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Dal mondo

America latino-caraibica pre-Covid.
Pressione fiscale in crescita dal 1990

Il rapporto tra entrate e Pil dell’area si è attestato nel 2018 al 23,1%, secondo il Revenue Statistics in Latin America and the Caribbean 2020

brasile cartina

Nel 2018 le entrate tributarie raccolte dai paesi dell’area Latino-americana, compresi i Caraibi, sono cresciute in rapporto al Pil, raggiungendo il loro record dal 1990 del 23,1%. È il dato principale contenuto  nelle Revenue Statistics in Latin America and the Caribbean 2020, l’ultima edizione delle statistiche sulle entrate tributarie e  contributive in America latina e dell’area caraibica che l’Ocse elabora e pubblica ogni anno, in collaborazione con l’Inter American Center of Tax Administrations (Ciat), l’Economic Commission for Latin America and the Caribbean delle Nazioni Unite (UN ECLAC), l’Inter American Development Bank (IDB) e con il supporto dell’Unione europea (European Union Regional Facility for Development in Transition for Latin America and the Caribbean, LAC).
La fotografia del report di quest’anno risale al 2018, ben prima che l’emergenza Covid-19 investisse le economie (e prima ancora le vite delle persone) in tutti i continenti, un evento che sicuramente cambierà, o accentuerà più delle attese, i trend che si sarebbero sviluppati naturalmente dal 2018 in avanti. Tuttavia, il dato di sintesi è che il rapporto tra la raccolta di entrate tributarie e contributive e Pil, noto anche come pressione fiscale, in America Latina e Caraibi ha seguito dal 1990 un sentiero di crescita e che nell’ultimo tratto noto, quello tra 2017 e 2018, è cresciuta di 0,4 punti percentuali. Il report sottolinea che dal dato di inizio rilevazione - il 15,9% del 1990 - la percentuale non è mai stata così alta, benché ci si trovi sempre molto al di sotto della media Ocse (34,3% nello stesso anno, il 2018). Questa crescita riflette in parte la leggera ripresa avvenuta nel 2018 del contesto economico, derivante da una maggiore domanda interna e da un aumento degli scambi e dei prezzi delle materie prime, in parte come il recupero dall’impatto delle catastrofi naturali che avevano colpito l’area caraibica negli anni precedenti. 
Dividendo la macro-regione in settori più piccoli, si riscontra che tra i Paesi caraibici la media è più alta, pari al 25,7%, il sud America si pone esattamente sullo stesso dato generale, 23,1%, mentre i Paesi Centroamericani, compreso il Messico, sono sotto, con una pressione fiscale media del 21%.
In ogni caso va sottolineato che il rapporto entrate su Pil va letto con una certa prudenza, dal momento che ogni sua variazione dipende in modo diretto dal livello di tassazione e dalla capacità dei singoli Paesi di acquisire gettito e in senso inverso dall’andamento del prodotto interno lordo. 

Quest’anno dati ancora più completi
L’edizione 2020 del Revenue Statistics in Latin America and the Caribbean 2020 analizza le entrate fiscali e i trend registrati dal 1990 al 2018 in 26 Paesi appartenenti al Centro e Sud America, uno in più rispetto alle edizioni passate, con l’ingresso di Saint Lucia. Una zona, quella del centro e sud America, che comprende situazioni molto diverse tra loro: si va dalla pressione fiscale più bassa di Guatemala (12,1%) e Repubblica Dominicana (13,2%) a quella più alta, registrata da Cuba (42,3%), l’unico Paese dell’area latino-americana ad avere una pressione fiscale superiore alla media Ocse, seguito da Brasile e Barbados (33,1%).
Dei 26 Paesi considerati, oltre la metà (15 per l’esattezza) hanno visto crescere la propria pressione fiscale dal 2017 al 2018, con i maggiori incrementi in tre realtà caraibiche, Trinidad e Tobago (+3,3%), Belize (+1,4%) e Guyana (+1,3%). In tre Paesi la percentuale è rimasta invariata, mentre sono 7 i Paesi che hanno visto un decremento, con il dato più accentuato di 1,3 punti percentuali riscontrato dall’Argentina. 

Il tax mix nell’area latino-caraibica
Andando a guardare la composizione del gettito fiscale dell’area, la fetta più grande di gettito deriva mediamente dalle imposte indirette su beni e servizi, che pesano per circa la metà delle entrate generali, rispetto al terzo registrato nell’area Ocse. Inoltre, le imposte dirette su redditi e profitti pesano mediamente come l’Iva: entrambe le voci compongono circa il 27,8% ciascuna dell’intero gettito fiscale, ma nel tempo ad essere migliorata è stata soprattutto la raccolta dell’Imposta sul valore aggiunto, che dal 1990 è cresciuta di 11,6 punti percentuali, mentre le entrate su redditi e profitti sono cresciute di 8 punti percentuali (partendo dal 19,7%). I contributi sociali pesano oggi (o meglio, nel 2018) per il 17,1% delle entrate, con una crescita del 4,2% dal 1990. 
Rispetto alla composizione del gettito fiscale mediamente rilevato a livello Ocse, a spiccare è il totale rovesciamento delle proporzioni tra l’imposta sul reddito delle persone fisiche e l’imposta sulle società: mentre nel 2017 nell’area Ocse la prima componeva il 23,9% del tax mix e la seconda il 9,3%, nell’area latino-caraibica i rapporti di forza si rovesciano, con una quota della corporate tax del 15,3% e quella sul reddito delle persone fisiche inferiore, pari al 9,7%.

Focus sulla tassazione energetica
Per quanto riguarda le entrate cosiddette “ambientali” (in gran parte connesse allo sfruttamento delle fonti energetiche), il gettito di questa tipologia è pari al 1,1% del Pil, considerando i 23 Paesi di cui si dispone del dato, a fronte di una media Ocse del 2,3%. In un focus a parte, inoltre, il rapporto analizza l’andamento dell’imposizione fiscale sulle fonti energetiche non rinnovabili per un campione di nove Paesi. La conclusione è che nel 2018 le entrate generate dalla ricca attività di estrazione e produzione di idrocarburi, presente in tanti Paesi del Centro e Sud America, sono cresciute nel 2018, passando al 2,7% su Pil a fronte del 2% del 2016 e del 2017, sospinte dall’aumento dei prezzi: tradotto in termini assoluti, si sfiorano i 95 miliardi di dollari tra gettito ed entrate indirette come i proventi delle concessioni governative per l’estrazione di petrolio e gas. In crescita dello 0,4% anche le entrate derivanti dall’estrazione mineraria, anche se per il 2019 la previsione è un calo per entrambe le voci, sempre a traino dell’andamento dei prezzi. 

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