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Dal mondo

Cina: stretta del Fisco sulle spese
infra-gruppo delle controllate

L’intervento indicato in un documento trasmesso all’Onu che si occupa di aggiornare il manuale sul transfer price

stretta del fisco
La sterzata, decisa, è stata preannunciata di recente con una lettera riservata inviata dall’Amministrazione finanziaria cinese, SAT, all’Ufficio delle Nazioni Unite ad hoc che si occupa di aggiornare il manuale internazionale contenente i passaggi normativi fondamentali relativa alla norma sul Transfer pricing. In breve, nel testo del documento, ora pubblico, si preannunciava un rigoroso cambio di rotta nella gestione dei profili fiscali di oltre 50mila società controllate che operano nel tessuto economico e che fanno capo a migliaia di multinazionali sparse nel mondo.
 
I profitti calano, le deduzioni schizzano - Il nodo al centro del contendere è relativo all’excalation delle spese infra-gruppo riferite a questa tipologia di imprese e al lievitare, senza pause, delle risorse che ogni anno si spostano al di fuori sia della giurisdizione cinese sia del fisco di Pechino. Risultato, una perdita secca di gettito e un aumento ingiustificabile delle deduzioni di cui queste entità beneficiano per compensare, in parte, la perdita di capitali destinati al pagamento di servizi extra ed esterni. Insomma, il fisco gabbato due volte, sul versante dell’imposta sui profitti, che diminuisce, e su quello delle deduzioni che, al contrario dei profitti, s’impennano.
 
Controlli mirati a tutto campo – Per arrestare questa che l’Agenzia delle Entrate cinese definisce “una emorragia di risorse”, l’Amministrazione potenzierà centinaia di uffici locali che, in possesso di tecnologie sofisticate, raccoglieranno i dati degli scambi infra-gruppo di decine di migliaia di controllate, passando al setaccio i rispettivi bilanci. In particolare, ogni spesa, significativa, indirizzata nei riguardi di parti terze, esterne alla giurisdizione, comunque con un ruolo preciso nella struttura delle multinazionali, incluse quindi quelle eventualmente sostenute per servizi gestionali e organizzativi correlate al management o il pagamento di eventuali royalty, sarà esaminata con scrupolo. Alle controllate sarà chiesto di fornire spiegazioni precise, altrettanto rigorose, che giustifichino la spesa per quella tipologia di servizio, che non sia quindi una mera duplicazione di servizi non necessari perché già disponibili, oppure, che se ne illustri il vantaggio economico, il valore aggiunto reale, non teorico. E per finire, che si illustrino le ragioni del perché spesso, nel 40% dei casi questi pagamenti, ingenti, siano stati trasmessi all’indirizzo di entità con sede in giurisdizioni a bassa tassazione, cioè paradisi fiscali. In questo caso, il flusso di risorse, dalle società controllate ad altri soggetti con residenze quanto meno sospette, è oramai per consuetudine sopra i 100mld l’anno. Troppo. Mentre, il passaggio di denaro infra-gruppo, per esempio per servizi o royalty e quant’altro, è difficile da classificare in dettaglio, perché mancano gli elaborati e la tracciabilità necessaria ma, approssimativamente, è stimato nel 66% degli esborsi sostenuti dalle controllate che operano in Cina. Anche in questo caso il termine usato dall’Amministrazione è il medesimo “Troppo”.   
 
Il perché della stretta inattesa – In realtà, per almeno un lungo decennio le autorità cinesi hanno accettato il comportamento contabile piuttosto ambiguo messo in campo dalle controllate di grandi gruppi internazionali. La loro attività, e la penetrazione in ogni ambito produttivo, era parallelo alla crescita del Paese e quasi indispensabile. Dunque, la pratica del chiudere un occhio, anche due, era ammessa. Ora però, il Paese si è dotato d’un suo sistema produttivo autonomo, quasi indipendente, e soprattutto, l’economia mostra segni di rallentamento. E questo proprio quando sfide sociali altamente strategiche necessitano risposte immediate. La disponibilità di risorse adeguate, miliardi, è quindi non rinviabile. Da qui la decisione di frenare la fuga di capitali che, di fatto, condanna il gettito dell’imposta sui profitti a permanere a livelli eccessivamente modesti, tanto che i tecnici del fisco stimano che, in media, ogni anno si sfuggono all’erario almeno 80 miliardi di dollari con il sigillo delle multinazionali estere. Si tratta d’una stima al ribasso, minima.
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