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Dal mondo

Il Fisco esplora le criptovalute
tra incroci dei dati e compliance

Si moltiplicano le iniziative di indagine e raccolta dati tese a far emergere la disponibilità di valute virtuali e l'esistenza di elementi reddituali non dichiarati

Bitcoin

La crescente diffusione delle valute virtuali impone oggi adeguati programmi di controllo. L'esigenza è ormai avvertita da parte di molte amministrazioni fiscali. L'avvento del nuovo strumento tecnologico, infatti, ha richiesto una prima fase nella quale i Paesi hanno affrontato la qualificazione a livello fiscale e il conseguente trattamento dei valori emergenti. Le interpretazioni non sono state univoche e hanno considerato le seguenti ipotesi: bene, merce, attività o moneta. Ad alcuni anni di distanza e dopo aver sollecitato da più parti l'attenzione dei contribuenti verso questi nuovi valori, sul fronte internazionale si registra oggi un certo fermento nei confronti di specifiche iniziative di controllo. Almeno in questa fase iniziale, le campagne sembrano orientate a stimolare la compliance e quindi una partecipazione attiva dei contribuenti. Scelta, questa, motivata da ragioni di opportunità nei confronti di un nuovo elemento fiscalmente rilevante, ma anche dalla valutazione del bilanciamento costi-benefici per le amministrazioni fiscali, considerata la non facile raccolta delle informazioni nei confronti di strumenti che sfruttano immaterialità e tecnologia. Il mercato delle monete virtuali ha ormai raggiunto valori importanti (i soli Bitcoin hanno un controvalore complessivo che supera i 20 miliardi di euro) e le iniziative di controllo, anche di natura fiscale, rappresentano un necessario deterrente nei confronti dell'utilizzo del sistema come forma di occultamento e riciclaggio di proventi derivanti da evasione o attività illecite.

L'IRS (Internal Revenue Service) sceglie la strada della compliance
In un documento del mese di luglio 2018, l'agenzia americana aveva inserito le valute virtuali tra i 5 punti di un programma di compliance. L'iniziativa era parte di un ben più ampio progetto di partecipazione attiva dei contribuenti avviato nel mese di gennaio 2017 dal settore Large Business & International (LB&I). Oggi il programma Compliance Campaigns annovera 59 azioni che coinvolgono numerosi aspetti rilevanti ai fini reddituali che vanno dall'indebito utilizzo dei crediti d'imposta al rimpatrio dei capitali. Lo scorso 26 luglio l’Internal revenue service ha confermato l'effettivo avvio del programma sulle criptovalute, attraverso l'invio di comunicazioni a più di 10mila contribuenti che, sulla base dei dati in possesso dell'amministrazione finanziaria, hanno effettuato transazioni in valuta virtuale e che potrebbero aver omesso di inserire i valori in dichiarazione e di pagare le relative imposte. Nelle lettere di compliance, inviate in tre varianti in base alle criticità riscontrate, viene ribadita la qualificazione dello strumento elettronico (property) e le modalità con le quali chiarire la propria posizione o porre rimedio agli errori. Aspetto di sicuro interesse l'input che ha permesso di avviare l'attività: nelle lettere l'IRS fa generico riferimento al possesso di informazioni relative alla detenzione di uno o più conti che ospitano valuta virtuale. Con molta probabilità l'origine è da ricercare in una precedente attività di raccolta dati effettuata tramite richieste rivolte alle piattaforme on line che hanno sede sul territorio americano.

Le azioni del Fisco australiano
La popolazione investe in cripto-attività e il fisco controlla. L'Ato (Australian Taxation Office) stima che un numero di australiani compreso tra 500mila e 1 milione detenga asset virtuali. Per questo motivo ha concluso un programma di raccolta dati dalle piattaforme online che offrono servizi dedicati alle criptovalute. La finalità è duplice: incrociare i dati con le risultanze dichiarative e utilizzarli per predisporre la dichiarazione precompilata. Anche nel caso australiano l'approccio è quindi a tutti gli effetti orientato verso la compliance, analogamente all'esperienza del fisco Usa. Qualora fosse riscontrata un'anomalia dichiarativa, il Fisco informerà il contribuente concedendo un termine di almeno 28 giorni per chiarire la situazione o provvedere alla correzione degli errori ed evitare sanzioni più pesanti. Ma l'impegno dell'Australia nel contrasto ai fenomeni illeciti che interessano l'utilizzo di criptovalute va anche oltre i confini nazionali. Insieme a Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Olanda fa parte del J5 (Joint Chief of Global Tax Enforcement), nato il 2 luglio 2018 con l'intento di rafforzare la cooperazione a livello internazionale nel contrasto ai fenomeni di frode fiscale e riciclaggio. Nell'ambito del programma di cooperazione internazionale, sono attualmente all'esame dell'amministrazione 12 schemi elusivi che coinvolgono l'abuso di criptovalute (il gruppo di lavoro ne ha individuati 60 nei quali sono implicate anche istituzioni finanziarie).

Si muove anche il Fisco della Regina
Prime richieste di informazioni alle piattaforme on line anche da parte dell'HM Revenue & Customs. Obiettivo le plusvalenze non dichiarate da parte di soggetti residenti. L’oggetto della richiesta ha riguardato le transazioni effettuate nel periodo compreso tra aprile 2017 e aprile 2019. Nell’attesa dei primi risultati, il messaggio lanciato dall’amministrazione fiscale britannica è chiaro e conforme a quello degli altri Paesi all’avanguardia su questo fronte. L’iniziativa segue di qualche mese la pubblicazione del documento “Cryptoassets for individuals” che illustra puntualmente gli obblighi derivanti dalla detenzione di valuta virtuale da parte di persone fisiche (fuori dallo svolgimento di attività).

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