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Dal mondo

Giappone, India e Corea del Sud tra nuove tasse e stimoli fiscali

I tre Stati accumunati da una omogeneità d'intenti fiscal-finanziari che non si riscontrava nell'area asiatica dalla crisi monetaria del '97

le tigri asiatiche

Una omogeneità d'intenti e di fini fiscal-finanziari che da tempo, dalla crisi monetaria del '97, non si riscontrava tra le maggiori economie del continente asiatico che, insieme alla Cina, oggi paiono decisamente distanti dalle Tigri che nel quinquennio passato hanno martellato senza sosta il mercato globale puntellandone i fondamentali e garantendo gli alti rendimenti. Ora però è tempo di bilanci e l'attuale crisi internazionale non sembra propensa a elargire sconti a seconda dei fusi orari o dei diversi paralleli che infittiscono le carte geografiche del Pianeta. Il risultato è che s'allunga la lista delle ex-tigri asiatiche titubanti e perfino vacillanti di fronte all'incedere della recessione.

Tokyo sponsorizza la pet-tax per far cassa
Che i conti del Giappone non siano in linea lo testimonia il manifestarsi d'un anomalo e inatteso slancio di creatività e d'immaginazione che sembra caratterizzare, con sorpresa anche da parte degli osservatori più avvezzi ai trend nipponici, l'attuale leadership economica del Paese. In pratica, per milioni di famiglie giapponesi è in arrivo una nuova tassa che scatterà in relazione al possesso di animali domestici tra i quali cani e gatti saranno i primi a farne le spese, e a seguire gli altri fino, forse, a coinvolgere nella norma ancora allo studio anche i volatili. In realtà, modalità ed entità della nuova imposta, subito ribattezzata pet-tax, ancora non sono state definite. L'unica certezza è costituita dal fatto che la pet-economy costituisce oramai un settore in piena espansione in Giappone, tanto che attualmente il numero di cani e gatti che frequentano assiduamente le aree domestiche delle famiglie nipponiche hanno oramai superato la soglia dei 13 milioni, in pratica raddoppiando nel corso del decennio passato e generando un volume d'affari annuale di circa 10 miliardi di euro. Un settore quindi in decisa espansione che però, al momento, ha determinato a carico del bilancio pubblico maggiori spese piuttosto che ulteriori entrate.

Se anche cani e gatti hanno diritto al Welfare
E così i responsabili giapponesi dell'economia hanno deciso di indirizzare le attenzioni del fisco sulla pet-economy con una duplice finalità: garantire l'ingresso di maggiori entrate fiscali nella disponibilità dei conti pubblici, messi a dura prova dalla crisi attuale; sostenere le spese originate dagli effetti indesiderati determinati dal boom di abbandoni di amici a quattro zampe destinati ad andare in pensione o a divenire ex-compagni di vita e di viaggio. Infatti, la nuova norma che introduce la pet-tax ridurrebbe anche il livello massimo di cani e di gatti abbandonati ospitati e assistiti presso strutture pubbliche a non più di 210mila l'anno. Un numero questo decisamente inferiore rispetto alle 370mila unità di ex-amici dell'uomo che puntualmente a ogni volgere di calendario si ritrovano ad animare le strade del Paese e la cui gestione comporta un esborso, da parte dello Stato, di centinaia di milioni di euro l'anno. Obiettivo della tassa dunque è recuperare risorse e, allo stesso tempo, incrementare la sensibilità delle famiglie nipponiche che, negli anni passati, hanno manifestato una certa instabilità nei moti affettuosi con cui si avvicinano agli animali domestici per poi, con la medesima celerità, allontanarsene.

Seul su il debito ma giù le tasse
La ricetta anti-crisi varata dal governo coreano ha un solo denominatore comune, giù le tasse. S'inizia infatti con l'imposta sui redditi delle persone fisiche, la cui aliquota media sarà ridotta del 2 per cento, si transita in direzione dell'imposta sui profitti, anch'essa rivisitata verso il basso per poi finalmente fermarsi sulla rimodulazione della tassazione dei capital gains. Inoltre, tra le misure che compaiono, un posto di rilievo spetta all'ampliamento degli ammortizzatori sociali in favore dei lavoratori, soprattutto dipendenti, e alla dotazione del fondo speciale con cui l'esecutivo spera d'iniettare capitale fresco negli ingranaggi della finanza sud-coreana, anch'essa in rosso da diversi mesi, tanto da far suonare da tempo l'allerta sulle esposizioni passive e sui debiti riconducibili a banche e istituti finanziari.

