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Dal mondo

Ocse: un accordo flessibile
contro abusi e vantaggi indebiti (2)

Arginare i fenomeni di treaty shopping e di treaty abuse sono due degli obiettivi della convenzione multilaterale

accordo internazionale
Nella puntata precedente abbiamo esaminato le disposizioni (norma antiabuso) contenute nell’articolo 7 della Convenzione. In quella odierna, invece, ci soffermeremo sulle disposizioni contenute nell’articolo 10 la cui funzione è di arginare una particolare forma di abuso di trattato basata sull’utilizzo delle stabili organizzazioni (Anti-abuse Rule for Permanent Establishments Situated in Third Jurisdictions).
 
L’utilizzo delle stabili organizzazioni
L’articolo 10 è finalizzato a porre rimedio ad una particolare forma di abuso di trattato basata sull’utilizzo delle stabili organizzazioni. Si tratta di strutture triangolari atte a veicolare flussi reddituali che vengono pagati o percepiti tramite stabili organizzazioni situate in Stati diversi da quelli del percipiente o del pagante.
 
ESEMPIO
Volendo fornire un esempio, si pensi alla società A, residente nello Stato A, che  paga alla ( o riceve dalla) società B, residente nello Stato B, flussi reddituali tramite una stabile organizzazione che la società A ha istituito nello Stato C.
Focalizzando l’attenzione sul caso in cui la stabile organizzazione interviene in qualità di ricevente, 
a livello convenzionale accade che, non essendo la stabile considerata un soggetto residente ai fini dell’applicazione dei trattati bilaterali, lo Stato B applicherà ai flussi in uscita le regole previste dal trattato in vigore con lo stato di residenza della casa madre.
Se tra lo Stato A e lo Stato C è in vigore una convenzione che prevede, ai fini dell’eliminazione della doppia imposizione, il metodo dell’esenzione, e se lo Stato C ha un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello dello Stato A, la strutturazione dell’operazione potrebbe risultare in un quasi totale azzeramento della tassazione.
 
Per prevenire tale tipo di manovra, l’articolo in questione prevede che:
  • se un soggetto residente di uno Stato produce reddito in un altro Stato tramite una stabile organizzazione situata in uno stato terzo;
  • se il reddito prodotto da tale stabile organizzazione gode di un regime di esenzione nello stato della casa madre;
Lo Stato della fonte non deve concedere i benefici convenzionali qualora il livello di imposizione effettiva che subisce la stabile organizzazione sia inferiore di oltre il 40% rispetto a quello che essa avrebbe subito allorquando fosse stata situata nello stato della casa madre; in altre parole, il livello di tassazione della stabile deve essere inferiore al 60% di quello della casa madre.
Tale limitazione non si applica se viene dimostrato che la stabile organizzazione è impegnata in un’attività economica effettiva cui è connesso il componente di reddito prodotto nello Stato terzo. In via presuntiva, non si considerano attività economiche effettive:
  • l’attività di detenzione delle partecipazioni;
  • l’attività di gestione delle partecipazioni;
  • le attività finanziarie svolte a favore di altre società del gruppo (es. cash pooling);
  • l’attività di investimento o la gestione di investimenti, fatta eccezione per i casi in cui il soggetto agente sia una banca o una società di assicurazioni.
Similmente a quanto avviene per le altre clausole LOB, l’autorità competente dello Stato della fonte, previa richiesta del contribuente, può comunque decidere di concedere i benefici convenzionali se ritiene che nel caso specifico non ci sia il rischio di abuso. Ogni decisione deve , però, essere preceduta da una fase di consultazione con l’autorità competente dello Stato della
casa madre.
 
La posizione dello Stato italiano
L’Italia, in sede di sottoscrizione della convezione multilaterale, si è riservata di non applicare la disposizione di cui all’articolo 10, mentre non ha posto riserve con riferimento all’articolo 7.
Probabilmente, la scelta è stata influenzata dalla possibile incompatibilità della norma antielusiva (di cui all’articolo 10) con il nostro regime di branch exemption che, in uno con la nuova soglia quantitativa atta ad individuare i regimi fiscali privilegiati cui si rende applicabile la disciplina CFC, avrebbe potuto danneggiare le nostre imprese con attività a vocazione internazionale: una società italiana con una stabile organizzazione situata in una giurisdizione con un livello nominale di tassazione pari al 53 % di quello nazionale, potrebbe accedere al regime della branch exemption ma, al contempo, potrebbe, ai sensi del citato articolo 10, essere esclusa dai benefici convenzionali, poiché il 53 % non è sufficiente a rispettare la soglia convenzionale del 60%.
 
Conclusioni
Le norme brevemente delineate si inseriscono in un contesto complessivo di politica fiscale internazionale ove è palpabile la sempre maggiore insofferenza verso la pianificazione fiscale aggressiva.  Se è ormai ineludibile l’esigenza di creare regole condivise applicabili nelle operazioni transfrontaliere, non si devono sottovalutare le problematiche che possono venirsi a creare quando tali regole interagiscono con l’ordinamento nazionale. Ad esempio, un tema che necessariamente dovrà essere affrontato dal nostro legislatore è quello della rilevanza penale delle condotte qualificabili come “abuso di trattato”, ovvero come “treaty shopping”.
Infatti, alcune delle condotte che rientrano in tale categoria, utilizzando strutture negoziali basate sulla simulazione ovvero sull’interposizione fittizia, a livello di ordinamento nazionale sono di sicuro rilievo penale. Per quanto riguarda, invece, le condotte che, se replicate a livello interno, sarebbero inquadrabili nell’ambito del nuovo articolo 10-bis, la rilevanza penale potrebbe essere esclusa applicando detta norma in via analogica.
In ogni caso, la questione merita, per certo, un intervento chiarificatore.


2 - fine
La prima puntata è stata pubblicata mercoledì 6 settembre
 
 
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