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Dal mondo

Ocse: un accordo flessibile
contro abusi e vantaggi indebiti

L’obiettivo della convezione multilaterale è di attivare alcune delle misure contenute nel progetto Beps

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L’Ocse, nel novembre 2016, ha pubblicato uno schema di convezione multilaterale volta a implementare alcune delle misure delineate nell’ambito dei final report del progetto BEPS, finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e il dirottamento degli utili verso giurisdizioni fiscali a bassa pressione fiscale (Multilateral Convention To Implement Tax Treaty Related Measures  To Prevent Base Erosion And Profit Shifting).
Tale convenzione, sottoscritta dall’Italia il 7 giugno di quest’anno, consentirà agli Stati aderenti di modificare, simultaneamente, alcune delle disposizioni contenute nei rispettivi trattati bilaterali in materia di doppia imposizione.
La convenzione multilaterale, come chiarito nelle note esplicative, si presenta estremamente flessibile poiché, salve poche eccezioni, ogni singolo articolo consente agli Stati varie opzioni, ivi inclusa la possibilità della sua non adozione.
Nel presente intervento ci concentreremo sulle disposizioni convenzionali recate dagli articoli 7 e 10 che, al fine di arginare i fenomeni di treaty shopping e di treaty abuse, da un lato (articolo 7) introducono una norma generale antiabuso, dall’altro (articoli 7 e 10) specificano i requisiti che un soggetto deve possedere per essere considerato “residente di uno stato contraente” e, consequenzialmente, titolato ai benefici convenzionali.
 
Articolo 7 (Prevention of Treaty Abuse)
 
Treaty Abuse e Treaty Shopping
L’articolo in rubrica, dedicato a contrastare i fenomeni di treaty abuse e treaty shopping, sintetizza le riflessioni e le raccomandazioni contenute nel final report n. 6 (Preventing the Granting of Treaty Benefits in Inappropriate Circumstances).
In via preliminare, si rileva che con il termine treaty abuse ci si riferisce a condotte che, similmente a quanto avviene a livello interno nei casi di abuso del diritto, pur nel rispetto formale delle clausole convenzionali, mirano ad ottenere vantaggi fiscali contrari allo spirito dei trattati: i trattati sono finalizzati ad eliminare o ridurre la doppia imposizione e, pertanto, ogni operazione che mira ad ottenere una doppia non imposizione, o una ridotta imposizione in condizioni diverse da quelle canoniche,  rappresenta un abuso di trattato.
 
Treaty Abuse (ESEMPIO)
L’articolo 10 (dividendi) del modello OCSE (2014) prevede che lo Stato della fonte non possa applicare ai dividendi in uscita una tassazione con aliquota superiore al 5%, a condizione che il socio percipiente sia una società (opaca) che possiede oltre il 25 % del capitale del soggetto che distribuisce i dividendi.
La norma, almeno nella versione base del modello, non prescrive alcun holding period e, di conseguenza, la percentuale predetta deve essere detenuta al momento della distribuzione dei dividendi.
Lo spirito della norma risiede nel tassare in maniera più lieve i soggetti che, considerata l’entità della partecipazione, non stanno effettuando operazioni speculative ma sono impegnati in un’attività gestoria; in particolare si vuole mitigare la doppia imposizione economica che si crea, a cascata, tra reddito di impresa e dividendi.
Se quattro soci (società per azioni), possessori ciascuno di una quota del 7%, si accordano nel senso di consolidare, in prossimità della data di distribuzione dell’utile, tutte le partecipazioni in capo ad uno solo di essi, che poi procederà a cederle di nuovo dopo l’incasso dei proventi, la norma convenzionale viene abusata e i soggetti ottengono un beneficio indebito.
 
Il termine treaty shopping, invece, si riferisce alle operazioni volte a permettere ad un soggetto di usufruire di benefici convenzionali che, in ragione della sua giurisdizione di residenza, non gli spetterebbero.
 
