art. 148 TUIR commi 3 e 8, si determinano sul regime applicabile laddove le associazioni interessate non si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa”.
Sostanzialmente si sono soffermati su una considerazione atomistica e non complessiva degli elementi – aventi per l’ufficio valenza indiziaria – circa l’operatività dell’associazione alla stregua di vera e propria società commerciale. La Corte conclude, ritenendo che “le suddette agevolazioni tributarie di cui all’art. 148 TUIR in favore di enti di tipo associativo commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, «si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto» (cfr. Cass.. sez. 5, 11 marzo 2015, n. 4872)”.
 
Normativa di riferimento e precedenti giurisprudenziali
La normativa di riferimento del regime agevolato in questione è rappresentata dalla legge 398/1991, dai commi 17 e 18 dell’articolo 90 della 289/2002, e dall’articolo 148 del Tuir, disciplinante, invero, gli enti non commerciali e, per la tipologia di attività istituzionale, anche le associazioni sportive dilettantistiche.
 
Ai fini della corretta qualificazione fiscale come ente sportivo dilettantistico, è necessario che le associazioni siano dotate di uno statuto contenente i requisiti di cui all’articolo 90, commi 17 e 18 della citata legge 289, indispensabili ai fini del corretto perfezionamento della natura sportivo dilettantistica dell’ente, certificata dall’iscrizione nel Registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche tenuto presso il Coni.
Al riguardo si ricorda che il Coni è, attualmente, l’unico organismo certificatore della effettiva attività sportiva svolta dalle società o associazioni dilettantistiche, in base all’articolo 7 del Dl 136/2004.
L’articolo 90, della richiamata legge n. 289, recante “disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica”, al comma 1, prevede che “Le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398 e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro”; al comma 18, prevede che “Le società e le associazioni sportive dilettantistiche si costituiscono con atto scritto nel quale deve tra l’altro essere indicata la sede legale. Nello statuto devono essere espressamente previsti: a) la denominazione; b) l’oggetto sociale con riferimento all'organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l'attività didattica; c) l’attribuzione della rappresentanza legale dell'associazione; d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli, associati, anche in forme indirette; e) le norme sull’ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell'elettività delle cariche sociali, fatte salve le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni del codice civile; f) l’obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziari, nonché le modalità di approvazione degli stessi da parte degli organi statutari; g) le modalità di scioglimento dell'associazione; h) l’obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società e delle associazioni”.
 
La norma, quindi, ha dettagliatamente previsto i requisiti necessari per l’individuazione delle associazioni sportive dilettantistiche (con o senza personalità giuridica) e delle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza fine di lucro.
 
Le regole generali concernenti l’attività degli enti di tipo associativo sono dettate dall’articolo 148 del Tuir. La norma, al comma 1, stabilisce che “non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo”. Il successivo comma 3 prevede che “Per le associazioni (...) sportive dilettantistiche (...) non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, (...)”.
Tuttavia, la non commercialità di tali corrispettivi specifici è condizionata, ai sensi del comma 8 dello stesso articolo 148, all’inserimento nei relativi atti costitutivi o statuti delle seguenti clausole:
  • divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge
  • obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità
  • disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori di età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione
  • obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie
  • libera eleggibilità degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti
  • intrasmissibilità della quota o contributo associativo a eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.  
Con circolare la 9/2013, l’Agenzia delle entrate, in merito alle conseguenze in caso di violazioni formali degli obblighi statutari concernenti la democraticità e l’uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, ha ribadito che “l’effettività del rapporto associativo costituisce presupposto essenziale per il riconoscimento alle associazioni sportive dilettantistiche dei benefici fiscali previsti dalla vigente normativa, al fine di evitare l'uso distorto dello strumento associazionistico, suscettibile di intralciare – tra l’altro – la libertà di concorrenza tra gli operatori commerciali”, (cfr anche la circolare 21/2003, nella quale è stato chiarito che, in mancanza del formale recepimento nello statuto, nonché in caso di inosservanza di fatto delle clausole stabilite dal comma 18 dell’articolo 90 della legge 289, gli enti sportivi dilettantistici non possono beneficiare del particolare regime agevolativo a essi riservato).
 
Pur in presenza di un riconoscimento formale, l’Amministrazione finanziaria può, dunque, esercitare un controllo di merito per verificare nel concreto se esistano i presupposti per l’agevolazione. Al riguardo si richiama la sentenza n. 22739/2008 con la quale la Corte di cassazione ha chiarito che “quanto all’effettiva corrispondenza alle finalità istituzionali dell’attività in concreto esercitata dall’associazione, non è sufficiente il solo riconoscimento da parte della federazione di appartenenza: ciò implica, infatti, solo la conformità dello statuto dell’associazione ai principi della federazione, ma non autorizza a presumere la corrispondenza dell’attività in concreto esercitata ai principi stessi”.
 
La sentenza in commento, come in precedenza evidenziato, conferma un orientamento di legittimità già consolidato secondo cui per la spettanza del regime di favore occorre considerare la sostanza dell’attività esercitata, in quanto “gli enti associativi non godono di uno status di extrafiscalità, che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, occorrendo sempre tenere conto della natura delle attività svolte in concreto” (Cassazione, sentenza n. 4147/2013).
 
Alle stesse conclusioni è pervenuta la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 6346/2018 nella quale ha statuito che “l’esenzione d’imposta prevista dall’art. 148 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta dall’associazione, ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro (Sez. 5, n. 22578 del 11/12/2012; Sez. 5, n. 16449 del 05/08/2016); che, in particolare, le agevolazioni tributarie previste in favore degli enti di tipo associativo non commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, dall’art. 111 (ora 148) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 si applicano solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto (Sez. 5, n. 4872 del 11/03/2015)”. Dello stesso tenore anche le ordinanze n. 29157e n. 28175 dello scorso anno.
 
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