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Attualità

La Ue dice no alla doppia imposizione su interessi e canoni (1)

Disciplina e modalità d’attuazione della direttiva che ha ridisegnato il profilo della tassazione societaria in ambito comunitario e nazionale

La direttiva Ue del 3 giugno 2003, n. 2003/49/CE, entrata in vigore il 26 giugno 2003, è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 143 del 30 maggio 2005, in vigore con effetto retroattivo dal 1° gennaio 2004, e che è stato oggetto di chiarimenti recenti con la circolare 47/E del 2 novembre 2005. Da questo numero FiscoOggi pubblica un contributo dedicato all’argomento suddiviso in tre parti. In questa prima puntata l’attenzione si focalizza sulla tassazione degli interessi per i non residenti e sulla definizione di interessi e canoni.

>> mercoledì 16 la seconda puntata
Dal 26 giugno 2003 è entrata in vigore una nuova direttiva del Consiglio dell'Unione europea che ha introdotto un regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (direttiva 3 giugno 2003, n. 2003/49/CE, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 26 giugno 2003, L157). La finalità di tale direttiva è di eliminare nei confronti di società appartenenti allo stesso Gruppo, residenti in Stati membri diversi, la doppia imposizione sui pagamenti di interessi e di canoni che avvengono tra le suddette società, compresi i pagamenti che sono effettuati tra le stabili organizzazioni di tali società o tra queste ultime e le stabili organizzazioni stesse. In Italia, il recepimento è avvenuto con l’emanazione del decreto legislativo n. 143 del 30 maggio 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 172 del 26 luglio 2005, e in vigore con effetto retroattivo dal 1° gennaio 2004, oggetto di chiarimenti, da parte dell’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 47/E del 2 novembre 2005. In particolare, l’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 143 del 2005 ha introdotto l’articolo 26-quater al Dpr n. 600 del 1973, che disciplina, a determinate condizioni, l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea. Di seguito, dopo una breve premessa sulla disciplina interna relativa alla tassazione degli interessi per i non residenti, si passerà all’analisi della direttiva coordinandola con il decreto di recepimento, anche alla luce dei recenti chiarimenti emanati dall’Agenzia delle Entrate.
La tassazione degli interessi per i non residenti
In linea generale, l’articolo 23 comma 1, lettera b), del Tuir fissa l’imponibilità per i non residenti dei redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti. Tale disposizione soggiace alle seguenti deroghe ed esenzioni:
- sono espressamente esclusi da tassazione, in quanto non si considerano prodotti nel territorio dello Stato, gli interessi e gli altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali percepiti da tutti i soggetti non residenti;
- sono esenti gli interessi e gli altri proventi derivanti da titoli obbligazionari disciplinati dal decreto legislativo n. 239 del 1° aprile 1996 nonché i redditi di capitale derivanti da mutui, depositi e conti correnti (diversi da quelli bancari e postali), rendite perpetue e prestazioni annue perpetue, fideiussione o altra garanzia, operazioni di riporto e pronti contro termine su titoli e valute e di prestito titoli, qualora percepiti da soggetti residenti in Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni (si tratta dei percettori residenti negli Stati inclusi nella cosiddetta "white list" di cui al decreto ministeriale del 4 settembre 1996 come risultante dalle successive modifiche e integrazioni apportate dai decreti ministeriali del 25 marzo 1998, del 16 dicembre 1998, del 17 giugno 1999, del 20 dicembre 1999, del 5 ottobre 2000 e del 14 dicembre 2000). Inoltre i proventi derivanti da prestiti di denaro corrisposti a soggetti non residenti sono assoggettabili alle ritenute di cui all’articolo 26, comma 5, del Dpr n. 600 del 1973, e, pertanto, non si applicano né le disposizioni di esenzione di cui all’articolo 26-bis del Dpr n. 600 del 1973, né quelle di esclusione per mancanza del requisito di territorialità di cui all’articolo 23 del Tuir.