Treaty Shopping (ESEMPIO)
Si pensi al caso di una società A, residente nello Stato A, che intende effettuare un investimento nella società B, residente nello Stato B.
Lo Stato A e lo Stato B non hanno sottoscritto alcuna convenzione.
Lo Stato C, invece, ha sottoscritto una convezione sia con lo Stato A sia con lo Stato B.
A questo punto, la società A costituisce una società ponte nello Stato C attraverso la quale veicolare l’investimento nello stato B.
In tal modo, la società A riesce, indirettamente, ad utilizzare i benefici convenzionali offerti dallo Stato B, pur in assenza di una convenzione tra quest’ultimo e lo Stato A; tali manovre sono, tradizionalmente, contrastate mediante l’utilizzo dell’istituto del beneficial owner
Per combattere i fenomeni sopra indicati l’Ocse, nel final report n. 6, ha suggerito l’adozione di una norma generale antiabuso e di clausole specifiche (Limitation on benefit- LOB)  che consentono l’accesso ai benefici convenzionali soltanto ai soggetti in possesso di determinati requisiti (soggetti qualificati).
La clausola generale antiabuso, molto simile al nostrano articolo 10-bis della legge 212/2000, permetterebbe in teoria di contrastare sia le condotte di treaty abuse sia quelle di treaty shopping.
Allo stesso tempo, però, una clausola aperta risulta di difficile applicazione pratica, poiché richiede un’analisi case by case e tende a comprimere eccessivamente il principio della certezza del diritto.
Le clausole LOB, invece, pur essendo di facile applicazione, non permettono di intercettare tutte le condotte di treaty abuse.
Pertanto,  nel modello multilaterale  è stato scelto un approccio intermedio, basato su una clausola generale antiabuso, obbligatoria, ed alcune clausole LOB facoltative.
 
La clausola generale antiabuso
L’articolo 7, paragrafo 1, dispone che, in deroga ad ogni diversa pattuizione contenuta nei trattati bilaterali, i benefici convenzionali devono essere negati ogniqualvolta, considerati tutti i fatti e le circostanze, è ragionevole concludere che l’ottenimento dei benefici è stato lo scopo principale, o uno degli scopi principali, dell’operazione o dell’accordo.
L’articolo 7, paragrafo 4, precisa che l’autorità competente dello Stato (della fonte o della residenza) che avrebbe dovuto concedere i benefici, su specifica richiesta del contribuente, è autorizzata a concedere tutti o alcuni dei benefici negati qualora, da un esame della fattispecie concreta, la stessa autorità concluda che la condotta non è da considerarsi abusiva in tutto o in parte.
Da ultimo, detto paragrafo prevede che, qualora l’autorità competente intenda rigettare la richiesta del contribuente, sia necessario avviare una procedura di consultazione preventiva con l’autorità competente dell’altro Stato interessato dalla fattispecie.
La clausola antielusiva, appartenente alla categoria delle clausole principal purpose test, nel suo complesso non presenta particolari criticità.
Confrontandola con la norma nazionale in materia di abuso del diritto, si rileva che a livello nazionale l’operazione non è considerata abusiva se, oltre a realizzare vantaggi fiscali (anche indebiti), realizza anche effetti extrafiscali non marginali.
La disposizione convenzionale, invece, sembra esprimere un giudizio di abusività tutte le volte in cui la condotta, tralasciando ogni valutazione circa gli effetti extrafiscali, mira ad ottenere indebitamente i benefici convenzionali.
Questa discrasia, però, pare essere ricomposta dalla menzionata possibilità per l’autorità competente di concedere, anche in caso di operazioni strutturalmente abusive, la possibilità di usufruire dei benefici convenzionali.
Pur se nella convenzione non viene detto nulla circa i parametri cui devono attenersi le autorità competenti, pare legittimo ritenere che l’idoneità della condotta a realizzare effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali sarà sicuramente uno dei criteri fondamentali per esprimere il giudizio di non abusività.
 
