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Dal mondo

Ue: sui voucher mono e multiuso
nuove regole fiscali per l’Iva - 2

La nuova direttiva approvata modifica la normativa precedente e le norme dovranno essere recepite nel 2018

voucher
Le problematiche connesse alla base imponibile si sono manifestate principalmente con riferimento ai buoni circolanti all’interno di catene di distribuzione ed ai buoni sconto gratuiti.  Le catene distributive hanno creato particolari problemi con riferimento ai buoni multiuso poiché gli stessi, anche prima della direttiva 2016/1065, venivano generalmente ritenuti imponibili soltanto all’atto dell’utilizzo; per i buoni monouso la base imponibile coincide, e coincideva, con il prezzo pagato all’atto dell’emissione o dei trasferimenti successivi.
Le caratteristiche dei buoni multiuso, in particolare l’indeterminabilità all’atto dell’emissione dei beni o servizi effettivamente fruiti, non consentivano e non consentono, qualunque sia il criterio di esigibilità vigente nello Stato, di considerali imponibili in un momento antecedente all’effettivo utilizzo: in base alla sentenza della Corte di Giustizia europea resa con riferimento alla causa C-419/2006, neppure il versamento di un corrispettivo/acconto all’atto dell’emissione permette di considerare la prestazione come effettuata.
Prima di analizzare, distintamente, le problematiche relative alla distribuzione dei buoni multiuso ed ai buoni sconto, si effettuerà un brevissimo richiamo alle regole di determinazione della base imponibile dei servizi di intermediazione.
 
Base imponibile dei servizi di intermediazione
Per comprendere le regole di determinazione della base imponibile dei servizi di intermediazione, bisogna effettuare una preliminare distinzione tra servizi resi, o ricevuti, in nome proprio e per conto altrui (intermediazioni senza rappresentanza), e servizi resi, o ricevuti, in nome e per conto altrui (intermediazioni con rappresentanza).
Se il soggetto passivo agisce in nome proprio e per contro altrui, i rapporti con il committente, in base a quanto previsto dagli articoli 14, lett c), e 21, par. 1, della direttiva Iva, sono considerati prestazioni della stessa natura di quelle oggetto dell’intermediazione.
 
L’ESEMPIO
Se A compra da B dei beni in nome proprio e per conto di C, il trasferimento dei beni da A a C viene considerata una cessione rilevante ai fini del tributo. Quando non sussiste la spendita del nome, infatti, la prestazione di intermediazione non ha autonoma rilevanza e la sua base imponibile, ai sensi dell’articolo 13, lett. b), D.P.R. 633/1972, viene determinata in modo del tutto peculiare.
Ritornando all’esempio precedente, ipotizziamo che il prezzo netto Iva del bene sia 100 euro e la commissione di intermediazione sia pari a 10 euro.
A riceve da B una fattura di 100 euro più Iva ed emette nei confronti di C una fattura per 110 euro (prezzo di acquisto più commissione) più Iva. In tal modo A dovrà dichiarare e versare l’Iva su un imponibile di 10 euro (110-100). Se A vende a B beni di proprietà di C, ceteris paribus,  C dovrà emettere nei confronti di A una fattura per 90 euro ( prezzo di vendita meno commissione) più Iva ed A emetterà nei confronti di B un fattura per 100 euro più Iva.
Quando il soggetto agisce in nome e per conto di un altro, la commissione di intermediazione deve essere separatamente fatturata ed il “passaggio di beni o servizi” tra prestatore e committente non assume autonoma rilevanza.
Con riferimento ai buoni multiuso, il problema sorge poiché le intermediazioni avvengono tipicamente senza spendita del nome e, non assumendo le singole cessioni autonoma rilevanza (rileva soltanto il momento di utilizzo del buono), le regole ordinarie di determinazione della base imponibile delle prestazioni di intermediazione non possono essere applicate.
 
Buoni distribuiti all'interno di una catena
 
Criticità del sistema
I buoni multiuso possono essere distribuiti in molti modi (ad esempio, tramite quotidiani, intermediari, prodotti dei supermercati, ecc.).
Esistono numerose formule contrattuali, ma secondo la più diffusa il prezzo (Iva inclusa) a cui l'emittente vende il buono multiuso all'inizio della catena è diverso dal prezzo (Iva inclusa) pagato dal consumatore alla fine della catena a causa dei margini commerciali applicati dai distributori.
Infatti, l’emittente di un buono multiuso destinato ad essere intermediato richiederà, per tenere conto del servizio di intermediazione, un prezzo inferiore al valore nominale del buono: un buono che vale 100 euro può, ad esempio, essere emesso ad un prezzo di 80 euro.
Considerato che ogni intermediario effettuerà un ricarico nelle successive vendite, il consumatore che acquista il buono multiuso alla fine della catena paga un prezzo più elevato del corrispettivo ottenuto dall'emittente del buono all'inizio della catena.
Se il margine di intermediazione non è contabilizzato correttamente, ci sarà una divergenza tra l'Iva fatturata dall'emittente e l’Iva che il cliente si aspetta di trovare sulla fattura.
Per chiarire il concetto si presenta un semplice esempio; i prezzi si intendono comprensivi dell’Iva.
 