L'Ocse "..più tasse ed estensione della base imponibile" ma Seul non ci sente
Nel dettaglio, riguardo alle misure strettamente fiscali, oltre alla riduzione dell'imposta sui redditi delle persone fisiche, le cui aliquote saranno ridotte di 2 punti percentuali scivolando rispettivamente la più alta dall'attuale 35 al 33 per cento e la più bassa dall'8 al 6 per cento, il pacchetto di tagli elaborato dai tecnici del Governo ha previsto un significativo rafforzamento degli ammortizzatori sociali. In particolare, le detrazioni di base che spettano ai lavoratori dipendenti aumenteranno del 50 per cento, salendo da 548 euro fino ad arrestarsi a circa 823 euro. A questo incremento si deve anche aggiungere la possibilità di dedurre dall'imponibile fino a 4.900 euro, nel caso di famiglie impegnate a sostenere i propri figli negli studi universitari. Cifra questa che si riduce a 1.600 euro nel caso in cui i figli siano ancora in età da asilo. Per le spese mediche invece il tetto della deduzione sarà elevato fino a un massimo di 3.800 euro. Tutte modifiche queste che sembrano contraddire i suggerimenti impartiti recentemente dall'Ocse che, al contrario del sentiero intrapreso da Seul, aveva consigliato l'introduzione di misure destinate a estendere la base imponibile, storicamente ristretta nella Corea del Sud, e ad aumentare il livello di tassazione e il cuneo fiscale, soprattutto nei riguardi dei ceti medio-alti e delle imprese. Norme che, secondo i tecnici dell'Organizzazione con sede a Parigi, avrebbero garantito l'incremento delle entrate fiscali e delle risorse disponibili a bilancio in un momento di crisi come l'attuale.

Meno fisco sui bilanci delle società e più liquidità
Anche riguardo le imprese, soprattutto le medie e le piccole, tasse ed imposte saranno ridotte. Se i profitti infatti non oltrepasseranno la soglia di circa 110 mila euro, l'imposta scenderà dall'attuale 13 all'11 per cento, mentre l'aliquota più elevata, pari oggi al 25 per cento, sarà anch'essa ridotta al 22 per cento. Infine, per fornire liquidità al sistema finanziario, in debito d'ossigeno, si costituirà uno speciale fondo la cui dotazione iniziale sarà di circa 11 miliardi di euro destinati a facilitare i presiti erogati da banche e istituti di credito soprattutto in direzione delle aziende.

India: crolla il gettito dell'imposta sui profitti
L'ultima delle tigri sull'orlo d'una crisi fiscale è il gigante indiano, anzi, l'elefante secondo i critici, data la lentezza dello sviluppo e i tempi lunghi nell'adozione di valide misure anti-crisi. Comunque, il dato recente che sembra aver risvegliato la leadership indiana, riguarda lo scivolone del gettito dell'imposta sui profitti versata dalle 100 maggiori aziende indiane. In realtà, si tratta d'un vero e proprio crollo, senza precedenti, tanto da aver determinato la polverizzazione e la scomparsa del 30 per cento delle entrate, rispetto all'anno passato, e del 50per cento, se si considera la stima attesa relativa al 2008 elaborata sei mesi or sono dai responsabili dell'economia. Naturalmente, registrando un tale venir meno di entrate fiscali, tutte connesse ai profitti e all'estensione dei bilanci delle industrie soprattutto manifatturiere e automobilistiche, Nuova Delhi si trova ora di fronte all'ennesimo bivio. Programmare un nuovo stimolo fiscale oppure, dribblando di fatto il Parlamento, semplicemente spingere l'acceleratore sul debito e aumentare, bruciando le tappe, i livelli di spesa puntando su infrastrutture e rafforzamento dei servizi sociali? Un dilemma che, nonostante i tempi lunghi ritualmente propri del cerimoniale indiano soprattutto quando si dibatte d'imposte, tasse e tributi, attende una risposta ora, non nei prossimi mesi.

 

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