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Dal mondo

Giappone: l’Iva aumenta o no?
Forse, ma tra due anni almeno

Deciso il rinvio della misura nell'ambito di una nuova serie di interventi per il rilancio dell’economia

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La questione Iva rimane la bussola della politica fiscale ed economica del Giappone. Poco più di un mese fa il premier Shinzo Abe ha annunciato il rinvio di due anni, dal 2017 al 2019, dell’aumento dell’imposta sui beni di consumo al 10%. Quali sono le ragioni che hanno spinto l’esecutivo nipponico a una ulteriore procrastinazione? Quali sono le motivazioni alla base di una decisione che rifiuta le pressioni del Fondo Monetario Internazionale e dell’Ocse, per sposare invece le indicazioni del premio Nobel Joseph Stiglitz? Secondo i partiti al governo, un rinvio dell’aumento dell’imposta sui consumi potrebbe favorire il rilancio della zoppicante economia del  Sol Levante. L’Iva è inoltre un’imposta piuttosto impopolare in Giappone ed è da decenni uno dei temi chiave nelle competizioni elettorali nazionali: un primo spostamento dell’aumento di due punti percentuali dal 2015 al 2017 consentì secondo molti analisti ad Abe e alleati di vincere le elezioni anticipate del dicembre 2014. Pochi giorni fa, il nuovo rinvio di due anni è stato probabilmente la chiave della vittoria dei Liberaldemocratici e del Komeito nel rinnovo della metà della Camera Alta. Un’affermazione politica che consente al premier di rafforzare la sua maggioranza parlamentare, conquistando i 2/3 del Senato e di annunciare – a 24 ore dalla vittoria – una nuova serie di misure economiche per il rilancio dell’economia: dalle infrastrutture al turismo, dall’agricoltura a misure per favorire l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro.
 
Idee a confronto – Per capire la questione può essere utile analizzare alcuni dei punti vista interni al Paese. Il capo del Governo, Shinzo Abe, e i due partiti della coalizione di governo sono infatti favorevoli al rinvio dell’aumento sia perché ritengono che un incremento dell’imposta sui consumi potrebbe incidere sulla fragile domanda interna e bloccare la crescita economica. Anche il Partito comunista giapponese, fra le forze principali dell’opposizione, punta storicamente a risolvere i problemi del debito pubblico nipponico con l’aumento della tassazione delle società ed è contrario all’incremento dell’Iva sui consumi popolari. D’altra parte, un think tank come l’Istituto di ricerca Daiwa sostiene un punto di vista opposto. “La tesi secondo cui il rinvio dell’aumento dell’Iva potrebbe essere un mezzo per promuovere la crescita economica e realizzare la riforma fiscale – scrive l’economista del  Daiwa Mitsumaru Kumagai –  non è molto convincente. Anche se un certo grado di attenzione va sicuramente dato all’andamento dell’economia nel breve periodo, noi crediamo che sarebbe stato meglio andare avanti con l’aumento dell’imposta sui consumi così come programmato, di concerto all’applicazione di misure economiche per consentire una crescita economica sostenibile attraverso la riforma fiscale”.
 
Le indicazioni del Fmi, portare l’Iva al 15% – Il Fondo monetario internazionale continua invece a bacchettare la Abenomics. Con un documento diffuso alla fine di giugno il Fmi suggerisce infatti di aumentare l’Iva in maniera graduale, per arrivare almeno all’aliquota del 15% per il 2019. “Questo aumento graduale – spiega il Fondo in una nota ufficiale – consentirebbe di trovare il giusto equilibrio fra sostegno alla crescita e sostenibilità fiscale”.
 
Un’imposta sgradita ai nipponici – Nel Sol Levante è L’iva un’imposta davvero impopolare. Come riportano le cronache politiche, rinviarne l’aumento può consentire di dare il via a dibattiti internazionali e persino di vincere le elezioni. L’imposta sui consumi fu Introdotta in Giappone alla fine degli anni '80,  e l'ultimo  aumento dal 5 all’8% –  datato aprile 2014 – giunse a 17 anni di distanza da quello del 1997, anno in cui all'aumento dell'Imposta sui consumi dal 3 al 5% seguì un blocco della ripresa economica, nel contesto della cosiddetta "crisi delle tigri asiatiche".
 
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