Le modalità di tassazione
Riguardo alle modalità di tassazione, ad esclusione dei casi in cui è previsto un apposito regime di non imponibilità o un’imposizione definitiva ai sensi di altre specifiche norme, gli interessi percepiti da non residenti sono assoggettati a tassazione con applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta da parte del sostituto d’imposta residente pari al 12,50 per cento del provento percepito (articolo 26, comma 5, del Dpr n. 600 del 1973). La misura della ritenuta è elevata al 27 per cento se i percipienti sono residenti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato elencati nella cosiddetta "black list" di cui all’articolo 167 del Tuir ed individuati dal decreto ministeriale del 21 novembre 2001. In ogni caso resta ferma l’applicazione delle norme convenzionali qualora dispongano diversamente. In aggiunta ai descritti regimi di esenzione previsti per i non residenti, in ossequio alla normativa comunitaria, come già accennato, è stato introdotto, nel Dpr n. 600 del 29 settembre 1973, l’articolo 26-quater che disciplina un nuovo regime di non imponibilità per gli interessi e i canoni corrisposti a società residenti in Stati membri dell’Unione europea in presenza di determinate condizioni. In sostanza, con l’attuazione della direttiva, si realizza l’imposizione esclusiva di tali redditi da parte del Paese di residenza del soggetto percettore e l’eliminazione della loro tassazione nello Stato della fonte.
La nuova direttiva
Come accennato, l’articolo 1 della direttiva n. 2003/49/CE prevede che i pagamenti di interessi o i canoni provenienti da uno Stato membro sono esentati da ogni imposta applicata in tale Stato su tali pagamenti, sia tramite ritenuta alla fonte sia previo accertamento fiscale, a condizione che il beneficiario effettivo degli interessi o dei canoni sia una società di un altro Stato membro o una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro, di una società di uno Stato membro. Il pagamento effettuato da una società di uno Stato membro o da una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro è considerato proveniente da tale Stato membro (c.d. "Stato d'origine").
La definizione di interessi
Gli interessi oggetto della direttiva sono i redditi da crediti di qualsiasi natura, garantiti o non da ipoteca e, in particolare, i redditi derivanti da titoli, obbligazioni e prestiti, compresi gli altri proventi derivanti dai suddetti titoli e prestiti. La definizione di interesse data dalla direttiva, fatta propria anche dal decreto legislativo di recepimento, è mutuata da quella contenuta nell’articolo 11, paragrafo 3, del Modello Ocse di Convezione, con l’unica differenza della mancata inclusione dei redditi derivanti dai titoli pubblici. In sostanza, quindi, occorre fare riferimento a:
- interessi derivanti da mutui, depositi, conti correnti, assistiti o meno da garanzie ipotecarie, rappresentati o meno da titoli o certificati;
- interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, compresi i proventi dei predetti titoli collegati all’andamento di parametri finanziari;
- altri proventi derivanti dalle predette fattispecie.Vi rientrano, inoltre, i proventi:
-  dei certificati di deposito;
-  dei buoni fruttiferi, indipendentemente dalla loro durata;
- dei titoli di massa (ad esempio, i certificati di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo ed i titoli atipici) e dei titoli individuali (quali, ad esempio, le cambiali finanziarie e le accettazioni bancarie). Si fa presente, inoltre, che l’articolo 2, lettera a), della direttiva stabilisce che le penali per tardivo pagamento non sono considerate interessi.
Gli interessi esclusi
In base a quanto stabilito dall’articolo 4, paragrafo 1 della direttiva, non rientrano nella definizione di interessi:
- i pagamenti considerati utili distribuiti o capitale rimborsato ai sensi della legislazione dello Stato d’origine;
- i pagamenti relativi a crediti recanti una clausola di partecipazione agli utili del debitore;
- i pagamenti relativi a crediti che autorizzano il creditore a rinunciare al suo diritto agli interessi in cambio del diritto a partecipare agli utili del debitore;
- i pagamenti relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di cinquanta anni dalla data di emissione. Inoltre il decreto legislativo n. 143 del 2005 esclude dal campo applicativo dell’articolo 26-quater del Dpr n. 600 del 1973, non considerandole come interessi:
- le remunerazioni dei finanziamenti eccedenti di cui all’articolo 98 del Tuir, direttamente erogati dal socio o dalle sue parti correlate. Si ricorda, infatti, che a norma dell’articolo 44, comma 1, lettera e), del Tuir tali remunerazioni sono assimilate agli utili da partecipazione ed usufruiscono del medesimo regime fiscale;
- gli utili derivanti dai contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza di cui all’articolo 44, comma 1, lettera f), del predetto Tuir;
-  le remunerazioni dei titoli e degli strumenti finanziari di cui agli articoli 44, comma 2, lettera a), del medesimo Tuir, anche per la quota che non comporta la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso Gruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi;
- i pagamenti relativi a crediti che autorizzano il creditore a rinunciare al suo diritto agli interessi in cambio del diritto a partecipare agli utili del debitore. Rientrano in tale categoria quegli strumenti finanziari che consentono al creditore di convertire il proprio diritto a percepire interessi in diritto a percepire una parte degli utili del debitore, a nulla rilevando l’effettivo esercizio del diritto di conversione da interessi a utili;
- i pagamenti relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di cinquanta anni dalla data di emissione. Tale disposizione ha la finalità di non applicare i benefici della normativa agli interessi che non derivano da veri e propri crediti e agli interessi relativi a forme di indebitamento che, pur contenendo l’obbligo di restituzione del capitale, sono caratterizzati da una scadenza particolarmente lunga.
La definizione di canoni
Si considerano canoni i compensi di qualsiasi natura percepiti per l’uso o la concessione in uso del diritto d’autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche, comprese le pellicole cinematografiche e il software; di brevetti, marchi di fabbrica o commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico; di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche. La categoria di canoni, così come definita nella direttiva e, conseguentemente nell’articolo 26-quater del Dpr n. 600/1973, riprende sostanzialmente quella contenuta nell’articolo 12, paragrafo 2, del Modello Ocse di Convenzione per evitare le doppie imposizioni sui redditi del 1996. Tuttavia, a differenza del citato Modello Ocse, la direttiva include fra i canoni anche i compensi per l’uso o la concessione in uso del software e delle attrezzature commerciali, industriali o scientifiche.



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