L’ESEMPIO
La società I emette un buono dal valore di 100 euro a favore del distributore D1. D1 paga il buono 90 euro e lo cede a D2 al prezzo di 95 euro. D2 lo cede al consumatore finale ad un prezzo di 100 euro.
A questo punto possiamo delineare due scenari alternativi.
  • il consumatore finale all’atto dell’utilizzo del buono riceve da I una fattura per un totale, Iva inclusa, di 90 euro (prezzo di emissione). Se il consumatore finale è un soggetto passivo, l’Iva detraibile sarà inferiore a quella relativa al corrispettivo effettivamente pagato a D2. In pratica si genera in capo al consumatore una doppia imposizione;
  • la società I emette una fattura pari al prezzo pagato dal consumatore finale all’ultimo intermediario. In tal caso I deve versare un’Iva che non ha incassato e per la quale non può avvalersi del diritto di rivalsa.
In entrambi i casi le prestazioni intermedie non sono tassate.
 
Soluzione proposta dalla Commissione
Per rimediare alle criticità esposte, la Commissione aveva proposto di introdurre un concetto di “valore nominale”, ossia un valore costante fissato dall'emittente del buono multiuso all’atto dell’emissione, e di considerare qualsiasi differenza positiva tra questo valore nominale e il prezzo pagato da un distributore del buono multiuso come il corrispettivo di un servizio di distribuzione autonomamente tassabile.
Per comprendere il concetto si propone il seguente esempio tratto dalla proposta COM (2012)206 Final; i prezzi sono tutti comprensivi di Iva.
 
L’ESEMPIO
La società I vende un buono multiuso a un distributore (D1) per un valore nominale di 100 euro. D1 paga 80 euro all'emittente.
La differenza tra il valore nominale e il prezzo pagato è di 20 euro. Tale importo è considerato il corrispettivo (Iva compresa) per il servizio di distribuzione fornito dal distributore alla società di telecomunicazioni.
D1 emetterà una fattura ad I indicante il costo del servizio di distribuzione e l'Iva. Nell'ipotesi di un'aliquota Iva del 22%, il costo del servizio di distribuzione sarà di 16.40 euro e l'Iva di 3.60 euro.
D1 vende poi il buono multiuso a un subdistributore, D2, per 90 euro. D2 fornisce un servizio di distribuzione a D1 ed emette una fattura che riflette la differenza tra il valore nominale (100 euro) e l'importo pagato (90 euro). Il costo del servizio sarà, pertanto, di 8.20 euro, più 1.80 euro di Iva.
D2 vende, quindi, il buono al cliente finale C per 100 euro. C utilizza il buono per acquistare da I servizi. Se tali servizi sono destinati ad uso professionale, C (un soggetto passivo) riceve una fattura da I per 100 euro.
In nessuna fase della catena di distribuzione viene emessa una fattura Iva in relazione alla vendita del buono multiuso.
La società I, prestatrice del servizio ed emittente del buono multiuso, avrà prestato servizi per un valore di 82 euro con IVA a valle di 18 euro. Essa avrà sostenuto costi di distribuzione di 16.40 euro (più IVA a monte di 3.60 euro) per consegnare il buono multiuso nelle mani del cliente finale.
Si evidenzia che la società I dovrà versare un’ Iva pari a 14.40 (18-3.60). Tale importo è pari all’Iva che sarebbe stata esigibile nel caso I avesse fatturato all’atto dell’emissione un corrispettivo pari a 80 euro (prezzo di emissione): il quoziente tra 80 e 1.22 è pari a 14.40
 
Disposizioni della direttiva
La soluzione proposta dalla Commissione è stata solo parzialmente recepita nel corpo della direttiva.
Il provvedimento normativo si è limitato a chiarire, in via generale, le modalità di calcolo della base imponibile dei buoni multiuso. In particolare, nel corpo della direttiva 112/2006/CE è stato inserito un nuovo articolo 73-bis a  mente del quale “Fatto salvo l'articolo 73, la base imponibile della cessione di beni o della prestazione di servizi effettuate a fronte di un buono multiuso è pari al corrispettivo versato per il buono o, in assenza di informazioni su tale corrispettivo, al valore monetario indicato sul buono multiuso stesso o nella relativa documentazione diminuito dell'importo dell'IVA relativo ai beni ceduti o ai servizi prestati”.
In pratica, la direttiva dispone che la base imponibile corrisponde al prezzo pagato per il buono o, in sua assenza, al valore facciale. Detti valori devono intendersi compresivi dell’Iva che, per l’effetto, andrà scorporata.
Pertanto, la questione afferente la base imponibile dei buoni multiuso trasferiti all’interno di catene distributive può dirsi sostanzialmente ancora aperta.
                     
