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Dal mondo

Israele: per le entrate palestinesi
ok alla fine del blocco temporaneo

L’interruzione temporanea delle entrate che Israele riscuote per conto del governo della Palestina è stata revocata

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Israele e Palestina hanno firmato diversi accordi internazionali con l’obiettivo di risolvere il conflitto e regolare le questioni economiche. Il più importante è l’accordo (segreto) di Oslo del 20 agosto 1993, ufficialmente denominato Dichiarazione dei Principi riguardanti progetti di auto-governo ad interim (Declaration of Principles) la cui firma ufficiale avvenuta a Washington District of Columbia il 13 settembre 1993 (con Yasser Arafat che siglò i documenti per conto dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Shimon Peres che firmò per conto dello Stato d’Israele) ha posto le basi per il raggiungimento della pace.
Altri accordi più specifici sono l’accordo ad interim sulla Cisgiordania e la Striscia di Gaza (detto anche Oslo 2) firmato il 28 settembre 1995 e i documenti correlati noti come accordi di Parigi, del 29 aprile 1994 con il Protocollo sulle relazioni economiche. Grazie all’intesa i palestinesi hanno affidato la gestione delle entrate fiscali a Israele.
Nel dettaglio, una clausola prevede che spetta a Israele riscuotere le tasse (3,5 - 5 miliardi di shekel) per conto dell’Autorità nazionale palestinese attraverso il controllo delle frontiere palestinesi per ogni tipo di transizione doganale.
Al riguardo occorre, infatti, segnalare che l’Anp può contare su 3 fonti di finanziamento:
- le entrate fiscali interne raccolte in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza;
- gli aiuti concessi dalla comunità dei donatori, che comprende tanto singoli Stati quanto organizzazioni internazionali o agenzie correlate. esteri;
- i ricavi doganali e l’Iva che Israele riscuote per conto dell’Anp. 
Queste somme costituiscono oltre il 50% delle entrate dell’Autorità nazionale palestinese e, nella sostanza, sono utilizzate per pagare gli stipendi dei 174 mila dipendenti della pubblica amministrazione distribuiti tra i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
 
Il disgelo
A seguito del patto di riconciliazione tra il movimento Hamas e l’organizzazione Al Fatah, Israele aveva deciso di congelare i fondi destinati all’erario dell’Autorità nazionale palestinese, ricavati da tasse e dazi doganali palestinesi (59,6 milioni di euro circa).
Per questo motivo le autorità israeliane avevano sospeso la prevista riunione di coordinamento sul trasferimento di 300 milioni di shekel (88,7 milioni di dollari) degli introiti delle tasse dovuti ai palestinesi mediante prelievo da parte degli israeliani.
Lo Stato ebraico, infatti, raccoglie ogni anno per conto dell’Autorità nazionale palestinese una somma di circa 600 milioni di euro che poi trasferisce a Ramallah in diverse tranche. Queste somme corrispondono ai soldi che Israele incassa ogni mese in favore dell’Autorità palestinese da tasse, imposte dirette e indirette.
Tuttavia, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha ingiunto al Primo Ministro israeliano Benji Netanyahu di sbloccare le entrate fiscali spettanti all’Autorità palestinese, congelate da Tel Aviv dopo le notizie sulla firma dell’accordo tra Hamas e Fatah.
 
I precedenti
Durante il mandato britannico le ditte ebraiche furono esentate dal pagamento dei dazi di import/export, ottenendo così un grande vantaggio sull’economia palestinese. Oggi Israele preleva le imposte indirette e i dazi doganali sulle merci obbligatoriamente importate o esportate dai palestinesi dai/nei territori occupati via Israele.
Secondo gli accordi quanto prelevato da Israele dovrebbe essere restituito all’autorità palestinese. Tuttavia nel corso degli anni, Israele ha più volte sospeso il ristorno (concordato nelle trattative di pace) di quanto prelevato. Un simile blocco dei pagamenti si era verificato dal febbraio del 2006 fino al luglio del 2007 quando Hamas ha vinto le elezioni in Palestina e preso il controllo della Striscia di Gaza. Altro blocco del flusso si era avuto dal dicembre 2000 fino al luglio 2002 dopo la seconda Intifada.
Nel maggio del 2011 è arrivato il terzo stop, durato, in virtù delle pressioni della comunità internazionale, soltanto pochi giorni.
 
 
 
 
 
 
 
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