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Giurisprudenza

Affetti e affari ancora in Italia:
la residenza fiscale non espatria

Il coniuge non è emigrato, il contribuente non ha affittato né comprato casa all’estero, non c’è prova di svolgimento di un’attività lavorativa stabile: “visto” negato

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La Commissione tributaria regionale di Milano, con la sentenza 4515 del 10 settembre 2014, ha respinto l’appello del contribuente in ordine alla supposta residenza all’estero, evidenziando che l’iscrizione all’Aire è certamente condizione necessaria per far valere il trasferimento della residenza all’estero, ma non sufficiente, in quanto deve essere soddisfatto anche un requisito sostanziale, rappresentato dall’effettivo trasferimento della sede principale degli affari e interessi e della dimora abituale nello Stato estero.
 
L’iter processuale
La vicenda esaminata dalla Ctr nasce da un avviso, con il quale l’ufficio accertava, in base all’articolo 41-bis del Dpr 600/1973, redditi non dichiarati per un contribuente che, seppure iscritto formalmente all’Aire, in quanto residente in uno Stato estero, risultava aver percepito redditi in Italia. Il contribuente contestava l’addebito, sostenendo di essere iscritto all’Aire in quanto residente all’estero e di non essere obbligato a presentare dichiarazione in Italia. La Ctr ha confermato la decisione della Commissione provinciale, respingendo le difese del contribuente e condannando lo stesso al pagamento delle spese di lite.
 
Il punto di maggiore rilievo della decisione in esame risiede non tanto nell’aver sottolineato la necessità di provare un effettivo trasferimento degli interessi, quanto nell’aver adottato una particolare attenzione agli elementi forniti dalle parti.
In particolare, la Ctr, con articolata motivazione, ha statuito che, nel caso concreto, il contribuente non ha fornito la prova della mancanza del presupposto territoriale per l’applicazione dell’imposizione ordinaria italiana. I giudici hanno analizzato tutti gli elementi probatori forniti dall’ufficio in contrapposizione con le carenti difese di parte. In sostanza, la Commissione osserva “che gli elementi di fatto indicati nell’avviso di accertamento, unitariamente considerati depongono nel senso che il ricorrente ha mantenuto in Italia il centro dei suoi interessi, nonché un legame effettivo e non provvisorio, non smentito da quanto dal medesimo addotto in ricorso al fine di confutare la tesi dell’Ufficio”.
 
Infatti, dagli elementi raccolti dall’ufficio, è emerso che il coniuge non era iscritto all’Aire o trasferito all’estero, non risultava dunque fornita la prova di una dimora abituale sia personale sia familiare nello Stato estero. Inoltre, non risultavano essere stati prodotti dal contribuente-ricorrente contratti di locazione o di vendita di immobili presso lo Stato estero o svolgimento di rapporti lavorativi o dell’esercizio di qualunque attività economica con carattere di stabilità, con conseguente percezione di un reddito adeguato ai bisogni e al sostenimento della famiglia.
Secondo la commissione, non sono sufficienti ad attestare l’effettiva permanenza nel paese estero i visti presenti sul passaporto e il permesso di lavoro concesso nello Stato estero. Per contro, il contribuente risultava aver conseguito benefici economici dall’attività svolta in Italia che, anche in mancanza di iscrizione anagrafica, collegano il soggetto al territorio italiano.
 
Quadro normativo e giurisprudenziale
I criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche in Italia sono dettati dall’articolo 2 del Dpr 917/1986, il quale stabilisce che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, hanno la residenza o il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile.
Le condizioni appena indicate sono tra loro alternative; ciò vuol dire che la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato ai fini fiscali residente in Italia. Se il cittadino italiano ha spostato la propria dimora all’estero, occorre che egli provveda alla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e che, contestualmente, si iscriva all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire).
A tal riguardo, il legislatore ha introdotto il comma 2-bis all’interno dell’articolo 2 del Tuir che così dispone: “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze …”.
Pertanto, l’iscrizione all’Aire attesta la non residenza in Italia ma, a differenza dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti nello Stato, che rappresenta una presunzione legale contro cui non è ammessa prova contraria, l’iscrizione all’Aire, è invece sempre suscettibile di prova contraria.
 
Nello stesso senso si esprime anche la circolare ministeriale n. 304/1997, che afferma: “si evidenzia che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova, anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici”. La richiamata circolare fornisce elementi significativi ai fini dell’individuazione della residenza fiscale, evidenziando la necessità che dalle indagini scaturisca una “valutazione d’insieme” dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro Paese; valutazione che, indipendentemente dalla presenza fisica e dalla sola attività lavorativa, esplicata prevalentemente all’estero, consenta di stabilire che la sede principale degli affari e interessi, anche internazionali, deve situarsi nel territorio dello Stato italiano, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.
Inoltre, l’Amministrazione, con la risoluzione n. 351/2008, ha chiarito che, per ritenere residente un soggetto in Italia, la circostanza che il contribuente mantenga in Italia i propri legami familiari o il “centro” dei propri interessi patrimoniali e sociali è di per sé sufficiente a realizzare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano.
 
Occorre, pertanto, una valutazione d’insieme dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro paese per capire se, nel periodo in cui è stato anagraficamente residente all’estero, abbia effettivamente perso ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e possa quindi essere considerato fiscalmente non residente.
Interpretazione, questa, confermata anche dalla pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale la semplice cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, per trasferire la residenza all’estero, può non essere sufficiente a far perdere lo status di residente sotto il profilo fiscale, qualora il soggetto mantenga nel territorio nazionale i propri interessi (famiglia, proprietà, eccetera).
 
In materia tributaria, ai fini dell'individuazione dei soggetti passivi dell'imposizione, l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non costituisce un elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia, quando lo stesso abbia, nel territorio dello Stato, il proprio domicilio, ovvero la sede principale degli affari e degli interessi economici, oltre che le proprie relazioni personali.
In linea con l'anzidetta interpretazione è anche la Corte di giustizia Ue, secondo la quale, per la determinazione del luogo della residenza normale, devono prendersi in considerazione i legami professionali e personali dell'interessato in un determinato luogo e la loro durata. Nel caso in cui detti legami si sviluppino in diversi paesi, in applicazione dell'articolo 7, n. 1, comma 2, della direttiva n. 83/182/Ce, deve riconoscersi preminenza ai legami personali su quelli professionali, rientrando tra i primi la presenza della persona fisica sul territorio, quella dei suoi familiari, la disponibilità di un'abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano i suoi interessi patrimoniali (Cassazione, pronuncia 20285/2013).
 
Nell'ambito della valutazione dei legami personali e professionali dell'interessato, tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest'ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un'abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali (cfr Corte di giustizia Ue, sentenze 12 luglio 2001 in causa C- 262/99, 7 giugno 2007 in causa C-156/04, e, in senso conforme, Cassazione 12259/2010).
 
Inoltre, la Cassazione, con la sentenza 29576/2012, si era già espressa statuendo che, in tema di imposte sui redditi, in base al combinato disposto dell’articolo 2 del Tuir e dell'articolo 43 cc, deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all'estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d'imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari e interessi economici nonché delle relazioni personali, e ciò anche in base a vari elementi presuntivi, quali: l'acquisto di beni immobili; la gestione di affari in contesti societari; la disponibilità di almeno un'abitazione, nella quale egli trascorra diversi periodi dell'anno, e ciò a prescindere anche dalla iscrizione del soggetto nell'Aire, come nel nostro caso (cfr Cassazione, sentenze, 12259/2010, 25275/2006 - a Sezioni unite - e 29576/2011).
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