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Dal mondo

Ecofin: per la web tax si va
verso una maggioranza

In una lettera comune ribadito l’impegno da parte degli Stati partecipanti per una soluzione del tutto condivisa

web tax
“Non possiamo più accettare che i giganti del web operino in Europa pagando un ammontare minimo di imposta quando in gioco c’è l’efficienza dell’economia, l’equità fiscale e la sovranità”. È quanto hanno rimarcato all’Ecofin di Tallin della scorsa settimana i quattro ministri finanziari di Italia, Francia, Germania e Spagna in una lettera comune, che è stata poi firmata anche dai ministri di altri sei Paesi Ue. Uno dei nodi centrali dell’incontro, è stato infatti, la tassazione dei colossi del web che producono ricavi in Europa ma non in un luogo fisico preciso, per cui sfruttando il concetto di “organizzazione stabile” e l’eterogeneità dei vari sistemi fiscali europei si assicurano livelli di imposizioni bassissimi, nonostante il volume dei loro giro d’affari cresca a grande velocità di anno in anno. Non si tratta, quindi, di combattere un’evasione fiscale vera e propria, in quanto si tratterebbe più di elusione, ma di far pagare “il giusto” a tutte le imprese per garantire equità e concorrenza corretta.
 
10 Paesi d’accordo sull’urgenza della web tax
Sul fatto che i colossi del web come Google, Apple, Facebook e Amazon debbano pagare le tasse come tutte le aziende e i cittadini europei, senza approfittare di escamotage e altre scappatoie fiscali, l’Ecofin è stato unanime, anche se le divergenze hanno riguardato il come questo obiettivo debba essere raggiunto.
La lettera sulla web tax sottoscritta da Francia, Germania, Italia e Spagna è stata condivisa da molti Stati membri dell’Unione, tra cui Austria, Bulgaria, Grecia, Portogallo, Slovenia e Romania, portando a 10 il numero di Paesi favorevoli alla proposta, ma non ha trovato il consenso di tutti. Tra i Paesi contrari ci sono Malta, Danimarca, Gran Bretagna, Lussemburgo e Irlanda, che generalmente non vedono di buon occhio questo genere di tassazione verso le multinazionali; queste ultime, infatti, hanno trovato una sponda alleata nei sistemi fiscali di Paesi come Lussemburgo e Irlanda che, a fronte di un sistema di tassazione conveniente, hanno beneficiato dell’indotto causato proprio dai big del digitale.
Anche il ministro dell’economia italiano, Pier Carlo Padoan, ha sottolineato come ci sia una condivisione generale della necessità di introdurre una tassazione delle attività dell’economia digitale, ma occorre valutare come questa operazione debba essere fatta: alcuni Paesi, tra cui l’Italia e gli altri Paesi firmatari della lettera, pensano sia necessaria una misura transitoria ma immediata, mentre altri sono del parere di aspettare un accordo globale, cioè una soluzione finale adottata nell’ambito dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e del G20.
 
I prossimi passi
L’Ecofin ha rinnovato il mandato all’Ocse di continuare a lavorare su questo tema, ma nel frattempo la presidenza estone ha confermato la volontà di produrre una proposta entro fine mandato (quindi tra pochi mesi) che possa mettere d’accordo tutti i 28 Paesi membri dell’Unione. L’occasione dovrebbe essere quella del prossimo “digital summit”, organizzato sempre a Tallinn, in programma per il 29 settembre, che vedrà riunirsi capi di Stato e di governo. La commissione dovrebbe, infatti, presentare un elenco di possibili opzioni per la futura web tax da sottoporre all’attenzione dei leader, in modo da poter predisporre un documento per il prossimo Ecofin di dicembre e arrivare alla proposta formale della Commissione entro la metà del 2018.
 
L’Italia perde ogni anno 5-6 miliardi di entrate
Secondo i dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio, in Italia Google dichiara lo 0,3% dei ricavi   complessivi ed è su questo ammontare che vengono calcolate le tasse, mentre le transazioni   digitali nel bel Paese rappresentano il 2,4% del totale. Facebook, invece, dichiara addirittura lo 0,1% e il 2,8%. Per quanto riguarda la pubblicità online, l’anno scorso Google ha fatturato 82 miliardi e Facebook 33 e anche in questo caso la maggior parte di questi profitti sono stati tassati fuori dall’Italia.
In totale, sempre secondo la Commissione Bilancio della Camera, sono circa 30-32 i miliardi che ogni anno vengono sottratti dalla base imponibile, cifra che si traduce in 5-6 miliardi di entrate in meno.   
 
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