Buoni sconto gratuiti
La direttiva, come chiarito dal considerando numero 4), non si occupa dei buoni sconto. Nel prosieguo, quindi, si illustreranno soltanto le problematiche esistenti e le proposte presentate dalla Commissione.
 
Le criticità del sistema
I buoni sconto gratuiti conferiscono al detentore il diritto a beneficiare, al momento del riscatto, di uno sconto sulla cessione di determinati beni o sulla prestazione di determinati servizi.
Se l'emittente del buono ed il fornitore dei beni e servizi sono la stessa persona, la base imponibile di tali cessioni o prestazioni è ridotta dell'importo dello sconto.
Il consumatore che acquista un prodotto del costo di 100 euro ne pagherà quindi solo 95 se utilizza un buono sconto di 5 euro; i prezzi si intendono comprensivi dell’Iva.
Nella realtà, però, gli articoli cui i buoni sconto si riferiscono spesso passano per le mani di diversi soggetti passivi (quali grossisti, distributori e dettaglianti) prima di raggiungere il cliente finale.
Lo sconto, solitamente, è rimborsato dall'emittente (ad esempio il fabbricante) al fornitore che accetta il buono (ad esempio un dettagliante). Può anche succedere che il consumatore paghi il prezzo integrale, salvo ricevere successivamente un rimborso (cash back) dall'emittente.
Attualmente, sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia Europea (Causa C-317/94, Causa C-427/98), l'emittente (grossista o fabbricante) può detrarre l’iva virtuale calcolata sull’importo rimborsato al fornitore, ovvero può ridurre, fino a concorrenza dell’importo rimborsato, il suo volume di affari; per evitare un salto di imposta, il rimborso è considerato come una integrazione prezzo erogata dall’emittente al fornitore che accetta il buono ed incrementa, conseguentemente, la base imponibile di quest’ultimo.
Riprendendo l’esempio che precede, dunque, il fornitore che accetta il buono e riceve un rimborso dall’emittente emetterà una fattura di 100 euro al cliente, anche se questi ha versato solo 95 euro.
Il procedimento avallato dalla Corte di Giustizia, può creare difficoltà quando i diversi adempimenti devono essere effettuati attraverso una catena di distribuzione o quando un buono è utilizzato in uno Stato membro diverso da quello di emissione.
Inoltre, se il cliente finale è un soggetto passivo, quest’ultimo potrebbe detrarre un’Iva maggiore di quella versata al fornitore. Tale detrazione, in parte fruita anche dall’emittente del buono, potrebbe comportare una doppia non imposizione.
 
La proposta della Commissione
A fronte delle problematiche evidenziate, la Commissione aveva approntato una soluzione incentrata sulla natura giuridica dell’eventuale rimborso ricevuto dal fornitore.
Segnatamente, il rimborso, invece di rappresentare una integrazione di corrispettivo versato da un terzo, sarebbe stato considerato il corrispettivo della fornitura di un servizio di accettazione del buono.
In luogo di ridurre la base imponibile della prima vendita, il fabbricante (che emette il buono) avrebbe potuto detrarre  l'Iva relativa al servizio prestato dal fornitore che accetta il buono.
Quando un buono sconto gratuito viene presentato per essere riscattato contro una cessione di beni o una prestazione di servizi, il prezzo pagato sarebbe stato ancora ridotto del suo valore nominale, ma anche la base imponibile della cessione o prestazione sarebbe stata ridotta.
Tale base imponibile sarebbe stata identica al prezzo effettivamente pagato dal cliente.
Riprendendo l'esempio che precede, il fornitore che accetta il buono avrebbe dovuto emettere una fattura per 95 euro nei confronti del cliente ed una fattura pari a 5 euro nei confronti dell’emittente.
 
Le conclusioni
La direttiva brevemente tratteggiata risolve solo alcune delle problematiche evidenziate dalla Commissione. Uno dei maggiori osteggiatori all’accoglimento integrale della proposta della Commissione è stato il Regno Unito che, oramai, è virtualmente fuori dall’Unione Europea.
Alla luce di tale circostanza, il provvedimento normativo in commento, pur se frutto di un lungo e complesso iter legislativo, non rappresenta la fine della discussione europea sul trattamento dei voucher, ma, con ogni probabilità, solo l’inizio.


La prima puntata è stata pubblicata il 2 gennaio 2017
 
 
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