Clausole LOB
I trattati bilaterali, nella maggioranza dei casi, nel delimitare il loro ambito soggettivo di applicazione, fanno riferimento al tipo di collegamento esistente tra soggetto, territorio e potestà impositiva.
Ad esempio, l’articolo 4 del modello Ocse precisa che le disposizioni convenzionali si applicano alle persone (fisiche o giuridiche) che sono sottoposte a tassazione in uno Stato contraente, con riferimento ai redditi ovunque prodotti, poiché è ivi situato il loro domicilio, la loro residenza, ovvero la loro sede di direzione effettiva.
Tale definizione, pur avendo il pregio della semplicità, non consente di combattere adeguatamente le pratiche di treaty shopping, poiché acquisire la qualifica di soggetto residente titolato ai benefici convenzionali è fin troppo semplice.
Per tale motivo, l’articolo 7 sopra citato prevede, fatte salve alcune eccezioni, l’inserimento di una serie di requisiti aggiuntivi, rispetto a quelli attualmente previsti dai trattati, che un soggetto deve possedere per poter usufruire dei benefici convenzionali.
In particolare, la nuova norma prevede che si considerano soggetti “qualificati” ai benefici convenzionali:
  • le persone fisiche residenti in uno stato contraente;
  • lo Stato contraente, le sue suddivisioni politiche e gli enti pubblici;
  • le organizzazioni no profit, riconosciute come tali all’interno dei trattati bilaterali;
  • i fondi pensione;
  • i soggetti che gestiscono il patrimonio dei fondi pensione;
  • i soggetti, diversi dalle persone fisiche, il cui capitale è posseduto, direttamente o indirettamente, per almeno il 50 % dai soggetti elencati ai punti da 1 a 4.Tale requisito deve, però, sussistere per almeno la metà dei dodici mesi precedenti il momento in cui il beneficio deve essere accordato. Questa disposizione si fonda sulla considerazione che un soggetto, in particolare una società, partecipata per almeno la metà da soggetti qualificati, difficilmente può essere stata costituita per ottenere abusivamente i benefici convenzionali, in quanto se i soci avessero agito in via diretta avrebbero potuto goderne;
  • i soggetti, diversi dalle persone fisiche, il cui capitale è posseduto, direttamente o indirettamente, per almeno il 75 % da soggetti che sono considerati beneficiari equivalenti.Tale requisito, come quello di cui al punto precedente, deve sussistere per almeno la metà dei dodici mesi precedenti il momento in cui il beneficio deve essere accordato. Per beneficiario equivalente si intende un soggetto residente in uno Stato diverso da quello ove è situata l’entità partecipata, a condizione che detto Stato abbia stipulato con lo Stato che deve accordare il beneficio una convezione che garantisca un trattamento pari o superiore a quello di cui può godere l’entità. Esemplificando, si pensi alla società A, residente nello Stato B, che controlla la società C, residente nello Stato D, che, a sua volta, controlla la società E residente nello Stato F. Si ipotizzi ancora che la società E distribuisca dividendi alla società C. In base a quanto detto, la società C, essendo controllata da soggetti non residenti nello stato D, non rientra nell’ipotesi di cui al precedente numero 6 e non può usufruire dei benefici convenzionali del trattato in vigore tra lo stato D e lo stato F. A questo punto, bisogna verificare se tra lo Stato B e lo stato F è in vigore una convenzione fiscale che accorda ai dividendi un trattamento uguale o migliore rispetto a quello che garantisce la convenzione tra lo Stato D e lo Stato F. In caso affermativo, la società C sarà considerata titolata ai benefici convenzionali poiché controllata da soggetti che possono accedere a benefici equivalenti;
  • le società la cui classe “principale” di azioni sono quotate in mercati regolamentati. A tal fine, per classe “principale” di azioni si intende le azioni che rappresentano la maggioranza del valore e dei diritti di voto in un’entità. Inoltre, il mercato regolamentato deve essere riconosciuto come tale dagli stati contraenti interessati.
Se il contribuente non possiede i requisiti necessari ad essere considerato un soggetto qualificato, può comunque usufruire delle disposizioni convenzionali se:
  • nello Stato di residenza svolge un’attività economica effettiva;
  • in un altro Stato contraente produce un provento collegato all’attività svolta nello Stato di residenza.
In questo caso, però, il soggetto non avrà diritto a tutti i benefici convenzionali ma solo a quelli relativi allo specifico componente di reddito collegato alla sua attività economica.
In via presuntiva, non si considerano attività economiche effettive:
  • l’attività di detenzione delle partecipazioni;
  • l’attività di gestione delle partecipazioni;
  • le attività finanziarie svolte a favore di altre società del gruppo (es. cash pooling);
  • l’attività di investimento o la gestione di investimenti, fatta eccezione per i casi in cui il soggetto agente sia una banca o una società di assicurazioni.
Qualora un contribuente non rientri in nessuna delle situazioni esposte, la fruizione dei benefici convenzionali può essere concessa, previa istanza  volta a dimostrare l’assenza di intenti abusivi, dalle autorità competenti degli stati interessati che, prima di pronunciarsi, devono consultarsi tra loro.
 
Conclusioni
Concludendo sul punto, l’articolo 7 prevede che alcune disposizioni convenzionali debbano essere applicate anche ai soggetti non qualificati.
Si tratta in particolare:
  • delle norme volte a risolvere i casi di dual residence;
  • delle norme relative ai corresponding adjustment in materia di transfer pricing;
  • delle norme che regolano le procedure amichevoli di risoluzione dei casi di doppia imposizione.



1 - continua
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