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Vola l’export del greggio in Russia

Nel 2005 sono stati oltre 2.700 i miliardi di rubli provenienti da petrolio e gas naturale. Il Fisco sorride per il passaggio dal petrodollaro al petrorublo

Oltre a rafforzare il gettito delle imposte e delle tasse, l’incasso originato dalla vendita dell’oro nero è destinato a estendere i servizi sociali in favore dei circa 30 milioni di russi che, secondo le stime e le statistiche rilasciate  da diversi centri di ricerca e confermate dalle maggiori organizzazioni internazionali, vivrebbero ben al di sotto della "soglia di povertà".
Nel corso del 2005, sono stati oltre 2700 i miliardi di rubli, ovvero 100 miliardi di dollari pari a circa 80 miliardi di euro provenienti dalle esportazioni di petrolio e di gas naturale che si sono rovesciati sull’economia russa, impegnata oramai da diversi anni in una ricerca affannosa di maggiori capitali e di finanziamenti, soprattutto di fonte estera, da utilizzare per il potenziamento delle entrate fiscali federali e per stimolare la crescita di alcuni settori dell’industria nazionale.
Volano le entrate, sorride il Fisco ma crescono i poveri
In particolare, dei circa 180 miliardi di dollari che costituiscono le entrate generali della Federazione, la quota derivante dal business del greggio ha raggiunto una taglia di diverse decine di miliardi di dollari, tanto che l’intero settore, insieme a quello relativo allo sfruttamento dei minerali, lascia scivolare ogni anno, dai profitti e dai bilanci di decine di aziende e di operatori economici attivi sul versante dello sfruttamento delle risorse energetiche, la parte più consistente delle entrate fiscali. Naturalmente, oltre a rafforzare il gettito delle imposte e delle tasse, l’incasso originato dalla vendita dell’oro nero è anche destinato a estendere i servizi sociali in favore dei circa 30 milioni di russi che, secondo le stime e le statistiche rilasciate recentemente da diversi centri di ricerca e confermate dalle maggiori organizzazioni internazionali, vivrebbero ben al di sotto della cosiddetta "soglia di povertà". A questo riguardo, la stragrande maggioranza delle risorse legate al business del petrolio, non hanno arricchito in questi anni il sistema del welfare russo, piuttosto sono state indirizzate sul capitolo del debito pubblico, contribuendo a ridurlo notevolmente, e su quello delle riserve in moneta estera gestite dalla Banca centrale di Mosca che, nel corso del biennio passato, sono balzate oltre la soglia record, almeno in relazione agli standard russi, dei 200 miliardi di dollari. Con questi numeri, oggi la Russia, per quanto riguarda le riserve in oro e in monete estere, è preceduta soltanto dal Giappone, dalla Cina, da Taiwan e dalla Corea del Sud.

La nuova moneta russa? Il "petrorublo"
A questo riguardo, i numeri che oggi concorrono a ridisegnare il volto dell’Orso russo sono piuttosto chiari. La Russia infatti è il primo esportatore mondiale di gas naturale, mentre sul versante del greggio ha oramai conquistato saldamente la piazza d’onore, la seconda, lasciando invece all’Arabia Saudita la solitudine del primo posto. In termini contabili, l’impatto del diluvio di petrorubli, ben 100 miliardi di dollari, scivolati nel 2005 sui conti pubblici del Cremlino e assorbiti dall’intera economia russa, appare davvero rilevante. Infatti, le esportazioni connesse all’intero settore energetico costituiscono il 40 per cento del volume complessivo dell’export che, l’anno passato, ha lambito i 250 miliardi di dollari facendo registrare un surplus di oltre 180 miliardi di dollari in riferimento alla bilancia commerciale.
L’oleodotto che unirà Mosca a Pechino
Recentemente, il love affair russo nei riguardi del settore energetico, e delle complesse strategie diplomatiche e finanziarie che ne costituiscono lo sfondo, ha spinto di nuovo Mosca verso Pechino, dopo anni di muro contro muro. La prova di questo riavvicinamento, è racchiusa nel progetto, sottoscritto dai due Paesi, che ha come obiettivo principale la costruzione di un oleodotto con cui il petrolio russo, transitando attraverso la Siberia, contribuirà a rifornire costantemente l’economia cinese di greggio e delle risorse energetiche necessarie a sostenere la corsa dell’economia del Dragone asiatico. In realtà Mosca punta a realizzare una vera e propria autostrada del petrolio che dovrebbe collegare la Siberia orientale al Pacifico, così da provvedere al rifornimento delle maggiori economie dell’area. Costo stimato dell’opera? 10 miliardi di dollari che, in 5 anni, dovrebbero garantire la piena operatività dell’oleodotto.

Dove finiscono le entrate del business del greggio
Naturalmente una parte rilevante degli incassi legati al boom e all’implementazione del settore dell’energia confluiscono oramai da due anni all’interno di un fondo speciale, denominato Fondo di Stabilizzazione. Si tratta di somme cospicue che nel 2005 hanno superato i 55 miliardi di dollari e che, in generale, sono impiegate per ridurre il debito pubblico, oppure, con l’obiettivo di frenare eventuali emergenze. In realtà, altri Paesi, come la Norvegia, hanno da tempo sperimentato e preceduto l’innovazione legata alla costituzione di un Fondo, come quello russo, anche se l’elemento che li distingue è facilmente riscontrabile sul versante fiscale. Infatti, quello gestito dal Governo norvegese è condizionato da norme specifiche che, in caso di utilizzo delle risorse che vi risultano stanziate, restringe la quota eventualmente spendibile e riutilizzabile su altri capitoli di bilancio. Questo limite, contabile e fiscale, non esiste per quanto riguarda il Fondo russo che, già da mesi in molti sostengono essere destinato allo sviluppo di settori in grave crisi, come quelli della scuola, dei servizi sociali e dei trasporti.
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